Ettore Lorito - GENZANO DI BASILICATA - CRONOGRAFIA |
Parte I - Cap. I - Il Monte Serico
La vera ricchezza e l'importanza di
Genzano era ed è costituita dal vasto territorio che va sotto il nome di
"Monte Serico" riportato nel Catasto del 1811 (proveniente dalla
matricola del 1807) per carra 619 e misure 4.
L'appellativo di «Serico» dato
all'ubertosa contrada, era giustificato dalle qualità bellissime delle erbe
morbidi e sottili come seta,(1) che costituivano una specialità di quei,
pascoli profumati ora quasi tutti scomparsi. «A Sud-Est del punto in cui il
confine della Provincia di Bari e quella di Basilicata, lasciata la naturale
direzione Sud-Est, piega, senza giustificazioni geografiche, a Nord-Est, cioè
lasciato il Basentello, raggiunge; per un momento, il torrente Rovenieri, si
distende la fertile contrada di Monte Serico, formata di più alture, fra cui è
intercettato il piano della Regina con la masseria omonima, di proprietà dei
signori Mennuni, feconda di pingui raccolti» (Laccetti).
Confina, quindi, con i territori
dí Spinazzola, Altamura, Gravina, dalla parte delle Puglie; con quelli di
Irsina, Oppido Lucano, Banzi, Palazzo San Gervasio e col rimanente territorio di
Genzano, dalla parte della Basilicata.
Apprendiamo dalla prammatica 1^
«De Salaria», pubblicata da Ferdìnando d'Aragona il 14-2-1443, che il Monte
Serico era un Regio Demanio; proveniva dalla Nobile Donna Aquilina Sancia.
Nel discorso scritto in lingua
spagnola il 1582 (2) per ordine governativo, è detto: «Tra le terre comprese
nel Real patrimonio si annovera l'intero Monte Serico distinto in ventidue
difese: 1. Castel de Capo; 2. Castel de Pede; 3. Lo Pyraino; 4. Lo Percojo; 5.
L'Adviano; 6. La Copecchia; 7. Piana Cardona Grande; 8. Piana Cardonella; 9.
Serra Chimino; 10. La Minerva; 11. La Gombarda; 12. Santo Padre en Ulmo; 13. Monte de Poto; 14. Monte Cucolo; 15. Lo Canno; 16.
Pesco Lambardo; 17. Bosco de San Lorenzo; 18. Li Solagni; 19. Capradosso; 20.
Cerasola grande; 21. Cerasola piccola; 22. La Petranciosa.
Tale divisione, con lievi varianti
nei nomi, vien confermata dal Di Stefano nella Ragion Pastorale. Tom. II., pag. 32.
Ma il nostro Monte Serico non fu sempre alla
dipendenza della R. Corona, a volte venne dato in feudo. Infatti Ferdinando il
Cattolico lo donò alla Duchessa di Milano, Isabella d'Aragona, il 7 giugno
dell'anno 1507 (3).
Alla morte di Isabella il feudo
venne dall'Imperatore Carlo V dato alla di lei figlia Bona (4), Regina di
Polonia. Morta costei, nel 1557, il Monte Serico, devoluto alla Corona, rientrò
a far parte del patrimonio della medesima (5). Non si conosce con precisione
come e quando fu aggregato al Tavoliere delle Puglie, del quale seguì la sorte.
Secondo il De Dominicis,
l'annessione avvenne nel 1582, secondo il Barberio (Istruttoria Demanii di
Spinazzola) dal 1447 al 1542.
Gli scrittori concordemente
affermano che nel Monte Serico si allevarono, per conto del Sovrano, le razze
più scelte delle giumente, dei puledri e dei bovi (6).
Sotto gli Aragonesi gli allevamenti
di Basilicata vennero aumentati (7) per cui il Monte Serico acquistò speciale
importanza. Ma i terreni del Monte Serico si cedevano non solo a pascoli ma
anche a cultura.
