Ettore Lorito - GENZANO DI BASILICATA - CRONOGRAFIA

            

Parte III - Cap. III - L'invenzione dell'effige di Maria SS. delle Grazie


Nel 1621 un grande avvenimento agitò e sconvolse il semplice ed operoso popolo di Genzano, «che nella devozione ed opere di pietà non fu mai secondo ad alcun altro» (1): il rinvenimento della miracolosa Effige di Maria S.S. delle Grazie.

Ecco quanto al riguardo si legge in una pergamena del tempo:

«Nella terra di Genzano successe nell'anno 1619 che un nominato Pietro di Giovan Filippo, giovane di età di anni 14 in circa nato da onorati genitori, ritrovandosi un giorno in custodia di bovi nel territorio di detta terra alle Sterpara, li comparse in detto loco una donna vestita di bianco, la quale disse, che avesse fatto intendere alle genti di detta terra, che avessero cavato alla grotta della vigna, che fu di don Fabio vicino alla fontana di Capo d'acqua, che Ella avrieno ritrovata l'Immagine sua, e in questo spari, e di poi alcuni giorni li apparse un'altra volta nell'intesso territorio, e li disse li stesso: perloché  avendo detto Pietro rivelata detta visione in detta Terra, si incominciò a cavare in detta Grotta dove non trovarono altro, che certa pittura nella cena, che a giudizio di molti si credeva fosse stata l'Immagine della Madonna S.S. ed il Figlio in  braccia, ma poco di poi sparì la cena e s'incominciò a cavare  là vicino a giudizio del signor D. Giambattista Devoli Cavaliere Napolitano, quale teneva l'affitto della Abbazia di Banzi, e di altri, della quale cava successe, che cascò la Montagna di sopra la Grotta e sassi durissimi, donde si scoprì un pertuso grande sopra la grotta, dove si trovarono cenere, Tozzoni, Langelle rotte, e ossa di uomini, dalli quali segni si giudicò che era stato luogo di eremita, tanto più, che si trovò ancora una immaginetta di S. Pietro Apostolo(2) sopra un poco di  mattone, ed essendone uscito da speranza di ritrovar detta immagine in detto luogo si risolsero di edificarci una Chiesa per devozione del Popolo, come si incominciò, e si fecero li pidamenti, e per fare detta fabrica cominciarono a cavare le pietre cascate da detta montagna, col cavare sentirono un odore soavissimo, e trovarono li Cavatori dentro dette pietre la Immagine della Madonna S.S. ed il Figlio in braccia depitta in una pietra durissima di palmi uno e mezzo in circa, che la toccò colla zappa Giovanni Malatesta uno dei cavatori, e questo fu  a 25 di Marzo 1621 ad ore 20 in circa, a tempo si cantava il  Vespero solennemente nella Chiesa della S.S. Annunziata di detta Terra che si stava cantando il Magnificat, dove furono chiamate le genti, che fussero andati, che era ritrovata detta  Immagine S.S. ben vero che sono da circa anni 40 fu detto, che la B. Vergine era venuta in sogno ad una persona, che era al monte sopra il detto loco, perlochè il Rev.do Don Ferrante Decameraris allora Arciprete di detta terra, fè incominciare a cavare al monte predetto dove non si trovò cosa alcuna: e subito ritrovata detta immagine se ne avvisò il Dottore D. Fulvis Daietis Archidiacono, e Vicario Generale e Capitolare della città di Acerenza, Metropoli della Diocesi, e all'istesso tempo si fé una Cappella in detto loco, dove fu reposta detta Immagine per mano di detto Signor Vicario insino a tanto  che si edificava la Chiesa: quel Signor Vicario alli 28 di detto mese prese del tutto informazione, con la relazione anco del  Rev.do Don Stefano Lepore Arciprete di detta Terra, benedisse detta Immagine con la Cappella, dove si Celebrò Messa cantata solennemente precedente processione fatta con detta Immagine per detta Terra con concorso del Popolo, ed anche di molti forestieri quali vennero al grido di detto felice successo e si pose il nome della Madonna S.S. delle Grazie vo leva essere chiamata seguitando molto divozione di terre vicine, e di lontani paesi, non starò a dire di Infiniti Miracoli, e Grazie, che di continuo ha fatto, e fa tanto prima, che fusse ritrovata, quando di poi che non basteria lingua umana a raccontarlo, ma le genti che ci concorrono ne possono far fede.

