Ettore Lorito - GENZANO DI BASILICATA - CRONOGRAFIA

 

         

P.G. - Cap. I - Origini del Paese


Il fiero Genzano, come lo definisce il Laccetti, é di origine antichissima e il suo natale risalirebbe all'epoca dei primi abitanti della penisola italiana.

Le numerose caverne disseminate lungo i margini dei valloni che circondano il paese servirono di asilo ai primi abitanti della zona.

I nostri vecchi, per tradizione e per conoscenza personale, raccontano di oggetti, vasi strani di pietra, ossa umane, ossa di animali, monete, armi ecc. ecc. rinvenuti in dette caverne quando, a mano a mano, furono trasformate in depositi di vini o di paglia.

Nella primavera del 1897 anche agli alunni della quinta classe elementare frequentata dallo scrivente, capitò di osservare in una delle grotte del Vallone dei Greci, così ricche di salnitro, che il pirotecnico  Vito Arcangelo Padovani fabbricava polvere da sparo in un mortaio ricavato da uno strano recipiente di pietra ed usava come pestello una specie di clava, anch'essa di pietra durissima, ornata di scanalature.

Il tutto era stato rinvenuto durante gli scavi colà eseguiti. Facemmo notare gli oggetti al nostro Maestro, Michele Bovio, ed apprendemmo che trattavasi di arnesi appartenenti agli uomini primitivi ma che, deformati come erano dal lungo uso a cui erano stati destinati, non avevano più alcun valore.

In verità il nostro bravo insegnante, che d'arte se ne intendeva (1), addolorato dalla recente perdita del ventenne figlio, Dantuccio, aveva smesso ogni attività e lasciò perdere la cosa che non poca luce avrebbe fatta sulla storia del nostro paese.

Apprendemmo, non è molto, dall'ottantenne cavapietre, Pasquale Santoro (2), di recente scomparso, che quando era ancora giovanetto, scavando in quella zona col fratello e il padre, avevano rinvenuto, tra gli altri, un cadavere intero di proporzioni gigantesche e completamente pietrificato.

Questi ed altri fatti del genere dimostrano che quelle caverne furono veramente abitate in tempi remotissimi.

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(1) Il Bovio aveva una ricca collezione di monete, armi, vasi, oggetti del pa­ganesimo rinvenuti in quelle grotte, a Monteserico, a Festula, e a San Giustiello, ma non si sa ove sia andata a finire. E' autore di non pochi quadri alcuni dei quali furono acquistati dal Re Umberto I. Nel gabinetto del Sindaco si ammira una sua tela rappresentante il Savonarola.

(2) Al Prof. dr. Giuseppe Cristalli il Santoro confermò quanto all'autore aveva riferito.  

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P.G. - Cap. II - I primi abitatori della Regione


Gli storici concordemente affermano che la culla del genere umano sia stata il centro dell'Asia e che di lì si sparsero per tutto il mondo le prime Tribù non appena i bisogni di vita, crescenti col crescere della popolazione, imposero una tale necessità.

Nel terzo movimento espansivo verso l'occidente, si ebbero i primi sbarchi nelle isole Egee da parte dei più audaci, chiamati Galli, che vuol dire «esploratori».

Approdarono anche nel fondo dell'attuale golfo di Taranto (Sinus Basilicus) in luogo detto Tursi, che significa: Porta dell'Occidente.

Alcuni di questi ardimentosi risalirono le vallate dei fiumi e si accamparono intorno al meraviglioso lago che circondava il luogo ove sorse poi la città di Potenza.

Detto lago, per la sua limpidezza, chiamarono « Base», che significa « Lago Lucente», ed il fiume che dal lago scaturiva, dissero Basento.

Naturalmente i Galli attendati in questa zona si dissero Basi, per distinguerli da quelli che presero altre vie, e la Regione si disse Basilicata o Basilicata.