Tra gli affittatari generali di
detto territorio nel 1584 figurano i germani Antonio e Domenico Calderoni (8)
che furono tra i primi pionieri della locale agricoltura.
Con bando della Regia Camera del
9-10-1589 si metteva all'asta l'affitto di parte del Monte Serico e propriamente
quella in cui la Corona teneva l'industria dei bovi (centocinquanta capi).
Vi concorse, tra gli altri, tale
Ludovico De Ruggiero ma vi rimase aggiudicatario un certo Giacomo Majr (9) che
si rese celebre per il generoso tentativo di bonifica delle zone paludose.
Nel 1600 il Re fece del Monte
Serico una concessione di fitto al reggente Tapia o Tappia, illustre Marchese di
Belmonte, sua vita durante, per ducati annui seicento, fitto che continuò sino
al 1644 epoca(10) del decesso del reggente.
Nel 1649 fu ordinato dal Vice Re
Conte Ognatte «che vi fossero rinsaldite (le terre) per essere unicamente
adatte a pascolo specialmente dei castrati, e capace di fornire erbe a pecore
centoquarantamila quattrocento ventiquattro». Il Decreto del Vice Re, portante
la data del 18-10, venne riconfermato dalla Regia Camera della Summaria in data
24-12-1649 su relazione del Presidente Alloe, Duca di Lauria (10).
___________________________________________________________
(1) Stefano Di Stefano. Ragion
Pastorale. Tom. I, pag. 32. Napoli 1781.
(2) De Domenicis. Stato politico ed
economico della dogana della Mena delle pecore in Puglie. Vol. 1, pag. 172.
Napoli 1781.
(3) Atti per la serenissima Regina
di Polonia col R. fisco. Processo n. 1618 Real Camera.
(4) De
Dominicis Voi. I. pag. 275.
(5) De
Dominicie. Voi. 1, pag. 177.
(6) Abate Trojlo. Storia generale
dei Reame di Napoli. Voi I, pag. 169.
(7) Avv. Enrico Cenni. Comparsa in
data 20-5-1872.
(8) Avv. Marotta.
(9) Aw. Marotta.
(10) Di Stefano. Opera citata, Toma
11, pag 19.
Parte I - Cap. II - Il borgo di Monte Serico
Un tempo, disperso per il
territorio, esisteva un Borgo che portava lo stesso nome della contrada e che
aveva le sue Chiese, il suo Parroco, i suoi Abati, i suoi Chierici, il suo
Notaio, i suoi poveri, i suoi orfani come si rileva dai lasciti contemplati dal
testamento di Aquilina Sancia, che fu signora di Genzano e di Monte Serico.
Il testamento venne redatto in
Genzano dal Notaio Matteo Mastrobartolo ed è riportato integralmente in
appendice.
La borgata doveva contare,
approssimativamente, duecento famiglie, come in quel tempo Genzano, ciò si
desume dal fatto che uguale è la misura dei legati contemplati nel nominato
testamento e dalla circostanza che la bardella di ducati 0,02 all'anno, che si
pagava prima all'Università di Grottole e dal 22-11-1623 alla Cappella del
Santissimo Sacramento di quella città (1), si versava metà dall' Università
di Genzano e metà dai signori di Monte Serico per lo scomparso borgo.
La scomparsa di quel Comune avvenne
verso il 1430 mentre l'avvocato Marotta sostiene che sarebbe avvenuta nel 1501;
la popolazione si fuse con quella di Genzano dopo che le lotte ivi combattute,
la malaria e una fiera epidemia l'ebbero decimata.
Uguale sorte era toccata alla
vicina borgata di Silvium (Guaragnone) i cui abitanti trovarono ospitalità
nelle mura di Gravina.
