Sezione
Aurea e Musica:
Breve
storia del “Numero d'Oro” da Dufay al «progressive-rock» dei Genesis.
*************
E
questo 72 basi molto dagli architecti fia
frequentato
in loro dispositioni de edificii,
per
esser forma assai accomodata maxime
dove
occoresse fare tribune o altre volte,
o
vogliamo dire cieli.
(L.
Pacioli, De Divina Proportione, 1498)
There's
an angel standing in the sun,
and
he's crying with a loud voice,
“This
is the supper of the mighty one”.
Lord
of Lords,
King
of Kings,
Has
returned to lead his children home,
To
take them to the New Jerusalem.
(Genesis, Supper's Ready, 1972)
Fra
le molte nuove voci inserite (a discapito di altre imprudentemente eliminate)1
nell'ultima edizione (1996) dell'Enciclopedia della
Musica Garzanti (la vecchia gloriosa “garzantina”), cerchiamo e troviamo
(p. 817!) il termine «sezione aurea». Estrapoliamo un passo dall'esposizione:
«
L'indagine sulla s.a. costituisce una branca fortemente sperimentale
dell'analisi, nella maggior parte dei casi posta quasi esclusivamente in
relazione alla sfera formale della musica [...] ».
Fortemente
sperimentali o meno che siano, è bene sottolineare che i primi studi
sull'applicazione della S.A. alle strutture formali della musica, risalgono
ormai alla metà del XX secolo. È infatti proprio del 1950 un articolo di J. H.
Douglas Webster (in Music&Letters) che, citando un gran numero di
partiture nelle quali possono essere riscontrate «proporzioni auree», apre
ufficialmente la strada a quest'affascinante settore dell'analisi musicologica.2
Ma
il primo vero specialista in materia è stato certamente il musicologo ungherese
Ernö Lendvai, i cui famosi studi sulla S.A. nelle strutture musicali bartókiane,
hanno il merito, grazie anche alle numerose pubblicazioni e traduzioni in cui ci
sono stati consegnati (dal 1955 in poi), di aver ampiamente diffuso la
conoscenza di una disciplina che fino ai primi anni settanta risultava ancora
appannaggio di pochi iniziati.3
Tra
il 1977 e 1986, Roy Howat — altro musicologo il cui lavoro di ricerca rimarrà
fondamentale per il proseguo degli studi in questo campo —, scandaglierà più
approfonditamente la materia soffermandosi in particolare sull'opera compositiva
di Debussy (Howat 1983a); e
tentando, inoltre, una revisione delle analisi lendvaiane (Howat 1983b),
revisione, che susciterà la prevedibile e puntuale replica del “maestro” (Lendvai
1984).4
Queste
ad oggi, a parer nostro, le tre tappe principali della ricerca musicologica
sulla S.A.. Ma va da sé che la mole di studi matematico-proporzionali
effettuati in campo musicale nel corso della seconda metà del XX secolo, sia
oltremodo notevole.5
Ed è anche chiaro che, in mancanza di tante e precise indagini, oggi, con tutta
probabilità, ci risulterebbe assai difficile immaginare che i compositori, dal
canto loro, avessero già affrontato e studiato il problema relativo alle «proporzioni
matematiche» (in particolare l'applicazione della S.A. alle strutture
architettonico-formali della musica) fin dal Medio Evo. Inoltre, a riprova del
fatto che un'aura esoterica avvolge da sempre la presenza della S.A. nei più
disparati campi del sapere umano, volentieri ricordiamo che, nonostante la
trattatistica medievale in materia di proporzioni e musica sia cospicua, in
nessuno dei testi pervenutici si fa cenno all'aspetto complessivo
architettonico-proporzionale insito nelle strutture formali di una composizione.6
Ma
alla luce delle molte analisi di cui sopra, è ormai più che certo che
personaggi come Machaut e Dufay — solo per citare due fra i casi oggi più
noti tra gli studiosi — conoscessero assai bene le proprietà della S.A. e
tutta la sua “mirabile potenza”.7
Sarà
però all'interno delle strutture della musica composta nel secolo appena
conclusosi che la S.A. troverà terreno fertilissimo propagandosi a dismisura:
Debussy, Stravinsky, Bartók, Xenakis, Stockhausen, Nono, Ligeti, Manzoni,
Gubajdulina; e l'elenco potrebbe continuare ed occupare un'intera pagina;8
ma qui ci limiteremo ai casi più conosciuti, e a quelli in cui la presenza
della S.A. è chiaramente frutto della volontà del compositore, e non
imputabile a semplici coincidenze numeriche o formulazioni inconsce dovute alla
sensibilità individuale dell'artista nei confronti delle «proporzioni auree».
Sussiste
infatti questo non indifferente problema, relativo, appunto, alla comprovabile
ed effettiva presenza di un cosciente “progetto aureo”, rilevabile, in sede
analitico-musicologica, in nuce al processo generativo-creativo di una struttura
musicale. Problema riconducibile al fatto che le proporzioni di S.A. sono di
frequentissimo riscontro in natura, e perciò (sensibilità individuale
permettendo), in un certo qual modo, direttamente congenite ed istintive per
ognuno di noi.
Per
questo motivo, stabilire se «strutture proporzionali auree» siano
effettivamente dovute a progetti razionali volti alla realizzazione mirata di
tali obiettivi, o siano semplice coincidenze, oppure il risultato di uno
straordinario e ancestrale senso della forma, può essere, a volte, impresa
molto ardua.
Ma
fortunatamente per noi (che ci apprestiamo ad analizzare i fatti), la gestione
dei parametri relativi allo scorrere del «tempo musicale» (questo l'ambito che
qui esamineremo in particolare), posti in relazione alle «proporzioni temporali»
di un opera, comporta spesso, in fase creativo-compositiva, una serie di
problemi e complicazioni logistiche di non facile risoluzione e il cui
superamento, specie ad alti livelli di complessità costruttiva, può avvenire
solo ed esclusivamente mediante un consapevole e sapiente progetto
architettonico delle strutture formali. Progetto, che lascerà pur sempre, anche
nel più enigmatico e misterioso dei casi, qualche traccia del processo
cognitivo matematico-intellettuale ivi presente.
* * *
Entriamo
ora nei dettagli tecnici, evitando il più possibile una vera e propria
trattazione geometrico-matematica che, oltre ad esulare le nostre competenze, ci
allontanerebbe dai risvolti simbolico-numerologici ed estetico-artistici che
intendiamo affrontare principalmente.9
Per
prima cosa diremo che per S.A. s'intende una porzione di una grandezza
corrispondente a poco meno dei due terzi del suo totale (ca. 5/8 o 13/8);10
più precisamente, se dividiamo un segmento ‘AB’
in un punto ‘C’ in modo che:
AB
: AC = AC : BC,
la
porzione ‘AC’ verrà denominata S.A. di ‘AB’.
Quindi,
se poniamo ‘AB’ come ‘a’ e ‘AC’ come ‘x’, avremo:
a
: x = x : (a - x);
da
cui:
a(a
- x) = x2,
e:
x2
- a(a - x) = 0.
E
qui mi fermo, anche perché Euclide, primo a trattare in modo esplicito di S.A.
(Elementi, libro II, propos. 11a ), c'invita a risolvere il
seguente problema:
«Dividere
una retta data in modo che il rettangolo compreso da tutta la retta e da una
delle parti sia uguale al quadrato della parte rimanente».11
Proposizione
elegante ed affascinate, ma che per il suo aspetto prettamente geometrico
potrebbe forse risultare di non semplice — o comunque non d'immediata
comprensione — a tutti coloro che non hanno fatto, contemporaneamente alla
musica, anche della matematica e della geometria il proprio pane quotidiano.
Ma
il nostro Euclide — un po' più avanti nel suo trattato — esporrà poi la
famosa «definizione IIIa», la cui formula d'apertura, per i molti
secoli a venire, verrà adottata da tutti gli studiosi come la più autentica
espressione del concetto di S.A. (Elementi, libro VI, defin. 3a):
«Si
dice che una retta risulta divisa in estrema e media ragione, quando tutta
quanta la retta sta alla parte maggiore di essa come la parte maggiore sta a
quella minore».12
Definizione,
questa, che inevitabilmente però ci riconduce alla proporzione « AB : AC = AC
: BC » da noi esemplificata sopra.
A
toglierci dall'imbarazzo della “definizione” sarà il matematico italiano
Leonardo Fibonacci (Leonardo Pisano)13
che, dopo aver “navigato” in lungo e in largo nella cultura
arabo-matematica, nel 1202 ci consegnerà il suo famoso trattato intitolato Liber
Abbaci. Lì, fra le altre migliaia di cose riportate, in un breve
capitoletto e tramite un simpatico quanto efficace “quesito”
(“proposizione” se volete) sulla prolificità dei conigli (letteralmente « Quot
Paria Coniculorum In Uno Anno Ex Uno Pario Germinentur »)14
il Fibonacci esporrà, senza peraltro rivelarci
espressamente alcunché, una “magica” quanto antica serie numerica che solo
in tempi più recenti prenderà poi il suo nome.15
Questi
i primi tredici termini della futura e denominata «Serie di Fibonacci», che
compaiono nel Liber Abbaci (Fibonacci 1857:284) in relazione a
quell'ipotetico e “curioso” numero progressivo di coppie di conigli
procreate nel corso di un anno (Quot paria...):
1.2.3.5.8.13.21.34.55.89.144.233.377.
16
Questa
serie matematica ricorrente possiede numerose ed interessanti proprietà.
Citeremo: 1) la più evidente, cioè che ogni numero è la somma dei due
precedenti; 2) la più straordinaria (al caso nostro), ossia che tre numeri
consecutivi estrapolati in un punto qualsiasi della successione (fatta eccezione
per i primissimi termini) sono, grazie ad una straordinaria approssimazione,
eccellenti valori numerici per la realizzazione di segmenti in proporzione
aurea.
Applicando
ad esempio i valori fibonacciani « 55.89.144 » alla proporzione “euclidea”
precedentemente esposta (« AB : AC = AC : BC » dove AB sarà «144» e AC sarà
«89») avremo una visione lampante del concetto matematico di S.A.:
144
: 89 = 89 : 55
per
cui la S.A. di 144 (AB) sarà 89 (AC).
Succede
però che la relazione:
a(a
- x) = x2
non
viene soddisfatta; questo perché:
144(144-89)
¹ 892;
infatti:
892
- 144(144 - 89) = 1.
Quale
sia la «sequenza aurea» fibonacciana utilizzata, il risultato sarà sempre
identico: ±1 (regolarmente alterni di pari passo al procedere di grado delle
triadi auree estrapolate dalla serie) invece di ‘0’. Il fatto si spiega
facilmente, poiché i numeri di Fibonacci sono numeri interi e quindi, come
accennato, lievemente approssimati rispetto all'effettivo valore di S.A. di un
segmento, quest'ultimo, al contrario, sempre espresso da un irrazionale.