Sopraggiunte, in epoche posteriori, altre e più numerose tribù, quando il lago era scomparso, e col lago la parola che lo rappresentava, i nuovi arrivati chiamarono il capo degli abitanti esistenti lì col nome generico di Lucana (Lu-Kan) ossia re del luogo, lucani gli abitanti che a lui ubbidivano e l'intera Regione venne detta Lucania (1).

Altri esploratori, saliti lungo le rive del Bradano e del suo affluente Basentello, si fermarono nei punti più elevati e sorsero i paesi della nostra zona.

A tale epoca preistorica rimonterebbe l'origine di Genzano, come si riscontra in una delle più belle leggende tramandate dai nostri antenati.

LEGGENDA                                      

Si narra che Jens, oltre ad essere il più bello dei giovani pastori della regione, era un valentissimo cacciatore ed un divino suonatore di flauto. Le melodie che ricavava dal suo magico strumento incantavano anche le belve più feroci.

La fama del prodigioso pastore arrivò sino al Re dei Vasi o Basi (2) che lo fece cercare per sollevare il velo di improvvisa tristezza abbattutasi sull'animo della bella figliola.

Le misteriose melodie incantarono quelle rozze anime primitive e fecero ritornare il sorriso sulle labbra della superba San.

Ma a poco a poco quelle note scesero nel cuore della giovinetta... e fiorì l'amore.

I due giovani si amarono in silenzio con la schiettezza e la violenza delle anime semplici. Una notte scomparve il canoro pastore e, con lui, la bella San.

I giovani innamorati salirono, per sentieri impraticabili, lungo le rive del Bradano sino alle caverne abitate dalla famiglia di Jens inutilmente inseguiti dagli scherani del furibondo Re.

Per onorare la bellissima ospite e Regina e per darle un degno e più sicuro ricovero, si decise di fondare una nuova sede sulla colline che dominava le caverne fino a quel momento abitate, sede che dal nome dei fortunati amanti, si chiamò: Jénsan'(3), indi Jénzano (4) poi Gensano sino alla fine del 1600, ed in ultimo Genzano.

PARERI DI ALCUNI SCRITTORI    

Gli studiosi, che casualmente si occuparono del nostro paese, senza fermarsi intorno alle origini, affermano che il nome di Genzano sia derivato da quello gentilizio «Gentius» che per primo ne fu signore (5). L'esistenza di tale personaggio ritrova conferma nella «Platea di tutti li corpi de' Territori posseduti dal Rev.mo Capitolo della Terra di Genzano, eseguita il 20 Maggio 1734 dal R. compassatore Berardino Ferrara di Capracotta provincia di Lucera e contrada del Molise», il cui originale trovasi in casa Polini.

Nella relazione finale di detta Platea si legge: "che li territori del Rev.mo Capitolo di Tomola 607 e mezzo provengono dal fu Genziani".

Sta di fatto che nel catalogo dei Baroni Normanni è registrato un Raul de Genziano, ma i Normanni apparsero in Italia Meridionale il 1016 (6) e Genzano, come si vedrà nel Capitolo seguente, ufficialmente apparve nella storia circa otto secoli prima.

Noi siamo d'accordo sull'esistenza del valoroso Raul ma invertiamo i termini e sosteniamo che il signore prese il nome dal luogo preesistente che governava, come normalmente avveniva.

Molti ritengono che il nome derivi da Gentianum, e starebbe ad indicare «Gente abitante il luogo salubre».

Siro Corti nel suo libro: « Le Province d'Italia » - Paravia 1889, lo crede fondato nel X secolo col nome di Cyntianum.

L'avvocato De Nozza Alfonso è d'avviso che il nome del nostro paese derivi da «Gensanus» e sta ad indicare, gente antica, gente vecchia, e ciò perché nell'idioma latino, “gens“ significa "gente" e "anus" significa "antica, vecchia".