Il loco dove è ritrovata, è amenissimo circondato di valle con alberi fruttiferi, e con una fontana di acqua abbondantissima, e detta cappella è fatta luspatronato della Università di detta Terra, con Bulla di detto Signor Vicario con essere portato per Cappellano il Reverendo Capitolo di detta Terra, in perpetuum, e ci è istituita la Confraternita, la quale è stata aggregata alla Archiconfraternita di S. Maria del Gonfalone di Roma, con finite indulgenze mediante Bolla spedita in Roma  a dì 20 di settembre 1621 talché di questo tesoro inestimabile dovemo rendere infinite grazie alla Maestà divina e a sua Madre Santissima a quella supplicarla, che come a protettrice nostra si degni conservarci sua santa grazia, e liberarci da ogni  tribulazione. Amen».

Il popolo, con fede incrollabile nella sua Protettrice, ha cantato e canta durante la solenne festività che ricorre il di della Pasqua delle Rose:

Potentissima Maria,

Cara Madre delle Grazie

Nella vita e morte mia

Non mi devi (3) abbandonare.

Ma quasi a voler provare la costanza, la fede cittadina, nel 1694 Genzano fu in gran parte distrutta dal terremoto.

Quei bravi «faticatori» così attaccati alla loro terra, non si perdettero di animo; sorretti dalla loro fede e certi della protezione della Beata Vergine delle Grazie di recente rinvenuta, si diedero animo e corpo alla ricostruzione del paese, ed in pochi anni, ebbero ragione dell'immane disastro.

L'abitato venne prolungato a destra e a sinistra oltre la Marchional Corte in luogo piano e ben soleggiato.

Nello stesso tempo si costruì la sede definitiva di Maria S. S. delle Grazie in fondo alla via principale della parte nuova del paese, sulla collina ove, secondo la tradizione, sarebbero stati piazzati i cannoni per radere al suolo l'abitato, come diremo in seguito.

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(1) Avv. Marotta 1894.

(2) Trovasi ora nella Chiese di Maria SS. delle Grazie.

(3) Qualche testo dice: dovete o avete

Parte III - Cap. IV - La chiesa parrocchiale


Nel centro dell'antico paese, tra il 1400, e il 1450, si eresse la Mater Ecclesia sotto il titolo di «S. Maria della Platea» o della «Piazza».

Il Tempio è a tre navate con colonne quadrate massicce in fabbrica comune e non presenta nulla di notevole dal punto di vista architettonico.

Caratteristico è il campanile a forma di parallelepipedo sormontato da una modesta cornice, con quattro aperture frontali, due sopra due sotto, nelle quali sono collocati i sacri bronzi.

Il campanile, dato il suo piccolo spessore, si staglia nel cielo come un grande rettangolo poggiato, con uno dei suoi lati corti, sul muro maestro che sta in fondo alla chiesa.

Vi sono quattro campane; la grande fusa il 1449 e le altre nel 1692, nel 1874, nel 1860; quest'ultima, si dice, a ricordo della liberazione di Genzano dal governo Borbonico.

Tale campana, rifusa nel 1938, era una preziosa opera dell'insigne artista Olita Girolomo di Acerenza, domiciliato a Bari a strada Vallise n. 5, ritenuto uno dei più valenti costruttori di campane del Reame di Napoli.

Portava inciso il motto: «Perché possa annunziare sempre ore liete», e al di sopra della greca impressa sull'orlo inferiore: «L'alma deggio e il senso al fabbro Olita ».

Per fortuita circostanza abbiamo potuto accertare che detto verso faceva parte di un simpatico sonetto di Giuseppe Sorace, barese, scritto in occasione della costruzione della campana grande della chiesa di Molfetta, di cantara 22 e rotola 5, inaugurata il 1847.