L'esistenza del Comune di Monte
Serico, con tanto calore negata dall'avv. Enrico Cenni (nella causa tra il
Comune di Genzano e la famiglia dell'Agli per la liquidazione degli usi civici
sul bosco di San Lorenzo in contrada Monte Serico), è confermata non solo dal
riferito testamento ma anche dalle carte del Catasto (2). Infatti alla sezione
F. Matrice 1807, ultima pagina, si legge: «Provincia di Basilicata, Distretto
di Matera, Comune di Monte Serico. Imponibile annuo ducati 27.209,60». Inoltre
negli anni 1276 e 1277 Monsericola risulta tra i 148 paesi della Basilicata e
nel Cedolario relativo a tali anni, è tassato per once 13, Tarì 16 e Grana 16
(3).
Gli abitanti del Borgo di
Monteserico pare che siano stati esclusivamente pastori e contadini per cui la
borgata forse fu una Colonia agricola di Genzano Infatti non si hanno notizie
che sia mai assurta a dignità di centro urbano. Tale ipotesi è avvalorata
dalla circostanza che nonostante sia stato dissodato tutto il territorio non si
sono rinvenuti ruderi di case matte riunite, di luoghi pubblici che
caratterizzano le vestigia delle comunità urbane.
Riteniamo che dalla fusione degli
abitanti del Borgo di Monte Serico con quelli di Genzano abbiano avuti origine i
diritti civici di Genzano sul Monte Serico, dapprima limitatamente alle famiglie
degli ex abitanti dello scomparso borgo poi estesi a tutti i Genzanesi che, a
mano a mano, si erano imparentati con essi.
Tali diritti furono, per lunghi
anni, cause di lotte non sempre serene tra i cittadini di Genzano e i signori di
Monte Serico, gli affittatari, i censisti e poi proprietari di detto territorio;
lotte che ebbero il loro epilogo legale, con varia fortuna, dinanzi alla Real
Camera della Summaria, alle R.R. Prefetture di Potenza e di Foggia, innanzi alla
Suprema Giunta del Tavoliere di Puglia, ai Tribunali Civili, alle Corti di
Appello e dinanzi alla Cassazione.
Per avere un'idea dell'entità del
valore di detti usi civici, bisogna tener presente la deliberazione del
Consiglio Comunale di Genzano del 6-3-1866; in detto deliberato, e per il solo
bosco di San Lorenzo (4), di carra 19 appena, si valutarono a ducati 49.423,96,
pari a lire 211.974.
_____________________________________________
(1) Andreucci pag. 423. «Una
pagina di storia patria».
(2) Nel marzo del 1949, sono state
rinvenute colà monete d'oro e di bronzo che confermano l'esistenza del borgo.
(3) Italia. Dizionario corografico.
Vol. IV. Biblioteca Nazionale di Salerno.
(1) Cerreto.
Parte I - Cap. III - Diritti dell'Università di Genzano sul Monte Serico
Da epoca non bene precisata, ma
certamente dal 1430, tempo in cui gli abitanti dello scomparso Comune di Monte
Serico si fusero con quelli di Genzano, la nostra Università vantava, sul
territorio di Monte Serico, i seguenti diritti: I. Legnare nei boschi di tutto
il territorio; 2. Far pascolare gli animali tanto nei boschi quanto nei terreni
non coltivati; 3. Far celebrare la Santa Messa in tutte le domeniche e nella
festività di Maria SS. di Monte Serico nella Cappella esistente sulla spianata
del Castello; 4. Recarsi in quel Santuario, processionalmente, clero,
confraternite, popolazione nella prima domenica di maggio di ogni anno, a piedi,
a cavallo ed anche in vettura; 5. Tenere la fiera sui quattro carra di terreno
annessi alla Chiesetta di proprietà della medesima; 6. Spigolare; 7.
Raccogliere: cosche, ferule, funghi, ghiande; finocchi, asparagi, lumache e ogni
qualità di erbe e foglie selvatiche.