Questo parere concorda con la leggenda avanti riportata ed è perciò da noi condiviso, a parte tutto ciò che si è detto intorno alle origini ed al nome, di certo Genzano fece parte della Magna Grecia, ne fanno fede le numerose monete greche di tutte le epoche, rinvenute dentro e fuori l'abitato attuale, inoltre il popolo ha conservato, con la semplicità e durezza dei modi molti usi e costumi greci negli sposalizi, nei riti funebri, nel modo di vestire, come ha conservato nel dialetto moltissime parole greche: osserva Tommaso Andreucci per la sua Grottole (e l'osservazione vale per quasi tutti i nostri paesi) che la consegna della chiave dell'abitazione alla sposa non appena mette piede in casa dello sposo, (in uso a Genzano sino a pochi anni indietro); il trasporto della biancheria e del corredo della "zita" (sposa) in canestri scoperti; gli archi trionfali formati con due lunghe canne legate ad una delle estremità e rivestite di nastri colorati, con fazzoletti serici pendenti; l'ispezione al lenzuolo, o a qualche altro capo di biancheria... per assicurarsi se Imene sia stato propizio agli sposi (da poco disusato), sono di origine greca.

Del pari, nei riti funebri, sono di origine greca: l'uso di raccogliere l'ultimo respiro del moribondo e di chiudere gli occhi al morto da parte del parente più prossimo; il piangere i morti con i capelli sciolti da parte delle nostre donne; l'assoldare persone per far piangere e tessere le lodi del defunto, da parte delle famiglie agiate (disusato); mettere nella bara delle monete perché l'estinto possa pagare Caronte (disusato) ; portare il “cunsule“ cioè il pranzo di conforto che, a turno, i parenti e gli amici offrono alla famiglia colpita dal lutto; il modo di vestire delle nostre donne del popolo, usato sino a qualche decennio fa, era prettamente greco.

Nel nostro dialetto si conservano ancora moltissime parole di origine greca, ed infatti: l'agnello tardivo si dice “curdasch (e)" dal greco "χσρτον" che significa ultimo nato (7); il grande "caldaio" che usano i pastori, si dice "caccav(e)" dal nome greco "χαχπαβή ; il nome della catena di ferro che sostiene il "caldaio", nel dialetto nostro si dice "camastr (e)" dal greco "πρεμάστηρ"; un terreno ingrassato con lo sterco delle pecore, si dice "cortigli (e)" che deriva dal  greco "χòμρον = sterco e stalla"; allora allora, si dice « tan tan » dal greco "ταμος = allora" (8); al capo al capo, si dice "a u pomic (e) a u pomic (e)" dal greco "Ποιμήν = pastore, guida (9) "; "tat(à)"(10), padre, deriva dal greco "τατά" (3) che significa: "babbino"; il padre si chiama anche "attan(e)" dalla parola greca "άττά" che significa "padre"; "vastas(e)" si chiama il portatore di grossi pesi e deriva dal greco "βαστάςω" che significa: portare, sollevare; tavut (e) si dice la cassa funebre, dal greco "τάφος" che significa: fossa, sepoltura; la centr (e) si chiama in dialetto il chiodo, dal greco "χέντρον"; "rumat (e)", si chiama il letame, dal greco "ρùμα" che significa: sudiciume; là stilla si dice "stèzz(e)" dal greco "στάξω" che significa: gocciolare (9) ecc. ecc., infine uno dei tre valloni che circondano l'abitato porta il nome di Vallone dei Greci.

Disgraziatamente non é pervenuto a noi nessun documento relativo a dette epoche perché tutto venne distrutto dagli incendi, spesso dolosi, che si susseguirono in danno degli archivi comunali l'ultimo dei quali, il più disastroso, risale al 1825 e distrusse anche l'archivio della Congrega di Carità che aveva in custodia gli atti delle comunità, degli enti, degli ordini religiosi soppressi, con le leggi del 1769 e del 1799, nonché i codici del Castello di Monteserico.