Per
conoscere l'esatto valore della S.A. di 144 (a) è sufficiente
moltiplicare il nostro numero per 0,618..., coefficiente, questo (Le Nombre
d'Or), ottenuto dalla formula di seguito esposta e a sua volta derivata
dall'equazione iniziale di cui sopra:
(Ö5-1)/2
= 0.6180339...,
per
cui:
x
= a (Ö5-1)/2.
La
nostra ‘x’ sarà quindi corrispondente a 88,99...
.17
Ora,
tornando alla musica, a qualsiasi unità di misura tale risultato si riferisca
(durate temporali, numero di battute, quantità di note, etc.) si comprende
facilmente che ai fini “artistici” la differenza è assolutamente
irrilevante; ed è bene ribadire che il nostro occhio (arti visive), ed anche il
nostro orecchio (musica), possono essere soddisfatti da valori assai più
lontani da quelli matematicamente esatti riportati sopra, compresi i numeri di
Fibonacci, che già incorporano un livello di approssimazione tanto eccellente
da risultare praticamente inavvertibile alle nostre comuni capacità di
discriminazione sensoriali.18
La
serie di Fibonacci ci appare pertanto come uno straordinario archivio di «sequenze
auree», non a caso utilizzate in svariati modi — alcuni dei quali
estremamente creativi ed ingegnosi — da quasi tutti i compositori che abbiano
sviluppato un qualche interesse per le virtù della S.A..
Ora,
se dal punto di vista pratico l'applicazione di proporzioni auree nelle arti
visive (pittura e architettura ad esempio) può essere facilmente intuito
(ovvero una suddivisione più o meno elaborata dello spazio in porzioni auree)19
in campo musicale — causa non indifferente il fattore «tempo» — la
faccenda risulta assai più complessa.
Per
fare un primo semplice esempio, immaginiamo l'ascolto di un brano musicale
composto da 144 battute in 4/4, e che all'attacco della mis. 90 sia
contraddistinto da un evento timbrico, dinamico o formale di notevole rilievo, o
comunque tale, da farci percepire nettamente la transizione dal primo segmento
di 89 btt. al successivo di 55. In teoria, in fase di ascolto, dovrebbe aver
luogo una percezione auditiva delle due sezioni del brano in proporzione aurea;
a patto però, che la scansione metronomica del «tempo musicale» sia
sufficientemente regolare, metronomicamente costante cioè, così da garantire
una corrispondenza fra lo scorrere del «tempo cronometrico» e il numero di
battute del brano. Sarebbe infatti sufficiente una diminuzione agogica a metà
dell'esecuzione, per rendere nullo l'effetto di S.A. fra i due “segmenti”;
le cui proporzioni, nel caso della nostra elementare esemplificazione, dipendono
esclusivamente dalla sequenza e durata numerico-temporale delle battute.
Un
secondo esempio, molto più elaborato, lo preleviamo direttamente da una delle
partiture più studiate e discusse in materia di “analisi aurea”.
Si
tratta della sezione «A-B», del terzo tempo della Musica per
strumenti a corda, percussione e celesta (d'ora in poi Musik) di Béla
Bartók.
Il
frammento consta di 15 misure in 4/4, e sono presenti due indicazioni
metronomiche diverse: MM. ca. 56 per semiminima per il primo segmento di 11 mis.
e MM. ca. 46 per semiminima per le rimanenti 4. Consideriamo ora la durata
totale del frammento in 60/4 (15×4), dove i primi 14/4 sono occupati da un
episodio introduttivo, i successivi 30/4 da una esposizione tematica e i
rimanenti 16/4 da un episodio risolutivo di transizione che collega il tema
precedente al seguito della composizione. Calcolando ora, mediante
estrapolazione matematica, le durate in minuti secondi dei singoli frammenti e
considerando, inoltre, il «rallentando» tra il passaggio da una
all'altra indicazione metronomica avremo, rispettivamente, circa 15'' + 34'' +
21''.
Benché
l'esempio di primo acchito possa apparire un poco capzioso, credo sia comunque
straordinariamente illuminante, in quanto dovrebbe bene evidenziare l'importanza
basilare delle indicazioni agogiche e metronomiche ai fini di un'effettiva
determinazione di «proporzioni temporali» prestabilite (“auree” nel nostro
caso poiché « 13.21.34 » sono numeri di Fibonacci!) all'interno di strutture
musicali.
Quanto
alla capziosità, siamo coscienti che potrebbe
anche trattarsi di pura e
semplice coincidenza (“faziosità” se volete, per intenderci, un po' come
capita in ambito numerologico quando si rimescolano le misure della Grande
Piramide di Cheope). Ma va da sé, che corrispondenze numeriche di questo genere
— che si presentano con una certa qual piacevole e “curiosa” insistenza
nell'opera bartókiana citata — potrebbero forse celare qualche ulteriore
particolare matematico-simbolico (leggi “istruzioni per l'uso”) forse non
ancora completamente evidenziato nonostante, nel corso degli ultimi
cinquant'anni, il brano sia stato sottoposto a numerose e dettagliate analisi.
A
tal riguardo, è interessante notare cosa diceva una dozzina di anni addietro la
compositrice Sofia Gubajdulina (1991:29):
«[...]
l'aspetto ritmico della musica di Bartók mi interessa moltissimo, al punto che
vorrei studiare a fondo la sua applicazione della Sezione Aurea ».
Sarebbe
assai interessante conoscere su quali particolari aspetti ritmico-proporzionali
della musica di Bartók si volesse soffermare il genio creativo della
compositrice russa, anche perché, già gli splendidi esiti di Stimmen...
Verstummen... (1986) ci facevano auditivamente percepire gli enormi
progressi compiuti dalla musica contemporanea (secondo Novecento) in materia di
«proporzioni auree» e strutture «spazio-temporali».
***
Ma
val la pena darsi tanto da fare per costruire strutture formali di questo
genere?
Sul
fascino esercitato dalle «proporzioni auree» sulla percezione
visiva si è indagato, non poco,
tra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del XX secolo.
Al
tempo, alcuni studiosi rilevarono che l'occhio umano trae un innato piacere per
qualsiasi forma rispetti, anche se in modo approssimativo, le proporzioni di S.A..
Sarebbe
infatti sufficiente un «rettangolo aureo» (ad es. 233×144, per rimanere su
misure fibonacciane) per attrarre il nostro sguardo su di esso e prediligerlo
rispetto ad altri di misure assortite.20
Sembrerebbe
peraltro che parte della stessa struttura geometrica dell'occhio umano sia
riconducibile alle proporzioni di S.A. (cfr. ad es. Montù 1973).
Ma
ancor più interessante, sempre al caso nostro, ricordare che parte della
struttura interna dell'orecchio (coclea), sia sostanzialmente riconducibile ad
una spirale logaritmica: curva matematica questa, il cui grado di perfezione
geometrico dipende esclusivamente dalle «proporzioni auree» che regolano lo
sviluppo delle sue volute.
Ora,
benché tutto ciò ci possa apparire come molto fantasioso e improbabile,
potrebbe forse però aiutarci ad accettare con più facilità l'ipotesi che
anche la percezione acustica di «segmenti temporali aurei» risulti
particolarmente gradita al nostro orecchio. Prendiamo quindi la faccenda della
“coclea” come una metafora, anche perché qui non credo sia opportuno
tentare di approfondire l'argomento, per ragioni di spazio ovviamente, ma non solo.21
Per
cui, svicolando problemi
e “misteri” relativi alla psicoanalisi della percezione visiva e acustica,
tentiamo, per quanto possibile, di districarci tra la selva di simbologie varie
che frequentemente celano e al contempo rivelano, l'utilizzo della S.A. in campo
artistico e letterario.22
Abbiamo
detto della spirale logaritmica. E il nostro pensiero va immediatamente a On
Growth and Form di D'Arcy Wentworth Thompson (1917) e, prima ancora, a On
the Geometrical Forms of Turbinated and Discoid Shells del Rev. H. Moseley
(1838); ma anche alla scrivania di Bartók (Lendvai 1971:29) e a Le Corbusier (Urbanisme
1924). Infine — scorrendo molti altri studi sull'argomento (cfr. bibl.) —
potremmo giungere alle analisi musicologiche, ossia ai già citati Lendvai
(1971:30-34) e Howat.
Quest'ultimo,
in particolare (cfr. ad es. Howat 1983a), ha sistematicamente utilizzato la
spirale logaritmica per evidenziare graficamente le «strutture proporzionali
auree» di alcune composizioni di Debussy: La Mer ad esempio (tanto per
rimanere in tema!) cosicché, qualche tempo dopo (1988), la Revue Analyse
Musicale, dedicando un numero monografico a Debussy, non si lascia sfuggire
l'occasione per mettere in copertina l'immagine di una conchiglia spiraliforme.
E
dal “simbolismo” «esoterico-impressionistico» potremmo giungere a quello
«cosmico-alchemico»: ossia a Stockhausen, o in altre parole, al fatto che
sulla copertina del catalogo della Stockhausen-Verlag, campeggia una
spirale logaritmica lungo le cui volute sono elencate le opere del compositore
tedesco, da Chöre für Doris a Mittwoch aus Licht. O per
“tacere” di un altro fatto: e cioè che fra tutti gli allievi del
compositore alchimista — effettivi (Eötvös e Grisay per fare due nomi non a
caso) o d'adozione (come ha più volte sostenuto d'esserlo Sciarrino) — ben
pochi sono sfuggiti al fascino del “vortice aureo”.
Ora,
se nel proseguo di questo discorso ormai inevitabilmente intriso di aspetti «magico-esoterici»,
rammentassimo pure l'esistenza di due figure geometriche come «pentagono» e «stella
a cinque punte», ci inoltreremmo in un tale ammasso di simbologie
mistico-filosofico-matematiche che nessuno studioso riuscirà mai a sondare in
modo esaustivo.
Ho
accennato alla stella a cinque punte (figura geometrica costruita unendo le
diagonali di un pentagono regolare ma anche, per alcuni di noi, inconsciamente
riprodotta nell'atto di apporre con penna un asterisco su un foglio, senza poi
dimenticare la sua frequente presenza in Natura); quindi forse val la pena
ricordare che le cinque rette che la compongono si intersecano fra loro dando
origine a segmenti in «proporzioni auree». E se la serie di Fibonacci ci
regalava valori approssimati, qui abbiamo a che fare con segmenti la cui
precisione assoluta è espressa da valori irrazionali, il che, agli occhi degli
antichi, dovette apparire come qualcosa di sbalorditivo ed inesplicabile.
Non
a caso i pitagorici attribuirono a questa figura geometrica, «pentalfa»,
particolari proprietà magiche e con buona probabilità, fu per motivi
d'imperscrutabilità e potenza incantatoria delle proporzioni lì e altrove
“divinamente” presenti, che le conoscenze relative alla S.A. furono, fin dai
tempi più remoti, severamente e gelosamente custodite nell'ambito delle «dottrine
esoteriche» (o «dottrine non scritte» se preferite quest'altra espressione).
Ma,
a proposito di pitagorismo, nel 1958, sulla rivista Sophia, appare uno
degli ultimi e straordinari contributi lasciatici da Vincenzo Capparelli.