Ma i feudatari di Monte Serico,
come tutti gli altri del reame, per liberarsi della servitù degli usi civici,
creavano sempre difese nonostante la Prammatica «Item bovem» del 10-061282 che
vietava la creazione di nuove Difese.
Per infrenare ancora una volta tali
abusi si emanò, il 14-12-1483 la prammatica 1^ « De Salario: Terrerii» che
revocava le nuove concessioni dai Feudatari ottenute.
Infine Carlo V emanò, nel 1536, la
Prammatica «De Baronibus», con la quale stabilì che, per costruire le nuove
difese occorreva il consenso dei vassalli oltre quello Reale, ma le cose non
migliorarono se non in minima parte.
L'Università di Genzano solamente
in data 11-5-1624 provvide a far sanzionare i suoi diritti della R. Camera della
Summaria contro il Castellano della Marchesa Colabrìtto di Minervino, che in
quel tempo era signora di Monte Serico, e contro gli affittatari dell'erbaggio.
In seguito alla querela di
turbativa contro la Calabritto e gli affittatari, la Real Camera, con
provvedimento del 24 maggio riservato e registrato nel volume « notamentorum »
di quello stesso anno «per essersi arbitrato di impedire gli esercizi degli usi
civici dei comunisti di Genzano» decretò: «È vietato al Castellano della
Marchesa Colabritto ed agli affittatari di molestare i comunisti di Genzano
allorchè si recano per far legna, raccogliere cosche, ferule, asparagi,
lumache, cicorie, funghi, finocchi ecc. ecc., nonchè a pascolare i greggi ed
animali, secondo han praticato ab antiquo immemorabili, sotto la pena di once
25». «D. Salma referente, fuit provisum fieri consultationem ad beneficium
universitatis Gentiani Provinciae Basilicatae. quod gaudeat, tanquam Camera
riserbata, immutatem a primo Mai ante,".
Ma i disturbi continuarono tanto
che la stessa Camera nel di 24-5-1640, emanò un secondo decreto al riguardo.
Gli incidenti non finirono ed il
14-11-1695, il Sindaco ed il Capitano di Genzano si affrettarono a notificare
alla Marchesa Colabritto, per l'osservanza, quanto in favore dei Genzanesi era
stato decretato.
La copia dei provvedimenti venne
accompagnata dalla seguente lettera: «Genzano, lì 14-11-1695 - All.ma ed Ecc.ma Signora e
padrona nostra sempre affezionatissima, Ab antiquo questa Università, suoi
cittadini ed abitanti in essa, tutti vassalli di Vostra Eccellenza, sono stati
soliti cogliere diverse foglie selvaggie e ghiande nel Feudo, di Monte Serico,
in virtù di provvisioni della R. Camera, copia della quale qui congiunta
rimettiamo a Vostra Eccellenza, affinché si degni riconoscere l'antichità di
questo jus, contro la somma del quale mai da chi si sia persona è stata
innovata cosa alcuna.
Solo oggi ci viene impedito da
guardiani ed altre genti di Vostra Eccellenza, con dipegnare, strapazzare, e
minacciare li nostri cittadini, che vanno a ghiande; bontà di V.
Eccellenza non permetterà pregiudizio simile a questi suoi vassalli; volentieri
avremmo preso congiuntura di farle riverenza, ed assieme supplicarla di dar
ordini alle dette sue genti che il tutto è noto al suo Fattore Agostino
Pasquale e supplicando l'Eccellenza Sua le facciamo umilissima riverenza ».
Ma nulla si ricavò tanto che in
seguito a reclamo dell'Università il 22-6-1701 la stessa Camera emanò un terzo
decreto contemplando, per i trasgressori, una multa di ducati mille.
Con lo stesso provvedimento si
impose alla «Gran Dogana della Mena delle Pecore» (creata da Alfonso d'Aragona
con la Prammatica dell'1-8-1477 con funzioni di ente amministrativo e di
tribunale speciale) di esigere le multe dalla Signora Colabritto ogni qual
volta; il Castellano e gli affittatari di Monte Serico osassero disturbare i
comunisti di Genzano che si recavano nei territori e nei boschi di Monte Serico
per l'esercizio dei loro diritti.