In verità fu un errore imperdonabile l'aver fatto nuovamente fondere la preziosa campana! La chiesa ha tre porte corrispondenti alle tre navate, ed una quarta che conduce al campanile ed alla segrestia, dalla parte posteriore.

È illuminata, oltre che dalle tre finestre frontali soprastanti alle tre porte, da altre quattro finestre laterali da quella esistente sopra, in avanti, all'altare maggiore e da quella che si trova nel coro, tutte a forma di rettangolo.

È fornita di un grazioso battistero del 1720 a forma di coppa ornata di foglie e un tempo da una statuetta della Protettrice di Genzano, Maria SS. delle Grazie, sostituita poi con un gruppo di statuette rappresentante il battesimo di Gesù Cristo.

Degno di ammirazione è un Crocifisso moderno a grandezza naturale innalzato su di un altare di marmo nella Cappella della famiglia Dell'Agli; l'agonia del Signore è impressa nella Effigge in modo molto suggestivo.

 «Questo grandioso Altare con la massima eleganza, di propria iniziativa, Don Girolamo Dell'Agli adornò» si legge in una iscrizione ai piedi dell'artistica Ara.

E in un'altra iscrizione latina alla sua sinistra:

«Il signor Don Giuseppe Sarrocco, il giorno 9 dicembre, Cantore di questa Cappella padronale di Genzano, per sua devozione costruì.»

Questo altare del S.S. Crocifisso è privilegiato e per ogni messa celebrata da qualsiasi Sacerdote nel giorno della morte e dell'ottava del defunto e nella feria seconda di qualsiasi settimana, viene liberata l'anima dalle pene del Purgatorio: come inoltre è ammessa l'indulgenza plenaria a coloro che lo visitano nei giorni festivi della invenzione ed esaltazione della Santa Croce, dai primi vespri fino al tramonto del sole.

Inoltre guadagnano l'indulgenza di 100 giorni, per una penitenza stabilita, coloro che devotamente interverranno a tutte le litanie della feria sesta della Beata Vergine Maria, sia cantate che recitate, secondo le concessioni del S.S. Signor nostro Innocenzo Papa XII date nei giorni 15 febbraio e 14 maggio del 1696, anno 5° del suo pontificato.

Dallo stesso Cantore sono state assegnate al Rev. Capitolo annualmente dieci monete d'oro per la celebrazione di venti messe solenni da cantarsi perpetuamente sul medesimo altare. (Di queste messe) dodici per i defunti, e cioè: una nella feria seconda non impedita di ogni mese (ovvero del giorno della Festa) accompagnata dal canto del «Libera» e dell'«Assoluzione» secondo le costumanze, preceduta dal suono delle campane nella sera e nel mattino; sette fra l'ottava dei defunti, anch'esse con «Requiem» nei giorni non impediti; il rimanente nella festa; di più una messa nella festa di S. Giuseppe, cantata secondo il contratto pubblico depositato presso il notaio;

I-B - DANZI - HUIK - TER

                    Anno del Signore 1697.

Sull'altare seguente si ammira un bel quadro di S. Antonio da Padova con cornice a colonne di legno intarsiato di ignoto autore.

Nel coro troneggia un fastoso polittico a cinque scompartimenti, di Maria S.S. della Platea, di scuola napoletana e di gran pregio.

Tra gli oggetti preziosi sono degni di nota: I°. Una artistica sfera d'argento lastricata d'oro col piede ed ostensorio corrispondenti, dono fatto da S. E. la Principessina di Fondi, Marchesina di Genzano, come si rileva dagli atti esistenti nell'archivio del Tempio e dalle incisioni impresse sui detti oggetti; 2°. Una piccola ed artistica tavola di bronzo raffigurante la presentazione di Gesù al Tempio, tavola che il Parroco fa baciare agli sposi subito dopo l'avvenuto matrimonio, e che meriterebbe di essere gelosamente custodita giacché minaccia di andare in frantumi.