Trattasi (parlo del lavoro) di uno studio storico sulla S.A. (peraltro di
fattura assai notevole per un ricercatore italiano dell'epoca!) che ne
ripercorre le vicende dall'antichità fino al 1951. Anno da ricordare il 1951,
poiché alla Triennale di Milano si tenne il primo Congresso Internazionale
di studi sulle Proporzioni nelle Arti.
E
qui aprirei una “finestra” (in senso formale sciarriniano).
*
Non
abbiamo idea di quanta risonanza il congresso ebbe in campo artistico e in
particolare nel mondo musicale, ma le date parlano chiaro (come dicevamo
precedentemente, fu il secondo Novecento a invaghirsi, in modo particolare,
della S.A.) e forse varrebbe la pena di approfondire la questione. Comunque, in
concomitanza al congresso — a cui peraltro parteciparono tutti i maggiori
esperti del tempo (Ghyka e Le Corbusier in primis) — la Triennale
allestì anche una bella mostra bibliografica sull'argomento (cfr. Marzoli /
Gnecchi Ruscone 1951).23
Assai interessante notare che nei settori della mostra riservati alla musica,
oltre alle immancabili opere di Boezio, Gaffurio, Zarlino, etc. (vetrina 21; cfr.
op. cit. p. 129), venivano esposte (vetrina 31; id. p. 134) partiture di
Schoenberg (Pierrot Lunaire, op. 21), Webern (Passacaglia), Berg (Lulu),
Dalla Piccola (Il Prigioniero), R. Malipiero (Sinfonia).24
*
Chiusa
la “finestra”. Riprendiamo il discorso.
Il
Capparelli (cfr. 1958:208) attira la nostra attenzione sottolineando il fatto
che, tanto nel Timeo di Platone, quanto nel De Architectura di
Vitruvio, non si parla di S.A.:
«
[...] certo fa meraviglia che Platone non faccia cenno nel “Timeo” di un
tale importante, e a dir così, cosmico dato geometrico ».
In
verità ci sarebbe un passo del Timeo che molti studiosi spesso citano
come chiara esplicitazione del concetto di S.A.. Ma, guarda caso, il passo ben
si adatta anche al più semplice concetto (e assai meno esoterico) di «proporzione
geometrica»:
«
Ma che due cose si compongano bene da sole, prescindendo da una terza, in
maniera bella, non è possibile. Infatti, deve esserci in mezzo un legame che
congiunga l'una con l'altra. E il più bello dei legami è quello che di se
stesso e delle cose legate fa una cosa sola in grado supremo. E questo per sua
natura nel modo più bello compie la proporzione [...] ».25
Effettivamente,
però, in un certo qual modo, un'aura di S.A. avvolge gran parte del Timeo;
e l'apice, a parer nostro (tesi sostenuta anche da altri), si tocca quando al
momento di illustrare la struttura del “quinto solido” — il «dodecaedro»
(12 facce pentagonali!) — Platone, dopo essersi prodigato in una
dettagliatissima dissertazione sulla genesi geometrico-strutturale degli altri
quattro solidi regolari, chiude improvvisamente l'argomento liquidandoci con due
righe:
«
Ma essendovi ancora una quinta combinazione, il Dio si servì di essa per
decorare l'universo ».26
Due
righe, ma del tutto sufficienti per capire che in ballo c'è qualcosa di
estremamente importante dal punto di vista «estetico-filosofico» e «mistico-matematico».
Per
quanto riguarda il “silenzio” di Vitruvio rimando a C. J. Moe (1945:69) e
ancora al Capparelli (op. cit.):
«
[...] bisognerebbe credere che Vitruvio non ne abbia trattato specificamente [della
S.A.], perché le sue applicazioni facevano parte del bagaglio esoterico che
si impartiva segretamente nelle corporazioni di arti e mestieri ».
***
Passa
il tempo, passano i secoli, quelli di Platone, di Euclide, di Vitruvio..., ma la
storia non cambia. Anzi.
Venezia
1509. Il matematico italiano Luca Pacioli fa stampare il suo trattato De
Divina Proportione, portato a termine nel 1498 — con l'aiuto del suo amico
Leonardo da Vinci — e redatto in tre copie manoscritte. Nell'opera
confluiscono gli studi su Platone, Euclide, Campano, Fibonacci, il pensiero di
Piero della Francesca, il sapere di Leon Battista Alberti, i probabili influssi
della filosofia ermetica di Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, i misteriosi
contatti con Albrecht Dürer e molto altro (magia e alchimia comprese): in due
parole, uno spettacolare concentrato di «divina sapienza».
Ecco la dicitura dell'intestazione originale del capolavoro del Pacioli:
DIVINA
PROPORTIONE
Opera
a tutti glingegni perspi /
caci
e curiosi necessaria Ove cia /
scun
studioso di Philosophia: /
Prospectiva
Pictura Sculptu /
ra:
Architectura: Musica: e /
altre
Mathematice: sua /
vissima:
sottile: e ad /
mirabile
doctrina /
consequira:
e de /
lectarassi:
cõva /
rie
questione /
de
secretissi /
ma
scien /
tia.
Dunque
il Pacioli scrive «secretissima scientia» (cfr. Capparelli 1958:210),
il che non lascia più alcun dubbio sugli aspetti esoterici che potevano
rivestire le trattazioni sulla S.A. nell'antichità, al tempo del Pacioli e
anche oggi.
Il
Pacioli, peraltro, sul frontespizio del suo trattato, pone tra le varie «Mathematice»
anche «architettura e musica». E queste due «arti matematiche»,
nell'ambito del discorso che stiamo affrontando, non possono che rimandarci
alle ben note implicazioni esoterico-numerologiche riscontrabili in numerose
composizioni della polifonia vocale del Quattrocento. È sì, stiamo proprio
pensando a Guillaume Dufay e all'architettura del famosissimo e studiatissimo
(anche più della Musik bartókiana) mottetto: Nuper Rosarum Flores.
Salto
pindarico.
Torniamo
cioè all'inizio del Novecento; e più precisamente a La Cathédrale
Engloutie di Claude Debussy (magie e alchimie delle cattedrali!).
L'uso
della S.A. nelle opere del compositore francese è stato indagato a fondo,
come più volte abbiamo sottolineato, dal musicologo e pianista inglese Roy
Howat. Vale la pena però soffermarsi sul famoso preludio pianistico, perché,
fra le altre cose, è uno splendido esempio di numerologia applicata alle «proporzioni
auree».
Il
brano consta di 89 misure organizzate su una segnatura di tempo dall'aspetto
sottilmente ambiguo: 6/4 = 3/2. L'interpretazione dell'autore (conservata su
rullo di pianola) risulta in contrasto con le indicazioni dell'edizione a
stampa (Durand 1910), Debussy suona infatti le 68 btt. “identificabili”
con la segnatura 3/2 (btt. 7÷12 e 22÷83) al doppio del tempo iniziale, da
cui: 89-68=21; 68:2=34; 34+21=55. Inutile ogni commento, purché si rammentino
i termini (8.13.21.34.55.89) della serie di Fibonacci. E anche se Debussy non
si fosse preoccupato di lasciarci in eredità la sua illuminante incisione su
rullo di pianola, sarebbe stato sufficiente dare un'occhiata al manoscritto (o
leggere le lettere di Debussy o contare le battute), per notare che le dodici
crome che compongono la mis. 70 si sono “trasmutate” in altrettante
semicrome, mentre la barra di divisione della successiva misura s'è dissolta
nel nulla: a delucidazione dell'insolita notazione c'è un appunto sulla
destra del foglio che dice: « ces doubles croches sont des croches ».27
Debussy
è affascinato dalla S.A. e dai suoi aspetti esoterici; tanto da utilizzarla
molto frequentemente nelle sue composizioni; e senza perdere l'occasione per
“giocare” con i numeri o lanciare messaggi criptici: come la copertina
della partitura de La Mer (Durand 1905), che per volontà del
compositore porta raffigurata La grande onda presso la costa di Kanagawa
di Katsushika Hokusai.28
Debussy
e Bartók usano deliberatamente la S.A.; e anche se per alcuni studiosi questo
è un fatto ancora discutibile, è assai curioso notare come per i due (benché
appaia chiaramente loro non gradito parlare esplicitamente di S.A.) la
tentazione di lasciare qua e là qualche misteriosa traccia del loro operato
esoterico sia quantomeno irresistibile: questo forse allo scopo di indirizzare
eventuali posteriori tentativi d'interpretazione (ovvero lasciare indicazioni
ermetiche per gli “adepti”) o semplicemente per una sorta di ludico
piacere filosofico-numerologico e cabbalistico (il cui fine è poi
sostanzialmente lo stesso).
Debussy,
peraltro, inviando al suo editore Durand (agosto 1903) le bozze corrette dell'
Estampes, è spudoratamente esplicito:
«
Vous verrez, à la page 8 de “Jardins sous la Pluie”, qu'il manque une
mesure; c'est d'ailleurs un oubli de ma part, car elle n'est pas dans le
manuscrit. Pourtant, elle est nécessaire, quant au nombre; le divine nombre [...]
».29
Quanto
a Bartók, la “leggenda” vuole che durante un'audizione del terzo tempo
della Musik si rivolgesse al violinista André Gertler confidandogli:
« Lo senti? È il mare! ».30
Prendendo
spunto da questo aneddoto, Howat (1983b:68) sottolinea le forti analogie
presenti fra le strutture proporzionali de La Mer di Debussy e quelle
del brano di Bartók, soffermandosi in particolare sul Dialogue du vent et
de la mer e la sezione «B-C» dell'Adagio della Musik, episodio,
quello bartókiano, che Lendvai (1971:29) chiama «roaring of the wind».
Riguardo
ad ulteriori ipotesi su altri ed eventuali aspetti «esoterico-numerici»
insiti nella Musik di Bartók passeremo oltre per ragioni di spazio. Un
appunto però lo facciamo volentieri, in merito alle disparità e incongruenze
riscontrabili dal confronto fra le durate indicate in minuti e secondi sulle
partiture bartókiane e quelle matematicamente deducibili dai tempi
metronomici. Queste discrepanze sono presenti anche nel I e III tempo della Musik,
ma non sono di rilevanza tale da generare dubbi irrisolvibili a livello
interpretativo-esecutivo; comunque sia: «cinquantacinque» secondi (di
durata) indica Bartók per la sezione sopra citata «il soffiare del vento»,
in luogo degli effettivi circa «quarantotto» dedotti dall'indicazione
metronomica.31
Correndo
ora il rischio di contagi «ermetico-esoterici» fra i più avventati, citerò
alcune righe di Bruno Cerchio poste come « avvertenza » alla sua
trascrizione delle 50 fughe dell' Atalanta Fugiens di Michael Maier:
«
La trascrizione delle fughe dell'Atalanta pone diversi problemi. L'originale
reca errori e sviste in quantità tale da far supporre non siano tutti
accidentali, ma che alcuni (soprattutto le note dimenticate e gli sbagli
d'intervallo che, in grazia al meccanismo canonico, possono essere facilmente
corretti) conservino più reconditi significati (siano ad esempio sistemati su
parole e in luoghi ove l'autore voglia attirare l'attenzione). »32
È
meno che un'ipotesi. Ma, talvolta, anche un fatto più che comprovabile e di
cui, in ambito di studi esoterici, è sempre bene tener conto quando ci si
trova di fronte ad un «errore».