Il volume delle consultazioni
dell'anno 1624 scomparve dal grande Archivio dell'ex reame di Napoli e con esso,
i fascicoli (Mazzi) 393 e 394 che contenevano le Pandette relative alle
controversie sul Monte Serico.
Però nell'archivio del Tavoliere
delle Puglie, nel volume n. 1016 degli atti, sotto il titolo: Monte Serico, vi
sono le tre copie legali dei decreti della R. Camera della Summaria.
Le cose andarono avanti in mezzo a
continui contrasti finché si giùnse al 1799 epoca in cui i francesi,
considerando che il Tavoliere e le terre annesse (fra cui il Monte Serico)
fruttavano appena la somma annua di ducati 449.259(1), allo stesso modo operato
per i beni appartenenti agli enti religiosi, ne disposero il decentramento sotto
forma di Enfiteusi irredemibile, in barba alla vigente ordinanza del 1566 con la
quale Carlo IX aveva vietato l'alienazione dei demani.
Nel 1798, con sovrano
provvedimento, venivano riconosciuti i nostri diritti sul Monte Serico.
Nel 1806 fu abolita la feudalità
ed emanata la legge del 21 maggio,ma, a differenza di quanto era avvenuto per i
beni ex ecclesiastici ed ex feudali, gli usuari del Tavoliere.. e quindi di
Monte Serico, non potettero ottenere i distacchi territoriali nella contemplata
misura della dodicesima parte dei terreni seminativi. Ciò parte per l'ignoranza
delle disposizioni di legge, parte per l'indolenza dei comuni, parte per
l'opposizione sistematica dei censuari.
Col rescritto del 17-12-1806 venne
tolta la giurisdizione sul Tavoliere e sulle terre annesse, ai Consigli
dell'Intendenza, alla Real Camera della Summaria, al Sacro R. Consiglio, alla
Gran Dogana della Mena delle Pecore di Foggia e data ad un'unica magistratura
inappellabile chiamata: «Suprema Giunta del Tavoliere di Puglia».
Nel 1807 furono censiti i terzi di
Monte Serico dalla Giunta del Tavoliere e in data del 27 aprile dello stesso
anno venne emanato un bando in favore degli usi civici di Genzano sul Monte
Serico. All'art. 3° dello strumento 25-2-1809 si mettevano quegli usi a carico
dei censuari(2).
Si ebbe un periodo relativamente
calmo durante il governo dei francesi ma le liti si accesero con più asprezza
durante il periodo della restaurazione borbonica.
Con la legge 13-1-1817 il governo
borbonico gravò di una tassa d'entrata supplementare i nuovi censuari e diede
facoltà, a chi venisse leso nei suoi diritti, in conseguenza delle nuove
censuazioni, di reclamare, nel termine perentorio di un anno.
Rimaneva fermo il rescritto del
2-1I-1811 che ordinava, prima di concedere le censuazioni, di chiedere ed
ottenere il consenso del Municipio usuario.
In pratica tale consenso non si
chiese mai almeno per quello che riguardava Genzano e il Monte Serico.
Il Commissario Gagliardi,
intendente di Potenza, convinto del buon diritto dei genzanesi in merito agli
usi civici, con provvedimento che onora altamente l'equanimità di detto
funzionario, dispose che venissero divise le Difese di Monte Serico censite
dalla Giunta del Tavoliere delle Puglie e ne assegnava la quarta parte al nostro
Comune e propriamente quella pervenuta dalla Regina Apollonia.
La Direzione Generale del Ministero
delle Finanze in seguito alle odiose manovre dei signori censisti, con regolare
nota n. 1725 del 17-7-1813, diede ordine all'Intendente di Potenza perché non
si desse esecuzione all'ordinanza Gagliardi.