Molti altri documenti, dai quali si potevano attingere sicure notizie, furono sottratti... per non dar modo al Comune e al nuovo Stato Italiano di rivendicare le innumerevoli usurpazioni, e al popolo il modo di conoscere certe improvvise fortune.

Alcuni pensano (non vi é conferma di sorta) che un tempo Genzano, come gli altri borghi vicini, dovette essere un pago della antica Banzi.

Secondo il Giannone, i Lucani vivevano divisi in piccole borgate molte delle quali avevano un foro, una curia, i comizi e i magistrati comuni, questa riunione essi chiamavano Civitas, ed il luogo dove si riunivano chiamavano Urbs.

In conseguenza la città di Bantia non era formata da soli bantini ma dagli abitanti di tutta la confederazione dei borghi che formavano la Repubblica Regionale di cui Banzi era come la Capitale.

Cosi si spiegherebbe il fatto della Tavola Bantina rinvenuta il 1793 in Oppido antica (Opinum), dal Racioppi collocata presso la "Serra Gravinese", "Aia Vetere" che è nel territorio di Genzano.

Il signor Domenico Cardacino, proprietario in detta contrada di una vasta e moderna azienda agricola, ha rinvenuto una serie di tombe a circa tre metri di profondità dal suolo, alcune di esse completamente vuote, altre con delle sole ossa umane; in una sola, tra quelle esplorate, si è rinvenuto un piccolo spadino arrugginito.

Le tombe sono formate di lastroni di pietra ed alcune hanno il coperchio di terra cotta, manca il segno della Croce per cui sono di epoca anteriore al Cristianesimo.

Nella stessa zona il signor Cardacino ha scoperto i resti di una conduttura di acqua, tutto ciò avvalora l'ipotesi dell'esístenza colà di un centro abitato che potrebbe essere "Opinum" del Racioppi.

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(1) Michele Mancini. Origine preistorica dell'uomo in Italia, della città di Potenza e della provincia di Basilicata. Melfi. G. Grieco. 1907.

(2) Nel nostro dialetto la lettera b, in molti casi, si cambia con la lettera v; esempio Vocca per bocca; vasi per baci, ecc. ecc.

(3) Michele e Lorenzo Trusolino

(4) In dialetto si dice ancora: Jenzano. Lo storico Camillo Porzio, nella " Congiura dei Baroni contro Ferdinando I d'Aragona ", scrisse: ...si perdette Spinazzola  e Jenzano.

(5) Flechia, Laccetti, Gattini, Cherubino.

 (6) Rinaudo. Storia del Medio Evo.

(7) Il significato letterale è : giovinetta, (termine propriamente dei poeti bucolici).

(8) T. Andreucci, opera citata.

(9) Dott. Prof. Pasguale Mainenti

(10) Dott. Prof. Cappiello.  

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P.G. - Cap. III - Cenno storico


I romani, cresciuti in potenza, ad uno ad uno soggiogarono i popoli vicini e vennero anche a contatto con quello della nostra regione.

Spesso furono alleati, il più delle volte furono nemici acerrimi, nel 280 A. C. i lucani, alleati con Taranto, contribuirono validamente alla famosa vittoria di Eraclea riportata da Pirro contro Roma, ma, partito il Re dell'Epiro, i lucani rimasero esposti alle rappresaglie romane e, nonostante il loro indiscusso valore, vennero più volte sconfitti.

L'anonimo cronista, di cui parlammo nella precedente pubblicazione «Sotto l'Arco di Eros», ritiene che uno degli scontri più sanguinosi tra i romani e i lucani avvenne nel "tirritorio di Genzano", sulla sinistra del Bradano, in contrada Mattina.

Tale affermazione é avvalorata dalle numerose tombe con scheletri e armi, rinvenute in quelle campagne dai nostri agricoltori, tombe appartenenti ai soldati romani seppelliti colà durante gli ultimi combattimenti che soggiogarono i bellicosi lucani, ma dopo Canne i lucani, vinti ma non domi, ripresero le armi e si allearono con Annibale.