Questa chiesa ricettizia aveva due confraternite laiche, una del SS. Sacramento, con le insegne rosse, che passò alla Cappella del Carmine dopo la soppressione del Convento dei Carmelitani scalzi, l'altra, che venne sciolta e poi riorganizzata nel 1838 e ultimamente nel 1893, del SS. Rosario, dalle insegne gialle.

Della confraternita del S.S. Sacramento hanno lasciato ricordi della loro carica due Priori: Don Silvestro Cilla (1748) e Don Giuseppe Scazzariello (1752); il primo per il suo spirito battagliero contro l'invadente autorità del Clero, il secondo per il suo eccessivo attaccamento al Capitolo.

La Chiesa, seriamente danneggiata dal terremoto del 1694 e successivamente da quello del 16-12-1857, venne munita delle grosse catene di sostegno che si vedono.

E' fornita di Cappelle gentilizie, di coro ed, un tempo, era fornita anche di orologio (1).

Tra le cappelle va ricordata quella del S.S. Sacramento che aveva beni immobili, come si rileva dalla relativa platea esistente in casa dello scrivente, e cioè terreni complessivamente ammontanti a tomoli 358, stoppelli 7 e misure 2 divisi in sette appezzamenti.

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(1) R. Tavolario De Fusco.

Parte III - Cap. V - La chiesa della SS. Annunziata e l'annesso monastero


Il gioiello di Genzano è l'antica ed abbandonata Chiesa dell'Annunziata annessa al Convento di S. Chiara, fondato da Aquilina Sancia sui ruderi di un maniero alla fine del secolo XII, con privilegio di nobiltà.

II suggestivo Tempio ascoltò le mesti voci delle floride dame Spagnuole, delle poetiche donzelle della Provenza,(1) delle vivaci e gentili signorine di Genzano e della Regione che, sotto il velo delle Clarisse, consumarono la loro bellezza e la vita nella contemplazione e nella preghiera.

La clausura accolse anche l'ultimo respiro della nobile fondatrice quivi rinchiusasi con i suoi ricchi forzieri colmi di oro, di tari, di gemme, di veste di toghe, cappe e quivi spentasi nella pace del Signore il 1336 (2).

La salma vestita dell'umile saio di Clarissa e ravvolta in un drappo dorato, venne trasportata a Barletta e tumulata nella scomparsa Chiesa di Santa Chiara in conformità delle disposizioni testamentarie.

La nostra Chiesa dell'Annunziata, che preesisteva alla fondazione del Convento forse quale oratorio del castello ha un bel portale del rinascimento ed un festoso pergamo di legno dorato a sfondi rossi, con lo stemma dei Sancia: un leone incoronato rampante presso un castello merlato e finestrato che ha, tra gli artigli delle zampe, tre spighe d'oro, in campo azzurro con tre stelle con fascia orlata ed inclinata, che vuole indicare la forza, la fertilità del feudo, la fede ghibellina e l'eccezionale nobiltà della casa del principe.

Detto stemma ultimamente divenne quello di Genzano dato che non ebbe più esecuzione il deliberato del Consiglio Comunale del 27-11-1869 col quale si sceglieva, come stemma del Comune, l'immagine della dea Cerere.

Sui due altari barocchi collocati ai lati dell'altare maggiore, in ricche comici dorate, splendono due grandi quadri rappresentanti la S. Famiglia e l'Annunciazione di ignoti autori ma assai apprezzati.

Sugli altri due altari, in nicchie vetrate, vi sono le statue di S. Chiara e di S. Francesco d'Assisi, di scarso valore artistico.

Molte doviziose cornici giacciono per terra abbandonate e prive dei quadri sottratti o lacerati giacché dal giugno del 1905, anno in cui le ultime decrepite clarisse: donna Chiara Maria Sciaraffia, abbadessa, da Oppido: donna Maria Giuseppa Fanelli, da Laurenzano; donna Maria Diletta Cardilli, da Spinazzola; donna Luigia Maria Mennuni, da Genzano e la conversa Chiara Maria Coccia, anche da Genzano, abbandonarono la clausura, tutto rimase in abbandono.