Anche il Ministero delle Finanze,
con nota N. 2190, diretta all'Intendente di Capitanata si dolse del
provvedimento e non se ne fece più nulla (2).
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(1) G. Galante. Toma II. Nuova
descrizione storica geografica delle due Sicilie.
(2) Avv. Marotta
Parte I - Cap. IV - Cosa si pagava di censo sui terreni di Monte Serico
I censuari, che con tanta ferocia
si accanivano contro gli usi civici dei genzanesi sul Monte Serico, pagavano un
canone annuo di ducati 32 (corrispondenti a lire 136) per ogni carro di terreno,
cioé lire 2,26 per ogni tomolo di erbaggio.
Normalmente un tomolo di erbaggio
forniva pascolo sufficiente almeno a sei pecore per la sola erba vernotica; in
quel tempo si fidava in ragione di un ducato (Lire 4,25) per ogni pecora.
In conseguenza un tomolo di
terreno, per la sola erba vernotica, fruttava lire 25,50 all'anno, cioè una
somma dodici volte superiore al canone pagato.
Quei signori non vollero tenere
presente che una delle ragioni dell'esiguità del canone, era la servitù degli
usi civici gravante sui detti terreni.
Tale trattamento di favore non
valse a infrenare l'ingordigia dei censuari che, ad ogni costo, a poco a poco si
liberarono della servitù e con tutti i mezzi.
Certo non fu un'impresa difficile
data la corruzione dei tempi e l'influenza dei censuari (e poi proprietari) che
spesso coprivano le più alte cariche dello Stato.
Infatti tra i censuari ed i
proprietari di Monte Serico, si notavano i Signori: Dell'Agli-Certi, Dell'Agli,
Spada, Polini, Mennuni, Cafieri, Addone, Ricotti, d'Errico, Veltri, Zazza,
Corabelli, Romano, Giura, Giuliano; i Senatori Viggiani e Ginistrelli; i
Ministri Cortese e Branca ed altri numi del Governo del tempo.
Quale meraviglia se gl'interessi
del popolo vennero calpestati ?
.
Parte I - Cap. V - Il Monte Serico passa in diretto dominio dei censuari
Con la legge 26-2-1865 il
Tavoliere, e quindi il Monte Serico, venne prosciolto dal vincolo fiscale e si
consolidò nei censuari il diretto dominio.
Il Comune di Genzano, nel termine
perentorio di 6 mesi, poteva chiedere l'accantonamento dei terreni boschivi per
la liquidazione degli usi civici sul Monte Serico.
Osserva l'avv. Marotta, che il
Sindaco del tempo, Nicola Saverio Polini, perchè direttamente interessato nella
controversia, si ridusse a intimare l'azione per l'affrancatura al Direttore del
Tavoliere il 24 agosto, solo due giorni prima della scadenza del termine
assegnato dalla legge.
Si mosse unicamente perché spinto
dagli altri rappresentanti del Comune e da alcuni animosi cittadini che, tre
anni dopo, il 14 marzo, per la tutela dei loro diritti, fondarono una fiorente
Società di Mutuo Soccorso.
Il malumore cittadino per questo
tardivo ed impreparato intervento in affare di così grave importanza, assunse
forma allarmante ed il Polini, tanto per smorzare i bellicosi ardori, pensò di
far quotizzare la Difesa delle Ralle, ove, come afferma il Giustiniano nel
Dizionario altre volte citato, si cacciava « volpi, lepri, pochi lupi e ogni
sorta di pennuti ».
Quotizzata la Difesa delle Ralle al
Comune venne meno l'entrata annua di ducati 3000 che da essa ricavava e, per
esigenze di bilancio, fu necessario gravare i beneficiati di un piccolo canone
annuo in conformità di quanto il Consiglio Comunale aveva stabilito in data
20-5-1863, canone che tuttora si paga. (Vedi deliberazione del Consiglio in data
28-5-1865).