***
Tornando ora alle vicende della «divina proporzione», sembrerebbe (questa perlomeno è la tesi maggiormente sostenuta dagli esperti) che dopo gli studi del Pacioli e più avanti di Keplero, una sorta di stasi intellettuale s'instauri nei confronti della S.A. e si protragga, all'incirca, fino alla metà del XIX secolo.
Sarà
il matematico francese Michel Chasles che, preannunciando una rinascita
d'interessi attorno alla S.A. (cfr. Chasles 1837:512-3), diventerà famoso fra
gli addetti ai mestieri (cfr. ad es. Capparelli 1958:200) e ricordato proprio
grazie all'attenta analisi del fenomeno e alla sua profetica intuizione.33
Infatti, poco tempo dopo, alcuni studiosi tedeschi riprendono le indagini
sull'argomento: Adolf Zeising (1854) è il nome più illustre, ma saranno in
molti altri a pubblicare libri il cui titolo è (o comunque fa riferimento a)
«Der Goldene Schnitt».34
Va da sé che nel corso della prima metà del XX secolo gli studi sulla S.A. si intensificheranno ulteriormente e un numero sempre crescente di interessanti saggi verrà dato alle stampe. Inizia così un processo di divulgazione esoterica intorno alla S.A. che i secoli precedenti non avevano mai conosciuto e che neppure lo stesso Chasles avrebbe potuto immaginare.
Alcuni
dei principali esperti del settore rispondono ai nomi di Theodor Andrea Cook,
Jay Hambidge, Gino Severini,35 Matila C.
Ghyka, Charles Funck-Hellet, Elisa Maillard, Le Corbusier. Quest'ultimo, in
particolare, nei primi anni cinquanta pubblicherà due manuali che ben presto
diventeranno famosissimi: Le Modulor (1950) e Le Modulor II
(1955). In questi due testi — contrariamente a Vitruvio — il grande
architetto svizzero tratta diffusamente ed esplicitamente di S.A., tanto da
farne quasi un credo personale; atteggiamento, questo, che non mancherà di
suscitare polemiche e contestazioni.36
Rimandiamo
il nostro lettore al secondo dei due volumi citati — Le Modulor II —
poiché nelle ultime pagine appare uno scritto del compositore greco Iannis
Xenakis, ove, seppur brevemente, il musicista-architetto (peraltro in quegli
anni assistente di Le Corbusier) parla di una sua opera. La composizione è
assai famosa, poiché piacque anche a Hermann Scherchen e fu data in prima
esecuzione sotto la direzione di Hans Rosbaud al Festival di Donaueschingen
nel 1955 (cioè l'anno di Le Modulor II), portando così all'attenzione
del mondo musicale contemporaneo l'originalissimo musicista greco. Stiamo
parlando di MetastaseisB (1953-54); e ciò che qui voglio
sottolineare è che Xenakis, nelle pagine del libro di Le Corbusier,
“dichiara” la presenza del Modulor (ossia un sistema codificato per
l'applicazione della S.A. in architettura) come base elaborativo-progettuale
della struttura compositiva e formale del suo brano.37
Ora,
se oltre a queste testimonianze dirette ed esplicite dell'uso della S.A. da
parte di Le Corbusier e Xenakis, consideriamo: 1) che nel 1954 Stockhausen
scrive il Klavierstück IX (brano la cui partitura, come
successivamente molte altre, è ricca di evidentissime segnature di tempo
fibonacciane)38; 2) che nel 1964 Krenek
scrive Fibonacci Mobile; 3) che nel 1979 Manzoni scrive Modulor
(chiaro “omaggio” ai due architetti precedenti); considerando, quindi,
anche solo questi tre esempi, sembrerebbe che per alcuni compositori e artisti
in genere,39 la premura di tener in
qualche modo celata la presenza della S.A. nelle strutture delle proprie opere
sia in un certo senso svanita. O meglio, a volte, forse più ingegnosamente
mutata nei suoi aspetti reconditi: cioè mutata nei suoi aspetti
tecnico-esoterico-creativi, nell'atto di perseguire un processo evolutivo e
strutturale, orientato verso una ricerca estetica alchemico-scientifica atta a
stimolare una più cosciente appercezione auditiva.40
E ciò è abbastanza comprensibile, non fosse altro per il motivo che il
crescente interesse sviluppatosi nel corso della prima metà del Novecento
attorno agli studi sull'applicazione della S.A. nelle arti, probabilmente
“guastò” un poco l'aspetto esoterico di disciplina per iniziati che tale
materia poteva forse ancora conservare nei primi decenni del secolo.41
Sarà
quindi solo apprestandosi all'analisi delle strutture auree presenti nella
musica contemporanea che ci troveremo di nuovo in campo esoterico riservato a
pochi iniziati.
Per
fare un esempio, l'evidenza grafico-numerico fibonacciana delle segnature di
tempo stockhauseniane è, come dire, inversamente proporzionale alla facilità
di comprensione del processo costruttivo-intellettuale che le ha generate e
organizzate; e non mancano neppure gli “enigmi numerologici”: 142/8 e 87/8
sono le prime due segnature di tempo del Klavierstück IX, entrambe in
difetto (-2) rispetto a F12 (144) e a F11 (89).42
Potremmo
quindi formulare un'ipotesi secondo la quale in tempi moderni l'approccio alla
S.A. in campo artistico musicale sia diventato “più dichiarato”, ma al
contempo, molto più sofisticato ed elaborato nelle sue applicazioni
strutturali, con consequenziali esiti estetico-acustico-percettivi di
straordinaria efficacia.43
Per
cui, possiamo ancor più tranquillamente sostenere che il «gaio fascino
dell'imperscrutabilità del sapere» è ancora una volta salvo.
Non
è questa comunque né una regola né, tanto meno, un atteggiamento
che abbia in qualche modo soppiantato le più antiche e rigorose abitudini di
osservanza del «silenzio ermetico».
Detto
questo, ora dovremmo proprio tacere; come peraltro c'inviterebbe a tacere un
famoso compositore italiano in un suo brano della fine degli anni settanta. Ma
dato che nel sottotitolo di questo scritto si accennava al progressive,
cioè al “rock progressivo” (branca della popular music
sviluppatasi in Inghilterra durante la prima metà degli anni settanta),
occorre prepararsi ad un secondo (e apparente) volo pindarico nel caso siate
interessati a proseguire la lettura.
***
Dunque,
benché il noto compositore italiano del quale dicevamo poco fa, ci rimandi
all'immagine mistico-esoterica di un antico dio egizio che, tramite Plutarco (De
Iside et Osiride), diventa poi (causa un gesto con il quale sembrerebbe
“invitarci al silenzio”)44 simbolo e custode
del sapere esoterico, noi non taceremo per quanto riguarda la musica dei Genesis:
i Genesis, ossia uno dei gruppi progressive-rock più impegnati nel
tentativo di dare una svolta epocale al panorama «stagnante» della popular
music inglese nel corso della prima metà degli anni settanta.45
I
motivi per cui “parleremo” sono fondamentalmente due: 1) perché riteniamo
che il progressive-rock meriti l'attenzione dell'analisi musicologica;
2) perché chi tira in ballo il dio egizio, o qualsiasi
altro simbolo esoterico-alchemico, sa a priori, che prima o poi qualcuno,
compreso l'arcano, infrangerà il silenzio.46
Orbene,
coincidenza vuole che sulla copertina dell'album più amato e commercialmente
fortunato dei Genesis, Selling England By The Pound (1973),47
appaia un elegante disegno nei cui tratti magico-onirici si può notare un
personaggio chiaramente rappresentato nell'atto di «invitare al silenzio».48
«Silenzio» che noi interpreteremo di natura filosofico-ermetica, dato che le
elaborate strutture matematiche riscontrabili in alcuni brani presenti nel
suddetto album, fanno capo ad architetture auree studiate (ovvero
deliberatamente progettate)49 fin nei minimi
particolari.
Ma
non solo. Il contenuto «esoterico-matematico» ivi presente è oltremodo
sottolineato da una foltissima serie di simbologie (giochi di parole presenti
nelle liriche e nei titoli dei brani e degli album, riferimenti numerologici,
dipinti e disegni vari sulle copertine dei dischi di chiara ispirazione
simbolico-ermetica e surrealista) che ci rimandano costantemente all'uso della
S.A. e ai suoi inscindibili aspetti magico-alchemici parzialmente evidenziati
nella prima parte di questo scritto.
Questi
aspetti «mistico-esoterici» riscontrabili in molte composizioni dei Genesis
— basti pensare all'album Foxtrot (1972) e alla lunga suite Supper's
Ready — sono abbastanza noti ai fans del “mitico/mistico” gruppo
inglese, ma non sono mai stati studiati e indagati come meriterebbero. Tra
questi aspetti, quelli «esoterico-matematici», che qui evidenzieremo,
risultano a tutt'oggi, in assoluto, i più affascinanti e del tutto
sconosciuti.50 Purtroppo
in coda a questo scritto non potremo occuparci in modo particolareggiato
dell'argomento, e ci limiteremo quindi a segnalare solo qualche significativo
dato matematico musicale rimandando il lettore interessato, in particolare a
due altri nostri piccoli interventi pubblicati sulla rivista Dusk: Italian
Genesis Magazine (n. 38feb2002), in cui si è tentato di esemplificare le
strutture compositive genesisiane attraverso una rappresentazione
grafico-matematica di alcune partiture.
Ora,
però, nell'apprestarsi ad analizzare la struttura ritmico-metrico-formale di
un brano di popular music — più precisamente di progressive-rock
—51 ci si trova subito a dover far fronte
ad un problema non indifferente, ossia la mancanza di partiture
“originali” sulle quali basare le nostre indagini. Come spesso capita
anche per il jazz, non è infatti possibile reperire partiture di popular
music complete di tutte le parti;52 ed è
per questo motivo che le nostre analisi si basano esclusivamente su partiture
“arbitrarie”, ossia da noi stessi «trascritte a orecchio» (annotate su
pentagramma per così dire) dalla fonte audio originale (cioè Lp e/o Cd). In
musicologia questo procedimento non è massimamente obiettivo e può creare
qualche problema di ordine soggettivo-interpretativo; specialmente in un caso,
di per sé già abbondantemente discusso, come quello relativo alle
metodologie utilizzate per determinare l'effettiva presenza della S.A. nelle
strutture formali di una composizione (nel caso nostro per di più di musica
rock!). Ma credo non ci siano alternative, poiché le partiture (diciamo
“spartiti”) di popular music oggi disponibili sul mercato, sono per
lo più abbozzi molto superficiali che non rendono
minimamente l'idea della sostanza musicale effettiva confluita in molta musica
progressive.53
Ma
veniamo rapidamente al dunque. I grafici proporzionali pubblicati sulla
rivista Dusk si soffermano in particolare su un brano dei Genesis del
1973: precisamente il terzo dell'album SEBTP sopra citato (brano
peraltro assai famoso e uno dei più amati dai fans del gruppo inglese)54
ed il cui titolo, apparentemente misterioso e intraducibile, alla luce del suo
probabile recondito significato (cioè agli occhi di un iniziato alle
simbologie “auree”) risulta già di per sé assai eloquente: Firth of
Fifth.55
L'analisi
della struttura formale della composizione — benché qui solo sommariamente
esposta nel sottostante prospetto — evidenzia alcuni aspetti e peculiarità
assai originali:
n. |
sezione |
tonalità |
battute |
segnatura |
mm.ss. |
1) |
Pf.