La cappella è illuminata da sei finestre che s'intonano, nella forma, alle piccole grate disposte ai quattro angoli della chiesa, dietro alle quali, due per parte, le nobili serve del Signore ascoltavano le funzioni religiose.

Le due grandi grate messe dirimpetto, l'una sulla porta d'ingresso, l'altra dietro l'altare maggiore, fanno pensare, per la loro forma artistica, più alle fiorite verande del quattrocento che al simbolo della volontaria segregazione dal mondo.

L'annesso chiostro fu tra i più rinomati del Reame di Napoli, ebbe vita rigogliosa e lunga ed educò alla vita civile le più illustre dame del tempo.

Aveva una rendita netta annua di ducati 2.200 oltre le rendite dei beni personali delle suore, il danaro che si ricavava dalla vendita dei dolci squisiti e delle paste alimentari «di straordinaria bianchezza e bontà», il danaro ricavato dalla vendita delle trine, dei merletti, degli arazzi preziosi nel Convento confezionati.

Tanto bella e comoda era la vita che le Clarisse menavano che (in base al decreto del 17-9-1861), una sola delle religiose volle uscire dalla comunità, tale Passeri Marianna.

Però dopo poco tempo cercò di rientrare nella clausura ma la badessa del tempo, donna Maria Teresa Di Pierro, e le altre suore si opposero energicamente in forza della circolare del 15-11-1862 n. 550.

Nel mese di giugno del 1905, le ultime decrepite Clarisse volontariamente abbandonarono la Clausura ed i locali del Convento rimasero in abbandono.

Dal 1912 al 1915 furono sede dell'allora nascente Asilo Infantile affidato alle suore del Sacro Costato; dal 1916 al 1918 ospitarono numerosi prigionieri Austriaci; dal 1928 al 1931 furono sede del gran concerto musicale fondato dallo scrivente.

Ora i locali della clausura sono in parte crollati, in parte adibiti a pubblico macello, in parte a ricovero per i senza tetto.

Le intemperie e l'incuria delle amministrazioni comunali, a poco a poco, fanno precipitare nel Vallone Michele l'edificio che fu l'orgoglio spirituale della Signora di Monte Serico e di Genzano.

Qualche volta accade che la mano pietosa di un fedele vada ad aprire, spolverare, riassettare la Chiesetta(3) e riesca a raccogliere le poche lire necessarie per far celebrare la S. Messa nel giomo della SS. Annunziata o in qualche altra festività: allora si spande pel paese, e per la sottostante vallata, l'armoniosa ed insolita voce dei sacri bronzi da tempo condannati al silenzio.

Quel suono, a guisa di delicati accordi in tono minore, pare che non scenda dalla semi-diruta torretta ottagonale, ma venga da molto lontano, dalle misteriose regioni dell'aldilà e dispone le anime alla meditazione ed alla preghiera.

I vecchi devotamente si scoprono, mentre lampi di ricordi lontani si accendono negli occhi stanchi.

Quale arcana forza si sprigiona dalla preziosa campana che le mani esperte d'un ignoto artista costruirono nell'anno di grazie 1443, e da quella che il melfitano Troiano fuse, per incarico della badessa Avinia nel 1556? Mistero! Forse la generosa ed eletta anima della fondatrice della Clausura e della restaurazione del Tempio veglia ancora su quella che fu la sua più bella opera terrena e manda, a mezzo dei sacri bronzi, il suo gentile saluto alla prediletta Genzano.

Ora, unico ricordo dell'antico splendore della Clausura e del Tempio, rimane una piccola targa marmorea murata all'angolo della Cappella, con l'indicazione: Larghetto «Aquilina Sancia».

IL TESTAMENTO

Aquilina Sancia, stanca delta vita di Corte, delusa in amore, addolorata della perdita della figlia Antonella e della morte del suo terzo marito, decise di ritirarsi nei suoi feudi di Monte Serico e di Genzano.