Proprio in agro di Genzano, nei pressi del Basentello, ebbe inizio il famoso rastrellamento delle sbandate legioni romane in rotta verso Venosa per la Via Numicia che dal borgo Silvium (Guaragnone) (1) menava a quella città (2).

Distrutta Cartagine, Roma restò assoluta signora dell'Italia e anche molte città della Lucania furono ridotte a Prefetture di Roma.

In conseguenza della guerra civile, nella quale la nostra Regione si buttò per salvarsi, ottenne il diritto della cittadinanza romana e definitivamente depose le armi.

Nella prima metà del secondo dell'era volgare sotto l'imperatore Adriano, avvenne la prima circoscrizione territoriale e nel 238 la Lucania divenne una Provincia romana.

Tramontata la potenza di Roma, la Lucania subì, come il resto dell'Italia, le devastazioni dei barbari, così la prosperità, lo splendore della nostra Regione tramontò, Genzano subì le dolorose vicende della Regione.

Ingrandito dai Longobardi, nel 589 fece parte del nuovo stato di Benevento.

Sotto i Longobardi non furono mantenute le esistenti circoscrizioni provinciali, sorsero invece i Ducati, con le minori circoscrizioni, Castaldati, Contee, ecc. Tra l'849 e l'851 il nostro Borgo passò, con, metà del Castaldato di Acerenza (Melfi, Venosa, Forenza, Spinazzola, Gravina) a Siconolfo dopo la sconfitta dei Saraceni e in conseguenza della suddivisione dei Ducato di Benevento per ordine dell'Imperatore Ludovico.

GENZANO APPARE UFFICIALMENTE NELLA STORIA   

Il nome di Genzano, per i motivi precedentemente citati, appare nella storia molto tardi, nel terzo secolo dell'Era Cristiana.

Nel Martirologio Romano esistente nella Cattedrale di Potenza, è detto: Il giorno 30 agosto, tra gli altri, vanno commemorati i Santi coniugi Bonifacio e Tecla oli Adrumento (Africa), i quali ebbero dodici figli maschi, tutti fervidi Cristiani, martirizzati sotto l'Imperatore Massimiliano mentre venivano trasportati a Roma, e precisamente: quattro a Potenza (Oronzo, Onorato, Fortunato, Sabiniano) il 27 agosto; tre a Venosa (l'Arcidiacono Felice, Settimo e Ianuario) il 28 agosto: tre in Vestiniano, casale di Venosa, (Vitale, Satiro e Riposto) il 29 agosto; i due ultimi a Gemano, ecco come: Correva l'anno 258 dell'Era Cristiana; su per la valle del Bradano si avanzava una schiera di cavalieri che trasportavano in mezzo a loro, seminudi, laceri, stanchi, due prigionieri (gli ultimi dei dodici fratelli) di nobile prosapia.

Venivano dall'Africa ed erano stati catturati dal Console Valeriano per essere condotti a Roma dove l'attendeva l'orrenda morte del Circo perché seguaci della religione cristiana.

Per Cosenza, Potenza, Venosa il giorno delle calende di settembre, la comitiva " iter agens Gensanum pervenit partem Apuliae" (3) e quivi sostò e, preparate le are, si accinse a sacrificare in onore di Giove e di Ercole.

I due prigionieri si rifiutarono di prendere parte ai sacrifici ed il console li fece decapitare.

Marco, vescovo di Troia, trafugò di notte i corpi dei due martiri, seppellendoli nelle sua sede Episcopale.