(preludio) |
Si
bem. magg. |
34
(54+1) |
var.
(su 390/16) |
0:00 |
2) |
Voce
(I parte) |
Si
magg. |
31½ |
4/4 |
1:07 |
3) |
ponte
mod. |
- |
7 |
4/4 |
3:05 |
4) |
Fl.
(tema) |
Mi
min. |
13¼ |
4/4 |
3:30 |
5) |
Pf.
(svil. tema) |
Do
min. |
8½ |
4/4 |
4:10 |
6) |
Synth
(solo) |
Si
bem. magg. |
34
(54+1) |
var.
(su 390/16) |
4:34 |
7) |
Chit.
el. (solo) |
Mi
min./magg. |
55 |
4/4 |
5:46 |
8) |
ponte
mod. |
- |
2 |
4/4 |
8:27 |
9) |
Voce
(II p. ripr.) |
Si
magg. |
11 |
4/4 |
8:34 |
10) |
Pf.
(coda in dissol.) |
Mi
magg. |
(8) |
13/16 |
9:15 |
- |
- |
- |
- |
- |
9:33 |
Vedi
ad esempio il numero delle battute, facilmente riconducibile (anche se con
approssimazione) ai valori della serie di Fibonacci (...8.13.21.34.55.etc.);
oppure le durate temporali calcolate al minuto secondo su una tra le più
esoteriche serie matematiche di derivazione fibonacciana e di cui, sul finire,
segnaleremo alcune straordinarie ed imprevedibili coincidenze facilmente
riconducibili alla sua presenza «occulta». Ma, probabilmente, ciò che
maggiormente si rende necessario evidenziare, è la struttura fortemente
asimmetrica dei due assolo tastieristici, organizzati su segnature di tempo
del tutto inusitate per un brano rock; e la cui metrica, in continua
variazione fra binario e ternario, conferisce ai due episodi una tensione
dinamico-propulsiva di grande efficacia. Questa complessa struttura dà così
origine ad una sorta di nucleo generativo sfociante: il primo (pf),
nell'attacco della prima sez. vocale, ed il secondo (synth), nel vasto assolo
di chit. el., entrambi, non a caso, su segnatura 4/4, giusta e distesa
risoluzione del primigenio turbine ritmico precedente.
Questi
due episodi strumentali, dal punto di vista strutturale e metrico-ritmico,
sono assolutamente identici: si tratta di una struttura formale AABCDAA che si
sviluppa su 390/16 di durata complessiva. Cioè 390 semicrome che, in questo
particolare caso, corrispondono anche alle 390 semicrome della linea melodica
conduttrice. Precisazione necessaria quest'ultima, poiché sia il numero
effettivo di note di una melodia, sia quello determinato dalla sommatoria dei
valori grafico-temporali delle segnature di tempo, possono costituire, in
musica, riferimenti simbolico-numerologici. Due casi famosissimi sono, ad
esempio, quello delle 14 e 41 note del tema del corale bachiano BWV 668
(leggenda vuole ghematricamente corrispondenti ai nomi BACH e JSBACH),
l'altro, quello delle 6432 crome della “Sonata per due pianoforti e
percussione” di Bartók (Lendvai 1971:96). Due casi straordinari a cui il
tastierista dei Genesis, Tony Banks, si è evidentemente ispirato.
Ma
ora, per maggiore chiarezza, riportiamo la complessa struttura metrica e
ritmica del brano, anche se la lettura dei dati estrapolati dal contesto della
partitura può risultare disagevole: nell'elenco vengono indicate segnature di
tempo, numero delle battute, scomposizione ritmica e sottoscomposizione
metrica dei blocchi di 13/16, 15/16, 21/16 e 24/16; da quest'ultima hanno poi
origine i due possibili conteggi che alternativamente ci possono consegnare
totali fibonacciani di 34 o 55 (54+1) battute:
sez.
A1 :
2/41 (4+4) + 12/162 (3+3+3+3) + 2/83 (2+2) +
2/44 + 13/16 [9/165 (3+3+3) + 2/86 (2+2)];
sez.
A2 :
2/47 + 12/168 + 2/89 + 2/410 +
13/1612;
sez.
B :
2/413 (4+4) + 13/16 [9/1614 (3+3+3) + 2/815
(2+2)] + 13/1617 + 13/1619 + 13/1621;
sez.
C :
15/16 [9/1622 (3+3+3) + 3/823 (2+2+2)] + 15/1625
+ 15/1627 + 15/1629;
sez.
D :
21/16 [2/430 (4+4) + 9/1631 (3+3+3) + 2/832
(2+2)] + 21/1635 + 21/1638 + 24/16 [2/439
(4+4) + 12/1641 (3+3)+(3+3) + 2/842 (2+2)];
sez.
A3 :
2/443 + 12/1644 + 2/845 + 2/446 +
13/1648;
sez.
A4 :
(a) 2/449 + 12/1650 + 2/851 + (coda) 2/452
(4+4) + 2/453 + 2/454...+4/455.
Con
questi dati alla mano crediamo non sia troppo arduo risalire (calcolando il
numero di semicrome per sezione) ad una serie matematica ricorrente di
derivazione fibonacciana, i cui valori corrispondono appunto, al numero totale
delle semicrome contenute nelle varie sezioni del solo, mentre le sommatorie
parziali, per aggregazione strutturale delle medesime, porta, sempre tramite i
valori della serie che qui andiamo ad indicare, al totale di 390/16:
30.30.60.90.150.240.390.
In
altre parole (numeri se volete!), si tratta dei primi 7 valori della serie di
Fibonacci (1.1.2.3.5.8.13), ma ciascuno moltiplicato per 30 (Fn30).56
Ora,
premettendo che questo particolare tipo di tecnica di applicazione della S.A.
è riscontrabile anche nella polifonia vocale fiamminga — in Dufay ad
esempio (Nosow 1993) —, sarebbe quantomeno assai interessante tentare di
capire come, Tony Banks — ovvero il tastierista dei Genesis e nella
fattispecie il principale responsabile della struttura compositivo-formale di Firth
Of Fifth —, sia arrivato a concepire un progetto architettonico tanto
meticoloso che, peraltro, partendo dal nucleo “centrale” del solo di synth,
si estende poi fino ad abbracciare l'intera struttura formale della
composizione.
Quindi
se in Dufay siamo disposti ad ammettere che numerologia e ghemàtria sono, per
così dire, un substrato esoterico-intellettuale della composizione
inscindibile dal valore intrinseco dell'opera, non dovrebbe esser troppo
bizzarro ipotizzare che un gruppo rock dal nome biblico (Genesis), che
esordisce nel 1969 con un album il cui titolo è ancora più esplicito — From
Genesis to Revelation — e che prima di giungere alle elaborate strutture
auree presenti in SEBTP pubblica, nel 1972, un lavoro — Foxtrot
(op. cit.) — in cui compare una lunga suite — Supper's Ready (cit.)
— all'interno della quale le simbologie e riferimenti all'Apocalisse
di Giovanni (libro cabbalistico per eccellenza) non si contano, possiamo ben
immaginare, dicevamo, che il numero «30», coefficiente generatore della
serie di derivazione fibonacciana, non sia capitato lì per caso.
Il
«30», per tradizione cabbalistica, è simbolicamente associabile al numero
dei giorni compresi nell'arco di un mese: solo per fare un “curioso”
esempio, il «390», guarda caso, compare anche nel Libro di Ezechiele
(4:9); ossia in un testo biblico che sprigiona altrettanto fascino esoterico
quanto il precedente, ed il cui contenuto visionario ha interessato, fra gli
altri, anche un compositore “serissimo” come Luciano Berio.
Inoltre,
il «390» — ci piace ancora sottolineare — risulta corrispondente alla
durata in minuti secondi del primo tempo della Musik di Bartók! Ma per
tranquillizzare il mio paziente lettore diremo che sono solo
“coincidenze”;57 anche se forse, collegate,
o comunque potenzialmente collegabili fra loro, da una di quelle misteriose e
sotterranee connessioni cabbalistico-alchemiche che tanto affascinavano i
compositori medievali (come quella, per fare un'altro esempio, delle «ruote»
di Ezechiele che sono anche le «ruote» degli alchimisti!).
Potremmo
forse chiamarle «curiose coincidenze». Quindi, continuando su questa strada,
potremmo citare quelle del misterioso titolo del brano, che in origine
probabilmente doveva essere «Firth of Forth»: logica e semplice deduzione
poiché il testo del brano narra del Forth, ossia il fiume scozzese che
forma il grande estuario, «firth» in inglese, sul quale si affaccia la città
di Edimburgo; e che, invece, tramite uno stratagemma (una sorta di «cabbala
fonetica» di tradizione alchemica: cioè dato che Forth, il fiume, si
pronuncia come «fourth» che invece significa “quarto”...)58
si trasforma in Firth Of Fifth, ovvero il titolo del nostro brano. O
per “tacere” dell'ancor più misteriosa e “occulta” «serie degli
evangelisti»,59 il cui dodicesimo (!) fattore
(555) corrisponde a quello della durata in minuti secondi della struttura «aureo
temporale» del brano (“coda” esclusa! come sottolineerà poi un
successivo album del gruppo intitolato per l'appunto A Trick Of The Tail);
venendo così a determinare un percorso fra i più esoterici e
cabbalisticamente intricati, come forse solo un Dufay, col suo Nuper
Rosarum Flores, è stato in grado di partorire. Un magico e “mistico”
percorso che dal Vangelo di Matteo (nella fattispecie dalla parabola dei «pani
e dei pesci»)60 ci conduce, attraverso i
Genesis ed il loro brano I Know What I Like (brano il cui testo cantato
fa esplicito riferimento al «giardiniere» rannicchiato su una panchina sulla
copertina di SEBTP), a riallacciarci alla straordinaria prosa
logico-matematica e ai giochi di parole di quel Lewis Carroll, che tanto ispirò
la fantasia dei Genesis (vedi ad es. la copertina dell'album Nursery Crime).61
Ma
Carroll — che insegnava matematica a Oxford e che era uno studioso di
Euclide, oltre che di “paradossi matematici”! —, per una qualche
straordinaria coincidenza (se ancora di «coincidenze» credete si possa
parlare), pare abbia “incuriosito” anche l'autore di quel brano
clavicembalistico bizzarramente intitolato Hungarian rock (la cui
metrica asimmetrica, detto per inciso, è la stessa di quelle utilizzate ed
elaborate dal progressive rock); e che — aggiungiamo infine, dopodiché
“taceremo” a tutti gli effetti! (G.P.) —, nel 1968 scrisse quell'altro
brano, ultimo dei dieci che sono, sotto la cui ventunesima (!) e penultima
batt...