Qui volle fondare un «monistero di donne velate» presso la Chiesa di Maria SS. Annunziata annessa al diruto maniero esistente all'estremo limite della collina su cui è fondato il paese.

In tal luogo di raccoglimento e di preghiere, mentre era ancora in ottime condizioni di salute, volle dettare il suo testamento e confermare, con impugnabile documento, le donazioni (4) elargite all'atto della fondazione della Clausura.

Ma il governo Aragonese si appropriò della ricca eredità e solo dopo la sua caduta, il Monastero di Genzano potè rientrare in possesso dei beni ereditati.

Così venne fuori il Testamento di Aquilina Sancia del 14 aprile 1327, riportato in appendice, redatto in Genzano da Matteo di Mastrobartolo, pubblico notaio di Basilicata.

Detto atto porta, tra gli altri, il riverito segno di croce dell'analfabeta Giudice della terra di Genzano: «Andrea Lapso».

ATTO DI POSSESSO

Il 4 settembre del 1501, a richiesta della badessa del Monastero di Genzano, donna Creusa Palaganca da Trani, a mezzo dei suoi procuratori fra Tommaso Materano e Pasquale Valente, detto il Pantano, si procedette alla presa di possesso dei beni spettanti al Monastero in conseguenza del sopra indicato testamento che venne esibito in originale.

L'atto di possesso, da noi trascritto in appendice, venne compilato dal notaio di Spinazzola «Angelo Bruno» e si onora di portare il segno di croce del magnifico Paladino Reale, giudice di Genzano, che  "scribere nescentis quia idiota est".

COMUNITA' DI S. CHIARA NEL 1786

1. Donna Chiara Maria Falcinelli, Badessa; 2. Mara Emanuele Cilente, Suora Vicaria; 3. Angela Maria Gigante, Suora dispensiera; 4. Maria Rachele D'Agostino, Suora dispensiera; 5. Maria Serafina D'Agostino, Suora depositaria; 6. Maria Diodata Bonifacio, Suora; 7. Maria Paola Bochicchio. Suora; 8. Maria Saveria Spada, Suora; 9. Maria Rosa Dell'Agli, Suora; 10. Maria Maddalena Gigante, Suora; 11.Maria Giuseppa Dell'Agli, Suora; 12. Maria Agnese Cagliardi, Suora; 13, Maria Crucifisso Lancellotti, Suora; 14. Maria Vincenza Spada, Suora; 15. Maria Carmela Lancellotti, Suora; 16. Maria Nicola Atella, Suora; 17. Maria Margherita Bonifacio, Suora; 18. Maria Luigia Falcinelli, Suora; 19. Maria Candida Laviano, Suora; 20. Maria Giovanna Vignola, Suora; 21. Maria Arcangela Dell'Agli, Suora; 22. Maria Cecilia Gagliardi, Suora; 23. Maria Eugenia Morani, Suora; 24. Maria Michela Grimaldi, Suora; 25. Maria Teresa D'Agostino, Suora; 26. Maria Gaetana Maselli, Suora.

EDUCANDE:

1. Donn'Anna Maria Dell'Agli; 2. Donna Michelina Mirenza; 3. Donna Rachele Spada; 4. Donna Vincenza Francavilla.

SERVE INTERNE:

1. Beatrice Carcuro; 2. Domenica Nardiello: 3. Ilaria Nardiello; 4. Antonia Mirabella.

SERVE ESTERNE:

1. Costanza, con salario annuo di ducati uno e settanta, oltre un abito e un paio di scarpe ogni tre anni; 2. Angela Caterina, alle medesime condizioni.         

SAGRISTANO DELLA CHIESA:

Reverendo Don Canio Saverio Dipierro, con paga annua di ducati quattro.

Medico della comunità: Mangieri, senza paga fissa.

Sotto chirurgo: Francesco di Nozza, con paga annua di ducati tre e cinquanta.

Reverendo procuratore: Don Pasquale Albani, con paga annua di durati quarantuno.