Nel 760 a cura di Arechi, duca di Benevento, i dodici corpi dei martiri furono raccolti e seppelliti nella chiesa di santa Sofia di Benevento (4). Ecco la traduzione della bellissima epigrafe, compilata in lingua latina che venne collocata sulla tomba definitiva dei martiri  

L'URNA 

RACCHIUDE I DODICI FRATELLI

CHE

TECLA CREO' A DIO, FORTI CAMPIONI INOCUI

UNA UGUALE PIETA L'HA AVVINTI

UNA PARI MORTE E UNA PARI VITA

IL PRINCIPE ARECHI DEI LONGOBARDI

ORNA CON PARI ONORE I TRASFERITI

A. D. DCCLX  

Così santificato dal sangue dei due martiri cristiani, Secondo e Donato, appare nella storia il borgo di Genzano. (***)

Tra la seconda metà del secolo terzo e la prima del quarto, visse l'eremita Egiziano Sant'Antonio Abate, il grande, e Genzano lo elesse a suo speciale Patrono ed il Comune si tenne onorato di farsi la sua arma «Fondo azzurro con la mezza figura di Sant'Antonio Abate di carnagione, vestito d'argento, col consueto bastone dal campanello, attraversato nel basso, da un maiale parimenti d'argento, fermo su terrazza di verde » (5).

Abbiamo potuto assodare che, in un secondo tempo, la figura del Santo venne riprodotta intera, senza il maialetto, come risulta da un timbro ovale di metallo esistente in casa Polini con la dizione: "Universitas Gensanae Temp. Sind Dom. Bonifacio MDCLXXII  (Università di Genzano. Tempo del sindacato di Domenico Bonifacio 1672).

Inoltre l'Università di Genzano diede il nome del Santo ad uno dei tre valloni che circondano l'abitato e ad una delle tre porte che allora aveva il paese.

Tutto ciò fa supporre l'esistenza d un centro abitato di una certa importanza da tempo salito a dignità di Municipio di un grado notevole di civiltà.

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(1) Lo scomparso Borgo era a sette chilometri dal Castello di Monteserico.

(2) Prof. Domenico Giura della R. Università di Napoli. Appunti sparsi.

(3) Alcuni pensano all'esistenza di un altro paese di Puglia portante la stesso nome del nostro, dimenticando che trattandosi di una località messa a cavaliere delle due Regioni é facile assegnarla ora all'una ora all'altra. Infatti lo stesso Orazio parlando della sua Venosa, dice di non sapere con esattezza se appartenga alla Lucania o alla Puglia. Spinazzola, in terra di Bari, fece parte della Provincia di Basilicata sino al 1811 e Gravina, arche in Provincia di Bari, fu Capoluogo del Giustizierato di Basilicata sotto Federico II. Ed il poeta venosino Tansillo : "Io non so se Lucani o se Pugliesi siam noi... "

(4) Sergio De Pilato.

(5) Senatore Gattini: non esiste nel grande archivio però si rileva dalle carte comunali del 1685.

(***) NOTA di Webmaster: In realtà sembra che tra Genzano ed i due martiri non ci sia alcun nesso così come dimostra il Prof. M. Battaglino nel suo "Origine di Genzano di Lucania", Zafarone & Di Bello, Potenza, 1981 (pagg. 62, 63, 64)

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P.G. - Cap. IV - Genzano rifiorisce


Genzano, devastato e immiserito dalle invasioni dei barbari, per la fertilità del suo vasto territorio, per la sua posizione a cavaliere delle regioni Basilicata e Puglie, per l'attività dei suoi cittadini, ben presto rifiorì tanto che formò la gioia di Roberto il Guiscardo che il 1077, nel pacificarsi con Papa Gregorio VII, volle per sé il nostro paese e quello di Spinazzola (1). Ingrandito ancora dai Normanni, che lo munirono di ben due castelli, divenne il centro più importante dei rifornimenti agrari e, per il suo carattere eminentemente rurale, non si ha notizie che sia salito a dignità di Urbs nonostante la sua civiltà e le sue prospere finanze. Con la formazione del regno di Napoli e di Sicilia da parte di Ruggiero I (Normanno) il 1140 ritornarono le circoscrizioni provinciali differenti, nei nomi e nelle estensioni, da quelle romane.