Ma il provvedimento della
quotizzazione delle Ralle non poteva giovare in equa misura al popolo che aveva
bisogno di molti terreni per lavorare, terreni che erano a portata di mano e che
gli spettavano in base all' articolo 1336 della legge civile abolita, ma che era
in vigore quando furono manomessi i diritti del popolo di Genzano per opera di
chi li doveva promuovere e difendere.
Si iniziò per il nostro Comune il
Calvario dei giudizi. La Prefettura di Basilicata dichiarò la competenza di
quella di Foggia ed il Comune nominò suo Procuratore l'agente demaniale Marotta
che conosceva a fondo la quistione di Genzano.
La Prefettura approvò la nomina
dell'Avvocato Marottta che, con i rappresentanti del Governo municipale, si
recò a Foggia.
Cominciarono le subdole manovre: si
rifiutarono le copie degli atti pubblici, dei decreti emanati ed esistenti negli
archivi dello Stato e del Tavoliere, si minacciarono i Consiglieri Comunali e
l'Agente Demaniale ed infine si giunse a trasferire in Sardegna il Consigliere
di Prefettura Alfonso Galasso, Delegato a reggere l'Ufficio Demaniale di
Potenza, perché favorevole ai Genzanesi, indi fu destituito l'Agente Demaniale
Marotta che, col consenso del Prefetto di Potenza, cav. Veglio, aveva assunto
l'incarico di rappresentare il nostro Comune e si era recato a Foggia al
riguardo.
Il Marotta, indignato per le
ingiustizie che si consumavano in danno del nostro paese, volontariamente
assistette i genzanesi nei vari giudizi che si sono protratti sino ai nostri
giorni, con i suoi preziosi pareri e con le dotte pubblicazioni che destano
anche oggi ammirazione per la rara competenza in materia demaniale, per il
coraggio civile e l'amore verso la giustizia.
Ed in verità l'avv. Marotta non si
limitò a difendere il buon diritto di Genzano nelle liti già iniziate, ma
volle anche indicare le rivendicazioni alle quali il nostro paese aveva allora
ancora diritto.
Infatti raccomandò «il riscatto
della cava di pietre soprastante alla fontana di Capo d'Acqua e nelle sue
adiacenze, usurpata da Don Girolamo dell'Agli, giacché detto Signore non si
trovava nelle condizioni indicate dall'Art. 51 delle 'istruzioni emanate il 3
luglio 1811».
Raccomandò ancora di chiedere
"la liquidazione degli usi civici sulla Mattina di Ripa d'Api, ed il
riscatto dei 4 carri di terreni annessi alla Chiesetta di Monte Serico, usurpati
dal Cafieri".
Genzano, grato al generoso e
benemerito avvocato Marotta, lo nominò socio onorario della Società di Mutuo
Soccorso, che fu, per molti anni, il centro della vita cittadina.
Supplica che i cittadini di Genzano
indirizzarono alla prima Camera dei Deputati del Regno d'Italia in Firenze a
proposito dei diritti civici sul Monteserico.
"I qui sottoscritti e
croce-segnati cittadini del comune di Genzano, in Provincia di Basilicata
rassegnano quanto segue: Essi ab antiquo esercitavano - come tuttavia sono
ridotti ad esercitare soltanto su quella infinitesima porzione rimasta non
dissodata - degli usi e diritti civici sulla vasta estensione del Monteserico -
già costituente parte del Tavoliere di Puglia - ov'è sito appunto il loro
paese.
L'esercizio dei medesimi
estendevasi su la parte boscosa e su l'erbosa; su la prima consistente in
raccogliere legne secche morte a terra e selvatico; sulla seconda nel fogliare,
raccogliere ferule ed altri prodotti selvatici della terra.