«
There was a long pause.
“Is
that all?” Alice timidly asked.
“That's
all,” said Humpty Dumpty. “Good-bye.”
»
Gaudenzio
Temporelli
NOTE:
1
«Unica
importante assenza nell'Enciclopedia è la “musica leggera”. Oggi essa ha
ormai raggiunto una tale rilevanza, non solo quantitativa, e una tale varietà
di tecniche e di stili che il trattarne con la dovuta attenzione avrebbe
richiesto uno spazio ben superiore a quanto era possibile racchiudere in un solo
volume, [...] »; questo parte di quanto si può leggere sul finale della
premessa alla “garzantina” (1996). Ovviamente la questione è assai
discutibile poiché, applicando la stessa metodologia di esclusione, di tutto
ciò che per ragioni di spazio non è possibile approfondire, si sarebbe dovuto
eliminare anche l'intero corpus delle voci riferite al jazz. Ma non vogliamo qui
aprire una polemica: pensiamo sia sufficiente leggere la parte finale di questo
scritto per rendersi conto dell'insensatezza di scelte, anticulturali e oggi del
tutto anacronistiche, come quelle che tendono a separare nettamente i generi
musicali. (torna)
2
Riferimenti
di natura musicale nei molti studi di carattere generale sulla S.A. pubblicati
anteriormente al 1950, sono relativamente pochi, e per lo più si limitano ad
evidenziare le analogie riscontrabili tra la S.A. e le proporzioni intervallari
dei vari sistemi musicali pitagorico, naturale e temperato. Esiste peraltro un
libro Muzikale Vormleer, pubblicato ad Arnhem nel 1934 da M. A. Brandts
Buys, in cui, stando a quanto si legge in Snijders 1969:65, il musicista
olandese tratterebbe di musica e S.A. in modo più approfondito, con riferimenti
all'architettura e alle strutture formali della musica, il tutto illustrato con
l'ausilio di disegni e grafici. (torna)
3
È del 1971 Béla
Bartók: An analysis of his music, ossia la più fortunata fra le
pubblicazioni lendvaiane sull'analisi “aurea” nelle strutture musicali
bartókiane. Il libro — dal contenuto assai “esoterico” — non mancherà
di dar vita a numerose critiche e controtesi, influenzando e promuovendo
pertanto una successiva e considerevole mole di studi analoghi ad opera di altri
ricercatori. Lendvai, comunque, prosegue le sue pubblicazioni su Bartók e la
S.A. fino al 1985, e anche oltre (cfr. bibl.). Peraltro va ricordato che il
primo scritto lendvaiano (in ungherese) sull'argomento, sta in Bartók Stílusa,
Zenemûkiadó, Budapest 1955 (op. cit. ad es. in: Gillies/1986, questi uno dei
più accaniti detrattori delle tesi lendvaiane); pochi anni dopo seguiranno una
versione del lavoro in francese (Lendvai/1956) e una in tedesco (id./1957); poi
altre simili, di cui un paio in inglese (cfr. bibl.), fino ad arrivare al citato
libro del 1971; la cui traduzione italiana giunge purtroppo solo nel 1982 e solo
in: NRMI. Lendvai/1971 è tuttora reperibile in libreria (Pro Am Music Resources,
1991), il che conferma la fortuna e la grande notorietà di tale pubblicazione.
(torna)
4
A Howat,
oltre al notevole lavoro su Debussy del 1983, va senz'altro riconosciuto il
merito di esser stato forse l'unico ad argomentare in modo chiaro e articolato
le numerose critiche ad una “presunta superficialità” delle analisi
lendvaiane. Ma il Gillies (1986:291), di cui abbiamo già detto, rincara pure la
dose indicando come « too kindly » le « inaccuracies »
lendvaiane puntualizzate dallo Howat. (torna)
5
Numerose
anche le tesi universitarie (cfr. ad es. Condat 1988:183-186 o il RILM). (torna)
6
Cfr. Della
Seta 1989:76. Resterebbe peraltro da appurare se i teorici medievali “sapevano
e tacevano” o se semplicemente “ignoravano” la presenza di strutture
aureo-esoteriche nella musica del loro tempo. (torna)
7
« Mirabilis
itaque est potentia lineae secundum proportionem habentem medium duoque extrema
divisae » è la visione “illuminata” (e “illuminante”) che il
matematico e astronomo Campano da Novara (XIII sec.) ebbe nei riguardi della
S.A.: un' “aurea” visione filosofico-matematica, per così dire, che non
può esser certo sfuggita a quanti nel Medio Evo cercavano la sublimazione
estetica dell'opera d'arte nella teoria delle proporzioni e nella mistica del
numero. L' edizione latina degli Elementi di Euclide curata da Campano
(1255-59 ca.), da cui proviene il passo citato, godette peraltro di grande
diffusione e fu una delle più studiate durante tutto il Medioevo; testimoni
sono i numerosi manoscritti dell'opera pervenutici e le altrettanto numerose
edizioni a stampa pubblicate nei secoli successivi (cfr. Francis S. Benjamin,
Jr. and G. J. Toomer,
Campanus of Novara and Medieval Planetary Theory, The University of
Wisconsin Press 1971, pp. 12-13); tra queste edizioni — a suo modo “mirabile”
— quella curata da Luca Pacioli per Paganinum de Paganinis, Venezia 1509 (cfr.
XIV/10, c. 137v per la citazione di Campano). (torna)
8
Jonathan D.
Kramer (1988:303) fa i nomi di una quarantina di compositori — da Machaut a
Webern — nelle opere dei quali sono state riscontrate (in sede di analisi)
tracce più o meno evidenti di proporzioni auree. Ma rivolgendo la nostra
attenzione alla sola musica composta nella seconda metà del XX secolo, ci si
accorge ben presto che tale numero potrebbe essere di gran lunga più elevato. (torna)
9
La più
completa trattazione storico-geometrico-matematica oggi disponibile è
Herz-Fischler/1987. Il nostro scritto, inoltre, non indagherà gli aspetti
concernenti le tesi sulla percezione del «tempo musicale» e la possibilità di
alterare la nostra sensazione di “durata” mediante opportune tecniche “illusionistiche”.
In altre parole il problema relativo alla comparazione fra lo scorrere del
«tempo cronometrico» e i probabili differenti effetti psicologici di
«persistenza temporale» dovuti alla percezione della scansione
metronomico-agogica (cfr. Stockhausen 1957; Dorfles 1959:167-202; Manzoni
1979/80; Tagg 1983). E neppure indagheremo l'applicazione della S.A. agli altri
parametri musicali quali ad esempio le proporzioni intervallari o le dinamiche.
Ci limiteremo, invece, alla semplice analisi della effettiva «durata
temporale» di una composizione, con particolare riferimento agli aspetti
esoterici, numerologici e cabbalistici. (torna)
10
Cfr. le
proporzioni intervallari e quelle degli armonici: la «sesta» e la nota «LA»
in particolare (cfr. Zeising 1854:414ss. e Lalo 1908a:58nt.1), potrebbero
talvolta aver assunto un preciso significato simbolico-compositivo. (torna)
11
I passi da
Euclide sono tratti da Gli Elementi di Euclide, a cura di A. Frajese e L.
Maccioni, UTET, Torino 1970. (torna)
12
Con «divisione
in media ed estrema ragione» s'intende il nostro moderno concetto di
suddivisione di una retta in S.A. (Goldener Schnitt o Stetige Proportionen per i
tedeschi, Golden Mean o Golden Section per gli inglesi, Section d'Or o Le Nombre
d'Or per i francesi, etc.); « [...] habentem medium duoque extrema divisae »
diceva Campano, come abbiamo visto; poi Luca Pacioli la chiamò Divina
Proportione. Per quanto riguarda l'origine del termine « Sezione Aurea »,
sembra che sia apparsa per la prima volta nell'opera Die reine
Elementar-Mathematik di Martin Ohm, Berlin 1835 (cfr. ad es. Enc.
It. Treccani,
1936, XXXI:561 e Herz-Fischler 1987:168). Ma
occorre ricordare che già Keplero nel Mysterium Cosmographicum (1621)
aveva usato (qui unitamente al teorema pitagorico) parole “bellissime”: «
Duo Theoremata infinitae utilitatis, eoque pretiosissima, sed magnum
discrimen tatem est inter utrumque. Nam prius, quod latera rectanguli possint
tantum, quantum subtensa recto, hoc inquam recte comparaueris massae auri:
alterum, de sectione proportionali, Gemmam dixeris » (J. Kepler,
Gesammelte Werke, Bd. VIII,
Bearbeitet von F. Hammer, C. H. Beck'sche, München 1963, p. 74). Matila
Ghyka, infine (influenzando un gran numero di studiosi successivi), fa il nome
di Leonardo: « le nom de “section dorée” lui fut donné par Léonard de
Vinci [...] »; ma non ci dice altro (cfr. Ghyka 1931, II:79). (torna)
13
Sull'effettivo
cognome di Leonardo da Pisa (o Pisano) è stata fatta un po' di confusione poiché
il Boncompagni nell'Ottocento trascrisse e pubblicò diversi documenti in cui il
nome del matematico medievale era seguito da indicazioni come « filiorum
bonaccii » o « filio Bonaccij » (cfr. Boncompagni
1854:2-3), ma il nome del padre era Guglielmo e Bonaccio un antenato, per cui al
tempo di Leonardo la cognominizzazione del nome dell'avo era definitivamente
avvenuta (M. Muccillo, Diz. Biogr.
degli It., Vol. 47, Ist. della Enc. It., Roma 1997). (torna)
14
Il quesito
dei conigli Fibonacci è proponibile in una domanda tipo: « Quante coppie di
conigli producono in un anno un paio di conigli posti in un recinto ammesso e
concesso che la coppia di origine produca una nuova coppia ad ogni mese e che
queste ultime diventino similmente produttive dal secondo mese di vita? ». Si
tratta di un problema ludico-matematico vecchio quanto il mondo e per la
risoluzione del quale (se non avete voglia di divertirvi) rimando allo stesso
Fibonacci (1857:283-4), oppure ai seguenti autori moderni: Vorobyov 1961:2;
Powell 1979:227-29. (torna)
15
La
denominazione «Serie di Fibonacci» si deve al matematico francese Édouard
Lucas. Precedentemente questa successione periodica veniva indicata come «Serie
di Lamé», e prima ancora, benché le sue proprietà fossero alquanto note, è
probabile che non venisse affatto “nominata”. Lucas rivendica la [ri]scoperta
della serie al Fibonacci: « mais aucun des auteurs dont nous venons de
parler, n'a attribué à Fibonacci l'honneur de la découverte de cette série
si remarquable » (Lucas 1877:135); proseguendo poi (cfr. op. cit.)
in un vasto e dettagliatissimo studio matematico nel corso del quale emerge una
nuova serie ricorrente: 1.3.4.7.11.18.29... (id. p. 167), e che in seguito
verrà a sua volta denominata dagli studiosi come «Serie di Lucas» (cfr.
