NICOLA CIOLA

Cenni biografici

Nicola Ciola è vissuto ben poco a Genzano (dove è nato il 7-8-1915 da Francesco e Donata Caputo), poiché ha studiato e insegnato sempre fuori. I soggiorni genzanesi sono stati a volte frequenti ma sempre momentanei; tuttavia il paese è spesso presente nella sua ispirazione, coi ricordi dell'infanzia, con la genuinità del sentire, con l'attaccamento a determinati valori che la città e la cosiddetta civiltà hanno distrutto o mortificato.

Dopo aver conseguito la laurea in Lettere Classiche, si è dato all'insegnamento nelle Scuole Superiori, esercitando il suo magistero professionale per tantissimi anni soprattutto a Napoli, dove vive. Intelligente e curiosus, non si è limitato ad approfondire e tradurre poeti greci e latini, ma si è interessato di problemi diversi, frequentando, fra l'altro, corsi universitari di medicina e

laureandosi in Giurisprudenza. La sua profonda sensibilità, unita alla misura che la cultura classica in genere dà, gli ha permesso di guardare in faccia alla realtà con occhi disincantati, senza mai assumere (almeno a livello artistico) atteggiamenti snobistici o di moda, senza mai fermarsi alle apparenze, ma andando in fondo alla sostanza delle cose con chiarezza e autonomia di idee. Di carattere schivo e pensoso, libero da imposizioni e schemi, non si è piegato all'andazzo che lo circondava. Ha scritto spinto più dall'intima vocazione che dal desiderio di successo, per alimentare o consolidare il quale ha fatto pochissimo.

Nicola Ciola è essenzialmente un poeta. Fino a oggi ha pubblicato le seguenti raccolte di liriche: 1) Il viatore e la Sfinge, Milano, «La Prora», 1938; 2) II mare nella conchiglia, Padova, Rebellato, 1967; 3) II canto dei poeti, Bari, Laterza, 1976. Per quest'ultimo libro ha usato lo pseudonimo Sereno Déspero che, fuori simbolo, potrebbe significare: uomo tranquillo grazie a Espero, la stella che annunzia e accompagna la sera, il crepuscolo che all'orizzonte inarca l'infinito, apportando pace e serenità dopo la fatica e il tormento del giorno. (…)

Nel volume II canto dei poeti confluiscono molte poesie della prima raccolta e tutte quelle della seconda (con spostamenti e ricomposizioni), le raccolte inedite e una lunga serie di traduzioni dai classici antichi (soprattutto Alceo, Saffo, Leonida, Meleagro, Paolo Silenziario, Catullo, Orazio, Lucrezio, Marziale) e dai moderni europei (come Baudelaire, Rimbaud, Verlaine, Mallarmé, Valéry, T.S. Eliot, Jimenez, Seferis, Benn).

Le sezioni sono le seguenti: Colloqui col Vùlture, II canto dei poeti, Visibile silenzio, La vela e il vento, II serpe e il colibrì, Pasìfile, Asfalti, Epigrammi, Gli epigrammi di Marziale. Anche quantitativamente l'opera si presenta di tutto rispetto: oltre alle traduzioni sparse qua e là, ci sono più di 300 componimenti personali.

Dalla lettura di queste poesie e dalle dichiarazioni dell'Autore è facile ricavare la poetica che sta alla base di quasi tutta la produzione. Fondamentale a tale fine è la presentazione in sovraccoperta de Il canto dei poeti che centra, a nostro parere, i punti focali sia della poetica che della collocazione storicoculturale dell'opera.

Ciola ama una poesia chiara, realistica, nuova nella sostanza e nell'anima che le da vita, e non nella forma fine a se stessa.

Perciò la Neoavanguardia e gli sperimentalismi non l'hanno toccato, come pure ha sempre assunto una posizione polemica di fronte allo stesso Ermetismo. La parola deve essere sì una «conquista artistica, ma anche un ritorno all'immediatezza del sentire» e la poesia deve essere «una viva presenza umana che si stende in un discorso largamente lirico e melodico». Ciola però, lungi dal voler risolvere tutto nel significato, nel contenuto (che è un altro estremismo estetico da evitare), sostiene che contano principalmente i valori fonici attraverso i quali si veicola il messaggio e intende la poesia soprattutto «come 'melos', poiché senza melodia le parole cadono inerti ne suscitano immagini: che è segno di spenta fantasia, la quale è luce, capacità di rappresentazione» (Presentazione cit.). L'illuminazione improvvisa, lo stupore e l'armonia, la perfetta chiusura del componimento sono le caratteristiche della poesia, il cui simbolo può essere il serpe, «il quale, nel sospeso stupore dell'attimo in cui, visto non visto, sbuca e s'imbuca (brevità del raptus poetico), tale incanto dietro si lascia, musicale, infinito, da coinvolgere terra e cielo nella sua conclusa voluta, circolare, perfetta» (Presentazione cit.). Ogni componimento veramente riuscito da l'impressione di un'armonia che lenta s'avvicina, poi si allarga e infine a poco a poco si attenua e svanisce: così il cerchio si chiude perfettamente. (*)

(*) Fonte: M. Battaglino, Origine di Genzano di L.,Potenza, Zafarone & Di Bello, 1981

 


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