Mulattiere: Giuseppe Sarrocco, con salario di ducati trenta.

Cantiniere: Antonio Abate, con salario annuo di ducati sei e cinquanta.

Cantiniera: Agnesa Stigliano, con salario annuo di ducati quattro e cinquanta.

Maniscalco: Carlo Antonio Patarino, con estaglio annuo di ducati tre.

Dipendenti senza salario fisso:

Savino Franzino, ferraro; Teodoro Malizia, bastaio; Pasquale Grasso e Teodoro Sciota, muratori; Nicola Lanubile, falegname; Michele Parisi, sarto; Domenico Nozza, mugnaio; Giulio Battaglino (Alias Piccione), contadino; Vito Potenza (Alias Mezza Calzetta), contadino.

IL TESORETTO DELLE SUORE

Durante il periodo del brigantaggio due Sacerdoti, uno di Genzano l'altro di Avigliano, un monaco ed un prete, organizzarono una truffa in danno delle ricche Suore di S. Chiara.

Approfittando del tentativo di furto compiuto nella notte tra il 26 e 27 giugno del 1867 in danno del monastero (5), persuasero l'Abbadessa che non era prudente tenere nel Monastero il tesoretto lasciato dalla fondatrice e aumentato durante molti anni di economia, e consigliarono di depositare i gioielli ed il danaro, quasi tutto in moneta aurea, presso persona di fiducia, e per maggiore garanzia, metà in casa di un amico, metà in casa di un altro.

Naturalmente ciò doveva avvenire all' insaputa di tutti altrimenti i ladri avrebbero rivolto la loro attenzione verso i depositari.

Fu così che la sera del 28 giugno del 1867, le due serve esterne del Monastero portarono nelle case del confessore e del Rettore della Clausura due ramiere apparentemente piene di cenere ma in cui vi erano tutte le ricchezze e le economie delle clarisse.

Nessuno seppe mai nulla del fatto e le stesse donne che effettuarono il trasporto erano convinte di aver portato della cenere per il bucato in casa dei messeri, come in qualche altra occasione era avvenuto.

Trascorsi diversi anni, quando il nuovo governo di Vittorio Emanuele II era riuscito a rendere sicura e tranquilla la vita e gli ultimi briganti erano scomparsi, la madre Abbadessa fece capire al tanto caritatevole Monaco e al degno suo socio che ormai potevano rimandare il tesoretto al Convento giacché ogni pericolo era scomparso ».

I Sacerdoti dichiararono di non aver ricevuto mai nulla e che le ramiere a loro mandate la sera seguente a quella del tentato furto contenevano cenere pel bucato e nulla più.

A nulla valsero le proteste delle derubate che dovettero anche tacere perché non venissero aggiunte le beffe al danno specialmente perché le due serve, in perfetta buona fede, affermavano di aver portato, in quella sera di giugno in casa dei Sacerdoti della cenere e di aver lasciato le ramiere una nel sottoscala esterno della cucina del Monastero di S. Francesco, l'altra sul pianerottolo esterno della stalletta dell'abitazione del prete.

D'altra parte le suore, per motivo di prudenza, avevano sempre dichiarato alle autorità di non possedere denaro e tanto meno oggetti preziosi all'infuori di quelli necessari per il Culto.

Si cercò di mantenere segreto l'accaduto ma il fatto ugualmente trapelò in paese sino al punto che fu oggetto di un salace sonetto dialettale. Il popolo si tramanda di padre in figlio, a eterna vergogna i nomi dei due indegni Ministri di Dio.

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(1) R. Brettagna.

(2) Lapide un tempo esistente nella scomparsa chiesa di S. Chiara di Barletta.

(3) Attualmente la Chiesa è stata regolarmente riaperta al culto ma, per l'assoluta mancanza di sacerdoti, è come se fosse ancora chiusa.

(4) Dei ricchi doni, dei preziosi arredi sacri lasciati da Aquilina Sancia ed elencati nel testamento, non rimangono che tre calici d'argento e la croce astata anche di argento.