La parte orientale della nostra Regione, con alcune città delle Puglie e con Melfi, Venosa, Genzano, formò una Provincia del nuovo Reame col nome ufficiale di Basilicata (2).

La Basilicata passò nel 1194 sotto gli Svevi, nel 1266 sotto gli Angioini, nel 1442 sotto gli Aragonesi, nel 1504 sotto il vice Reame Spagnolo, nel 1734 sotto i Borboni di Spagna, dal 1806 al 1815 sotto i francesi, dal 1815 al 1860 nuovamente sotto i Borboni e finalmente, in seguito alla rivoluzione del 1860 e all'impresa garibaldina, entrò a far parte del Regno d'Italia.

Genzano, con la Basilicata, mutò spesso padrone: Col Monteserico fece parte del Giustizierato di Gravina, sede della corte generale per le Puglie e per la Basilicata sotto Federico II.

Tra l'elenco dei 148 paesi che costituivano la provincia o giustizierato di Basilicata, nel cedolario, degli anni 1276 e 1277 si legge che Gentianum era tassata per once 22 e tari 27, mentre il comune di « Mons Sericola " per once 13, tarì 16 e grana 16 (3).

Da Roberto d'Angiò, che aveva in seconde nozze sposata una Sancia, venne donato al familiare suo del Bosco, marito di Aquilina Sancia e, alla morte del marito, donna Aquilina divenne signora di Genzano e di Monte Serico.

Da Aquilina passò, per eredità, alla figlia Giacoma Rachele, sposa del conte di Carignano e Terlizzi: Roberto San Severino; divenne poi feudo della famiglia Dentice delle Stelle sotto la regina Giovanna ; indi passò ai Ruffo.

Ferdinando I, a corto di denaro, non sapendo come procurare i fondi necessari per la difesa dello Stato e per pagare i soldati, non volendo aggravare di altre tasse i "fedeli sudditi", con istrumento del 29 maggio 1479, redatto in Castelnuovo, alienò, in favore del "Magnifico Matteo Ferrilio Napolitano, conte di Muro, milite del duca Alfonso di Calabria, principe ereditario, camerlengo maggiore, e fedele consigliere di Sua Maestà", la città di Acerenza e Genzano con tutti i castelli, fertilizzi, diritti e pertinenze (4). In pari data, e con separato strumento, muniva tale vendita di speciali privilegi.

In questo periodo avvenne la congiura dei Baroni alla quale Genzano non fu estraneo.

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(1) Dizionario geografico del Regno di Napoli di Lorenzo Giustiniano. Napoli 1882.

(2) Nome che in precedenza avrebbe avuto la nostra zona, come si é detto nel cap, II.

(3) L'Italia. Dizionario corografico V - IV. Biblioteca nazionale di Salerno.

(4) Lucania. Giuseppe Antonini, barone di San Biase, Discorso VI pag. 79  

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P.G. - Cap. V - La congiura dei Baroni


Nel 1480 regnava in Napoli Ferdinando I d' Aragona il vecchio, ma "sgovernava" a suo talento il feroce Principe Ereditario Alfonso duca di Calabria, detto il guercio.

L'avidità di danaro dello squattrinato principe ereditario era tale da spingere, ora con un pretesto ora con un altro, il vecchio genitore a spogliare i feudatari dei loro beni, quasi tutti i feudatari, in pieno accordo col Papa, si unirono in lega segreta, più per debellare il futuro re che per abbattere il sovrano regnante.

Genzano non aveva perdonato al re le usurpazioni dei beni del monastero di Santa Chiara, lasciati al convento da Aquilina Sancia coi testamento del 14 aprile 1327, e attendeva il momento opportuno per la giusta rivendicazione.