Powell, 1979:228). (torna)
16
Per maggior
correttezza matematica l'inizio della “serie” andrebbe notato: 0.1.1.2.3...,
da cui la numerazione dei singoli termini Fn , ossia F0 =
0, F1 = 1, F2 = 1, F3 = 2, F4 =
3, ... F14 = 377, etc. (cfr. Powell 1979:229); per cui i termini
riportati dal Fibonacci sarebbero i primi quattordici ma con l'elusione del
primo e dello “0”. (torna)
17
Va notato che
55:89 = 0,6179775...; 89:144 = 0,6180555...; 144:233 = 0,6180257... etc.; cioè
mano a mano che ci si eleva nei valori della serie il coefficiente aureo
ottenuto è sempre più vicino al «Numero d'Oro» 0,6180339... . (torna)
18
Una
dimostrazione efficacissima di quanto affermato risiede in un famoso «paradosso
geometrico» di natura ottico-illusionistica: un quadrato scomposto in quattro
parti mediante tagli diagonali su segmenti di lato corrispondenti a misure
fibonacciane, viene successivamente ricomposto formando un rettangolo aureo la
cui area si vede aumentata (o diminuita) la superficie di una unità rispetto
alla figura di partenza; ossia da un quadrato 21×21 si ottiene un rettangolo 34×13
(cfr. ad es. Scimone 1997:97-100). (torna)
19
Sull'argomento
cfr. ad es. Funck-Hellet 1932 e 1950 (pittura), e Scholfield 1958
(architettura). (torna)
20
Famosi sono
gli studi condotti in questo campo dallo psicologo tedesco G. T. Fechner (1876)
e dal francese C. Lalo (1908b): sottoponendo ad alcuni soggetti una serie di
rettangoli il Fechner rilevò che le proporzioni risultavano notevolmente più
gradite quando il rapporto tra base e altezza era prossimo a quello aureo di
0,618... (cfr. H. J. Eysenck, La Psicologia Sperimentale dell'Arte, in «
Psicologia dell'Arte », Enc. Univ. Dell'Arte, Sansoni, Firenze 1963. (torna)
21
Un indagine
sistematica sul fascino auditivo insito nelle proporzioni auree potrebbe anche
annullare l'effetto acustico-percettivo più naturale. Sembrerebbe quindi che il
motto alchemico « Arcana publicata vilescunt; et gratiam prophanata amittunt
» nasconda una verità molto più “scientifica” di quanto possa apparire
di primo acchito. Se ad esempio la lettura attenta di Esthétique des
Proportions nell'edizione Le Rocher (cfr. Ghyka 1927) può alterare le
nostre capacità ottico-percettive per un lasso di tempo straordinariamente
lungo (immaginiamo sia possibile fare qualcosa di analogo anche in campo
musicale), non è altrettanto vero che tale “magia” possa “funzionare”
sempre e con gli stessi risultati. Quello relativo alla percezione della S.A. è
sostanzialmente un delicatissimo problema psicologico-alchemico appercettivo in
parte involontariamente adombrato in: A. Ehrenzweig, The Psychoanalysis of
Artistic Vision and Hearing, Julian Press, N.Y. 1953. (torna)
22
Letterario
nel senso degli scritti dei teorici della S.A. in genere; ma anche in senso
poetico letterale; in altre parole, si veda ad esempio uno dei casi più
straordinari: G. E. Duckworth, Structural Patterns and Proportions in Vergil's
Aeneid, University of Michigan Press 1962. (torna)
23
Il nostro
interesse specifico nei riguardi della mostra — oltre agli importanti
documenti antichi esposti — si rivolge in particolare alla struttura modulare
della stessa esposizione: opera dell'architetto Francesco Gnecchi Ruscone e “occultamente”
organizzata sulla serie matematica: 210-335-545-880-1425-2305. (torna)
24
Quindi ancora
niente Debussy e niente Bartók. Siamo nel 1951, è vero, ma nel suo studio
sulla S.A. il Douglas Webster, l'anno prima, già faceva i nomi di Bach, Haydn,
Mozart, Beethoven, Brahms, fino ad arrivare ai due da noi più volte citati e
aggiungendovene nel mezzo molti altri; ed inoltre, indicando numero delle
battute e pure alcune durate in minuti secondi. Anche la relazione tenuta al
convegno da Hans Kayser — musicologo ted. (1891-1964) assai impegnato in studi
mistico-esoterici-armonicali — non sembrerebbe entrare nello specifico. (torna)
25
Cfr. Platone/Timeo,
a cura di G. Reale, Bompiani, Milano 2000, pp. 92-95. È assai curioso, a tal
proposito, notare che nell'ambito di uno stesso libro — peraltro profondissimo
— si adottino entrambe le posizioni interpretative (G. Reale, Per una nuova
interpretazione di Platone, Vita e Pensiero, Milano 199720, cfr.
pp. 289 e 649). (torna)
26
Platone/Timeo/Reale,
op. cit., pp. 160-1. (torna)
27
I manoscritti
sono pubblicati da Dover (cfr. Howat 1985a; ma anche 1985b). Vedi inoltre: Ch. Burkhart,
«Debussy plays “La Cathédrale Engloutie” and solves metrical mystery», Piano
Quarterly, n. 65, 1968, pp. 14-26. (torna)
28
“La Grande
Onda” è probabilmente l'opera più celebre del grande maestro giapponese, la
cui arte influenzò numerosi pittori francesi di fine Ottocento: Degas, Manet,
Lautrec, Monet, etc.; le opere di Hokusai piacevano anche a Debussy, ed è
abbastanza noto come in esse sia riscontrabile la presenza della S.A.. (torna)
29
Cfr. Debussy
1927:10; per un'analisi del brano si veda anche Howat 1983a:136-8. (torna)
30
Cfr.
Szabolcsi 1961:91; Kárpáti 1994:384. La citazione originale deriverebbe, come
indica lo Szabolcsi, da Agatha Fasset, Béla Bartók's american years: the
naked face of genius, Houghton Mifflin, Boston 1958. (torna)
31
Tra i due
sistemi di misurazione questa è la maggior discrepanza rilevabile nell'ambito
del terzo tempo della Musik. Va comunque precisato che fondamentale e
basilare punto di partenza logico-razionale per qualsiasi azzardata ipotesi
simbolico-interpretativa di queste discrepanze, rimane il paragrafo « Tempo,
Metronome, Duration » in: Somfai 1996:252ss. (torna)
32
M. Maier, Atalanta
Fugiens (1617), vers. moderna a cura di B. Cerchio, Ed. Mediterranee, Roma
1984, p. 281. (torna)
33
Nella sua
opera « Aperçu historique sur l'origine et le développement des Méthodes
en Géométrie » (Paris 1837), Chasles cita tutti: da Pitagora a Campano,
dal Fibonacci al Pacioli; Leonardo, Dürer, Boezio, Keplero, compresi Kircher e
Paracelso; spaziando quindi da una geometria matematico-filosofica ad una
geometria matematico-alchemica. (torna)
34
La
bibliografia tedesca sulla S.A. compresa nel periodo che va dallo Zeising (1854)
al Reis (1990) conta almeno una trentina di titoli specifici, alcuni più volte
ristampati. Peccato che proprio il testo fondamentale dello Zeising — che, pur
nel limite delle conoscenze dell'epoca tratta anche di musica (cfr. pp. 414-444)
— non sia mai stato ristampato. (torna)
35
Sul pensiero
del pittore italiano si veda: Gino Severini. Dal
cubismo al classicismo e altri saggi sulla divina proporzione e sul numero d'oro
[scritti e doc. 1919-64 in lingua orig. franc.], a cura di G. Pacini, Marchi e
Bertolli, Firenze 1972. A Parigi (città d'adozione del Severini dal 1906) nel
periodo 1911-25 nacque e operò un movimento pittorico denominato La Section
d'Or (cfr. Howat 1983a), con relativa e omonima esposizione (Parigi 1912):
di assoluto interesse il fatto che il Severini definì questi pittori (Villon,
Duchamp, Gris, e altri) come “empirici”. (torna)
36
« Il
Modulor prevede un tal numero di lunghezze che alla fine ogni composizione può
essere giustificata » (N. Pevsner), cfr. Zevi 1957:508. Questo è
assolutamente vero. E può capitare qualcosa di analogo quando ci si ostina nel
ricercare proporzioni auree e corrispondenze numeriche varie in una struttura
musicale. Per questo motivo, crediamo fermamente che occorra farsi attrarre non
dal “numero”, ma dall' “estetica del numero” e dai suoi infiniti
significati. In altre parole, non produrre o cogliere corrispondenze
proporzionali mediante il calcolo matematico fine a se stesso ma farsi guidare
dall'istinto musicale e dal senso estetico. Non a caso poi, Le Corbusier,
affermerà: « Le Modulor, je m'en fiche! ».(torna)
37
Cfr. anche le
note introduttive, sempre di Xenakis, alla partitura di Metastasis e l'articolo
pubblicato sui Gravesaner Blätter (1957). (torna)
38
Cioè
segnature dove il numeratore corrisponde ad un valore della serie di fibonacci
(13/8, 21/8, etc.); cfr. anche le molte pagine manoscritte (schizzi, appunti e
studi su partiture) riprodotte nel terzo volume dei Texte (Stockhausen
1971:44-46, 70, 74, 90, 94-95, 159-163) in cui appaiono frequentemente tracce
grafico-numeriche di sequenze fibonacciane. (torna)
39
In pittura, dopo il Severini, Carrà affermerà espressamente di credere
nell'utilizzo della S.A. (cfr. C. Carrà, 12 opere di Carlo Carrà presentate
da S. Catalano con una dichiarazione dell'artista, Ed. del Milione, Milano
1945). (torna)
40
Ma a tal proposito, va inoltre considerato che la S.A. può essere utilizzata
anche come “semplice” metodologia matematico-compositiva, senza prestare
quindi particolare attenzione ai suoi eventuali aspetti magico-esoterici. (torna)
41
Il Moe (1945:59), già negli anni in cui scriveva, notava con disappunto che il
tema della S.A. era « ormai completamente logoro ».(torna)
42
Dal punto di vista matematico i valori «142» e «87» corrispondono a
sommatorie di sequenze fibonacciane: ossia 1+2+3+5+8+13+...55 (cfr.