Tali diritti venivano riconosciuti
con sovrano provvedimento fin dal 1798, convalidati dalla Giunta del Tavoliere
di Puglia nel 1807, e solennemente sanzionati ne' singoli con tratti enfiteuci
che i censuari man mano stipularono col dominio diretto, con la espressa
clausola che questi dovevano dissodare soltanto il quinto della tenuta erbosa,
rimanendo saldi li quattro quinti per uso di erbaggio su cui esercitarsi da'
Genzanesi i ripetuti dritti.
In seguito il Governo Borbonico,
mentre aveva inibito le dissodazioni successivamente le venia concedendo mercè
il vieto sistema dell'indrigo e della corruttibilità de' pubblici funzionari,
tanto che la parte erbosa trovasi ora ridotta da quattro quinti a un quinto
mercè una scandalosa dissodazione fatta in detrimento positivo de' menzionati
dritti civici già nominati in conseguenza del cangiamento di natura del suolo.
Si aggiunge che l'ingordigia de'
censuari, dopo di aver manomesso i dritti cittadini su la parte erbosa
dissodandola, hanno, con vandalica scure, distrutto buona parte del bosco S.
Lorenzo che fa parte del Monteserico introducendovi benanche l'aratro.
Ora essendosi appreso dai giornali
del Regno come la Camera de' Deputati abbia preso in considerazione la proposta
del Deputato Signor "de Peppo" su l'affrancazione del canone di che è
gravato il Tavoliere di Puglia, i cittadini di Genzano producono speciale
reclame, acciò la Camera adotti le misure necessarie perché si abbia ragione
della perdita de' dritti in parola da tempo immemorabili esercitati e legalmente
riconosciuti, prescrivendone una liquidazione specifica; e compensandoli con una
riseca e accantonamento di una parte de' terreni di Monteserico proporzionati al
capitale rappresentante il valore de' dritti civici cui questa parte del
Tavoliere va soggetta, sia nel caso che la Camera adotti la massima
dell'affrancazione, sia che questa venga rigettata, ed i terreni rimangano nello
stato in cui sono.
In tal modo il terreno distaccato
ed accantonato, ripartendos'in quote tra i cittadini di Genzano meno agiati,
soddisfarebbe una delle più fervide e sentite aspirazioni di essi nel possesso
di una terra che li è dovuta, ove lavorare un pane pe' propri figli, e vivere
nel consorzio civile di quell'attività industre ed operosa vita, cui l'opera
della Provvidenza, gl'incessanti voti e sacrifici del popolo italiano, ed i
fermi ed efficaci propositi del più leale - e valoroso de' Sovrani, guidano
questa eletta Nazione.
La speranza di questi cittadini è
eminentemente fecondata dallo spirito di giustizia e di patriottismo che
informano l'italiano Parlamento cui non può essere estranea la sorte del popolo
in generale, e precisamente quella de' paesi che volentierosi gettavano la prima
pietra all'edificio nazionale, e non vi ha palpiti e dolori che non abbiano
provato, e sacrifici consumati con rassegnazione, costanza e fermezza su
l'altare della Patria.
Genzano, 27 maggio 1871. (Seguono
le firme)
Nicola Laginestra, agrimensore;
Nicola Tufanisco, dottore medico cerusico; Pasquale Carcuro, veterinario;
Gerardo Tufanisco, farmacista; Domenico Denozza; Nicola Maria Carcuro, colono;
Vito Magistro, colono; Vito Canio Trusolini, colono.
Segno di croce di:
Giovanni Lepore, colono; Gaetano
Lasalvia, colono; Antonio Latilla, proprietario; Nicola Menchise, colono; Natale
Nardulli, colono; Rocco Maria Lepore, colono; Donato Maria Nuzzi, flebotomista;
Antonio Delucia; Liborio Falanga, colono; Michele Melchiorre, proprietario" (1)
Anche la supplica rimase lettera
morta ed il Comune fu costretto a salire il calvario dei giudizi.
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(1) L'originale della riportata lettera trovasi in casa del
defunto farmacista: Tufanisco Camillo.
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