Il nostro Governo Municipale, d'intesa col Clero, con le suore, con le confraternite religiose, all'insaputa del feudatario Matteo Ferrillo, milite al seguito del Guercio, intavolò segrete trattative coro i baroni ribelli.

Pare che abbia mandato il superiore dei Carmelitani Scalzi... quale rappresentante alle riunioni preliminari che si tennero in Miglionico nella "Sala del Mal Consiglio" di quel castello.

Per suggerimento avuto in Napoli dal segretario del re, Antonella Petrucci, (del quale il nostro Carmelitano un tempo era stato confessore) che era al corrente della congiura e delle scarse possibilità della riuscita, Genzano e Spinazzola prudentemente si misero in disparte.

Nessuno seppe mai spiegarsi il perché di tale atto ed infatti, il cronista di quella famosa congiura, Camillo Porzio, si limitò a registrare: "i congiurati lasciarono perdere Spinazzola e Iénzano".

Le previsioni non tardarono ad avverarsi, i baroni che avevano umiliato il re fino al punto di chiamarlo in Miglionico e imporgli le condizioni della pace, che posteriormente in Salerno, avevano imprigionato il dotto e bravo secondogenito del re, Don Federico, perché non aveva voluto accettare il trono, furono vinti e pagarono con la perdita dei loro beni e con la vita l'audace atto.

Nemmeno il prudente segretario Antonelli Petrucci riuscì a salvarsi e, perché reo di non aver informato il re della congiura, venne decapitato il 6 novembre del 1480.

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P.G. - Cap. VI - Genzano dopo la morte di Matteo Ferrillo


Morto il Magnifico Matteo Ferrillo, il nostro paese passò al figlio lacobbo Alfonso il quale, non avendo figli maschi, dette Genzano in dote alla figlia Beatrice che andò sposa al duca di Gravina: don Ferrante Orsini, come si rileva dal privilegio di Carlo V riguardante la giurisdizione delle seconde cause, dopo passò ai baroni Gesualdi, come si legge in un manoscritto esistente in casa dell'ing. Troiano, divenuto in seguito del demanio, venne rivenduto a Giovanni Vincenzo del Tufo che il 21-11-1585 ottenne il titolo di marchese di Genzano.

In questo periodo Genzano aveva una piccola colonia albanese, come si rileva dall'apprezzo eseguito dal R. Tavolario De Fusco (1).

Nei primi anni del 1600 la Basilicata, e quindi Genzano, passò alla provincia di Salerno.

Crediamo futile notare che la Basilicata acquistò autonomia di provincia sotto D. Filippo di Gusman nel 1643.

Intanto il nuovo feudatario del Tufo, per le sue proverbiali passività, fu costretto a liquidare tutti i suoi averi.

Le condizioni finanziarie del primo marchese di Genzano erano divenute così disastrose... da obbligarlo a fare tutte le spese a credito.

Da questo stato di fatto derivò il nostro modo di dire dialettale "comperare a tufo " che equivale a "Comperare a credito", in conseguenza il debito si disse, e si dice, "tufo".

Nel 1616, ad istanza dei creditori del Marchese del Tufo, il feudo fu venduto al dott. Marcello Marciano (2) per ducati 70.352 di danaro di Gian Battista Marino (o de Marinis) con tutti i crediti che vantava dall'università di Genzano.

Lo strumento venne redatto in Napoli dal notaio Simone di Monica, l'atto venne sottoscritto dai testimoni: notar Fulgenzio Gagliardi ed Andrea Aveta di Napoli.

Per tale esproprio il 1-12-1614 si era proceduto all'apprezzo dal Tavolario del Sagra Regio Consiglio “Orazio Grasso”, ma allegata a sospetto la perizia, il 1-4-1615 l'operazione venne ripetuta dal Tavolario " Giovanni Andrea de Fusco " del Sagro Regio Consiglio (3).

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(1)(3) Vedi appendice.

(2) Antonino discorso VI, pag. 79.


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