Henk 1976 e Kramer 1988:314). (torna)
43
Questo
indipendentemente che ci si voglia calare o meno nei panni del compositore «mago-alchimista»:
pensiamo ad esempio a due casi estremi come Stockhausen e Manzoni, dove la
purezza delle strutture matematiche di alcune composizioni di quest'ultimo (il
citato Modulor, o anche brani recentissimi come O Europa! e Il
clamoroso non incominciar neppure) nulla hanno da invidiare alla ricerca
alchemica della «bellezza cosmica» del primo. (torna)
44
Il gesto, sotto certi aspetti discutibile, è quello di un dito, l'indice,
avvicinato alla bocca perpendicolarmente al naso; ovvero questa sarebbe
l'immagine più esplicitamente comunicativa, ma agli effetti poi quasi mai
realmente riscontrabile nell'iconografia e nella scultura antiche pervenuteci. (torna)
45
Ho usato la parola «stagnante», perché oltre ad essere il titolo di uno dei
primi brani dei Genesis che fanno capo a strutture formali molto elaborate (Stagnation,
cfr. l'album Trespass del 1970), è anche la parola usata, poco tempo
dopo, da un giovane musicista, Steve Hackett, in un annuncio da lui pubblicato
sul Melody Maker e notato da Peter Gabriel (una delle principali menti creative
dei Genesis), annuncio che gli frutterà l'ingaggio come futuro nuovo
chitarrista della band: «Guitarist/writer seeks receptive musicians
determined to strive beyond existing stagnant music forms». Gabriel non a
caso risponderà ad Hackett proprio invitandolo ad ascoltare Stagnation (cfr.
A. Gallo, Genesis: I Know What I Like 1998:32, ultima ed. di un libro
intervista già pubblicato, anche in tr. it., nel 1978/80/87). (torna)
46
Certo è che dopo aver citato il motto di J. V. Andreae può sembrare una
contraddizione in termini decidere di indagare in modo approfondito là dove “non
dovremmo”; ci appelliamo quindi al nostro primo “buon motivo”. Inoltre non
possiamo ignorare l'evidenza del fatto che l'utilizzo di simboli ermetici abbia
tra i suoi scopi principali quello di lasciare tracce «occulte». (torna)
47
Assolutamente affascinante l'ipotesi che potremmo qui avanzare secondo la quale
l'uso della S.A. potrebbe aver determinato influenze positive sulla ricezione
estetica di questo lavoro e, nella fattispecie, di alcuni brani contenuti
proprio nell'album citato. (torna)
48
Il disegno che appare sulla copertina di SEBTP è opera della pittrice
Betty Swanwick (1915-1989). Il caso è molto interessante poiché il dipinto era
preesistente e piacque ai Genesis; ma questi, però, ne commissionarono poi
all'autrice una versione leggermente modificata da alcune piccole aggiunte, così
da renderlo apparentemente ispirato al testo di un brano dell'album. (torna)
49
La dimostrazione dell'intenzionalità non è suffragata dalle sole, sia pur
numerosissime, coincidenze numerico-simboliche, bensì dal processo
costruttivo-creativo che può essere portato alla luce dall'analisi capillare
delle strutture musicali di alcune composizioni. (torna)
50
L'unico studio che conosciamo in cui si sia prospettata la possibile presenza
di strutture «aureo-proporzionali» nella musica rock (studio in cui peraltro
non si fa cenno al repertorio genesisiano e si propende in generale più per la
tesi della presenza “casuale” piuttosto che per quella “intenzionale”)
è: Joachim
Jacobitz, Steige Proportionen in Balladen der Rockmusik, in «Musica»,
50/6, 1996, pp. 414-417. Fra i brani sommariamente analizzati dallo
Jacobitz c'è però Child in Time dei Deep Purple, cioè il più
straordinario brano di heavy-metal che ci sia dato di conoscere: ci
bastano le alchimie delle parole e le radici esoteriche del genere musicale
(poi, ahimè, inevitabilmente degenerato!) per farci intravedere la via
ermetica. Esiste infine la fondamentale testimonianza del musicista e musicologo
Franco Fabbri (chitarrista degli Stormy Six), che ha più volte sottolineato il
suo personale interesse per l'applicazione in musica della S.A. e dei numeri di
Fibonacci, e quello, analogo, del suo collega inglese Fred Frith (chitarrista
degli Henry Cow): maggiori dettagli in F. Fabbri, Album Bianco2,
Arcana, 2002, pp. 183-4. (torna)
51
La distinzione è d'obbligo, poiché la differenza riscontrabile fra le
strutture formali e ritmico-compositive di un brano dei Beatles ( popular
music) e uno dei Genesis (progressive), è quella che potremmo
riscontrare dal confronto fra una sonata di Scarlatti e una sezione de Le
Sacre du Printemps. Nell'azzardato parallelo tra il progressive e il Sacre
emergono inoltre interessanti analogie con le ben note difficoltà di
rappresentazione ritmico-metrico-grafica insite in talune sezioni dell'evento
sonoro stravinskiano (cfr. E. W. White, Stravinskij Mondadori, Milano
1983, p. 248). Va peraltro aggiunto, che il progressive-rock deve la
stragrande maggioranza delle sue asimmetrie ritmiche e strutturali ad un Bartók
(cfr. ad es. i quartetti IV° e V° o le Six Dances in Bulgarian Rhythm).
Ci sarebbe inoltre da esaminare il caso di Time Out (1959) di Dave
Brubeck e la possibile influenza esercitata da quest'opera pseudo-jazzistica sui
musicisti rock durante gli anni sessanta (cfr. Fabbri, op. cit. p. 67). (torna)
52
In verità
non crediamo esistano manoscritti originali, completi di tutte le parti, delle
musiche da noi analizzate. Siamo infatti convinti che se uno Stravinsky poteva
avere dubbi e ripensamenti su come notare la Danse Sacrale (cfr. White,
op. cit.), dal canto loro, molti musicisti progressive avranno di certo
incontrato non poche difficoltà nel tentativo di annotare correttamente su
pentagramma tutto quanto andavano suonando (ossia poliritmie, polimetrie e
rispettive segnature di tempo fortemente irregolari); soprassedendo quindi,
probabilmente, alla stesura completa delle parti, anche perché non
indispensabile per esecuzioni ad opera degli stessi musicisti-compositori. (torna)
53
Negli ultimi
anni, in fatto di partiture rock, qualcosa di più interessante si è iniziato a
pubblicare, ma per lo più si tratta, quasi esclusivamente, di partiture/tabulature
per chitarra elettrica (vedi ad es. le performances hendrixiane, qualcosa dei
Pink Floyd, Dream Theater, etc.). Ci sarebbe peraltro da esaminare il caso assai
problematico, e per certi versi forse rivoluzionario, delle “partiture”
trascritte mediante computer, poiché se da un lato costituiscono un esempio di
anti-musicalità per eccellenza, dall'altro, la precisione matematica che a
tratti possono rivelare apre la strada a infinite possibilità creative. (torna)
54
In relazione a quanto riportato dalla nota 47 si possono scorrere con interesse
i risultati di alcuni sondaggi effettuati tra i fans italiani dei Genesis (Dusk
- Genesis Italian Magazine, n. 18, mag. 1996), che mettono in luce le
preferenze di questi nei riguardi dei brani e degli album del gruppo. (torna)
55
« Del quinto suo mirabil effecto » dice il Pacioli nel Divina
Proportione. “Quinto” dei tredici “effetti”, ossia le peculiarità
“mistico-matematiche” che il Pacioli attribuisce alla S.A. (cfr. Pacioli
1956:35). Ricordiamo inoltre il pentagono, il pentalfa, la formula della S.A.,
la “quinta” di Beethoven (cfr. Haylock 1978), la “quinta” di Sibelius (cfr.
Jalas 1955), Il quinto quartetto di Bartók (cfr. Perle 1967), e così via,
senza dimenticare la «E» di Plutarco e il «55» di Giamblico (cfr. Teologia
Aritmetica). (torna)
56
Alcune sottosezioni e le successive sommatorie di queste, generano valori di 33,
57, 87, 93 e 147 semicrome; dove le stesse approssimazioni di ± 3 sedicesimi,
compensandosi vicendevolmente, evidenziano ulteriormente la straordinaria natura
matematica della costruzione numerico formale del brano. La serie Fn30
viene peraltro utilizzata ben oltre al suo settimo termine
(...390.630.1020.etc.).
Ma è
impossibile rendere un'idea complessiva ed esauriente dell'architettura
dell'intera composizione senza l'ausilio di un grafico proporzionale
dimostrativo, per cui, rimando ancora una volta il lettore interessato a Dusk38
e ss. (torna)
57
Considerando anche solo l'aspetto logico matematico della coincidenza, non si
potrà sottovalutare il fatto che chiunque si appresti ad analizzare
capillarmente le durate cronometriche delle sezioni del primo tempo della Musik
(scomponendo cioè il totale di 6 minuti e 30 secondi in «porzioni
temporali auree» per trovare delle corrispondenze con l'effettivo scorrimento
agogico-metronomico della partitura), si troverà, ben presto, a gestire durate
in secondi corrispondenti ai valori della serie Fn30. Val la pena
rammentare che le analisi lendvaiane furono pubblicate a Londra (in inglese)
proprio negli anni in cui i Genesis lavoravano al loro repertorio (cfr. ancora:
Fabbri, op. cit.). (torna)
58
Il gioco di parole veniva già in parte chiarito nel 1973 da Armando Gallo
(fotografo e biografo/intervistatore ufficiale dei Genesis), in una nota posta
in calce alla sua traduzione italiana del testo del brano; traduzione compilata,
da quanto si narra, con l'aiuto e la supervisione dello stesso Peter Gabriel e
apparsa nell'interno di copertina della versione italiana dell'album SEBTP
- Lp Charisma 6369 944 A. (torna)
59
Per maggiori ragguagli sulla Evangelist's Sequence si veda Powell
1979:230ss. (torna)
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Evangelist's Sequence ossia “Serie degli Evangelisti”, infatti questa
suggestiva denominazione sembrerebbe avere un origine associativo-numerologica
riconducibile al noto passo tratto dai Vangeli che narra il miracolo della
moltiplicazione dei pani e dei pesci: «Poi prese i cinque pani e i due pesci
[...] » (Mt. 14,19); e di seguito: « [...] degli avanzi portarono via
dodici sporte [...] » (Mt. 14,20); ma anche (passo fondamentale!): « [...]
prese quindi i sette pani [...] » (Mt. 15,36). Abbiamo pertanto il 2,
il 5, il 7 e il 12, cioè i primi quattro termini di questa nuova «serie
aurea»: 2.5.7.12.19.31.50.81.etc. Cfr. ancora il Powell (1979:268n5) che a sua
volta ci rimanda a: Georges Arnoux, Musique Platonicienne - Âme Du Monde,
Paris 1960. (torna)
61 L'Alice di Carroll, nel famosissimo racconto, incontra un topo la cui “storia” o “coda” (Tale = Tail in inglese!) ha l'aspetto di una spirale; poi, al «Mad Tea-Party», incontra il Cappellaio e questi si lancia in una disquisizione esoterica sul «Tempo» musicale e cronometrico: « If you knew Time as well as I do... »; poi incontrerà i tre «giardinieri»... la Regina... e ... il sorriso enigmatico dello Cheshire Cat che già precedentemente le aveva “rivelato”: «...we're all mad here. I'm mad. You're mad... You must be, or you wouldn't have come here ». (torna)