(5) Rapporto del Sindaco al Prefetto n. 19 del 27-6.1867.

Parte III - Cap. VI - La cappella di Maria SS. delle Grazie


In fondo al Corso Vittorio Emanuele si erge la Chiesa intitolata a Maria S.S. delle Grazie, Protettrice del paese.

Venne costruita tra la fine del 1600 e l'inizio del 1700 e rifatta nel 1821 e, quasi completamente riedificata in conseguenza del terremoto del 16-12-1857.

La facciata, ornata di nicchie e di una finestra circolare al centro, ha, alle estremità, due campanili bassi, uno vuoto, l'altro con tre campane costruite nel 1852; due di esse furono nuovamente fuse, una nel 1910 l'altra nel 1934.

Sul portale dei tempio si legge la sublime preghiera di S. Bemardo:

«Donna, se tanto grande e tanto vali,

che qual vuol grazia ed a te non ricorre

sua disianza vuol volar senz'ali».

Dante

La Chiesa riceve luce anche dalle quattro finestre collocate a destra e a sinistra dell'unica navata, e da quella soprastante all'altare maggiore, perciò è ricca di aria e di luce e, per la sua semplicità, piace molto specialmente perché ha un aspetto festoso.

A sinistra, entrando, si nota una bella acquasantiera in pietra a due pezzi, a forma di calice piatto, opera veramente artistica del 1698.

In fondo la Cappella si presenta a forma di croce con le braccia accorciate.

L'abside centrale è piatto; su di esso, nel mezzo di un finto mantello araldico sormontato da una corona e sorretto da quattro Angeli (1), vi è collocato. in nicchia più volte vetrata, l'Effige di Maria S. S. delle Grazie.

È un bel quadro bizantino in cui la Vergine, a mezzo busto, e il Sacro Infante sono dipinti in modo meraviglioso, sopra una pietra levigata.

Trattasi dell'Effige rinvenuta a Capo d'Acqua il 25 marzo del 1621 (2).

Anche questa chiesa aveva le sue dotazioni a quanto si legge negli strumenti dei notai Giulio Cesare Cavallo e Ascanio Siano, rispettivamente del 9 ottobre 1625 e del 14 agosto 1663 e come si rileva dalla platea del 1822, sfuggita all'incendio del 1825, dalla platea del 20 luglio del 1873 compilata ai pubblici agrimensori: Raffaele Parisi, Giuseppe Polini e dai «prattici» Teodoro Palma e Pasquale Cilla per incarico dell'amministrazione della Congrega di Carità di Genzano.

Le tenute erano: 1 ° Il Quatrone, alla Mattina Grande, di torri 168 stop. 4 e misura una -  2° a Volpe Chiara, sei appezzamenti rispettivamente di tomoli 38 e stoppelli 4; di tom. 30 e stop. 3; di tom. 12 e stop. 1; di tom. 14 e stop. 2; di torri. 46 e stop. 7 di tom. 20 -  3° Al piano della Cerzolla: uno di tom. 69, stop. 7 e mis. 1 ; uno di t. 84, st. 7, mis 1 - 4° Alle Recchiagini un appezzamento di t. 46, st. 7 -  5° A Festola, un appezzamento di t. 37 - 6° Altri 9 appezz. in altre contrade, in tutto 16 tenute, come riferisce l'avvocato Stringari a pagina 12 della memoria a stampa compilata a Napoli il 12 maggio dell'anno 1880.

In detta Cappella si svolgono le cerimonie più importanti comprese le patriottiche e, nella settimana della Pasqua delle Rose, le solenni Feste Patronali che si iniziano col pellegrinaggio al Santuario di Monteserico, e col solenne ricevimento ai fedeli del Comune di Forenza che, ogni anno, «processionalmente si recano a pregare ai piedi di Maria S. S. delle Grazie».

Nella Chiesa di Maria S.S. delle Grazie trovasi anche l'Effige di S. Antonio Abate, prottettore del paese, la cui festività ricorre il 17 gennaio.

E' sede della Confraternita di Maria S. S. delle Grazie, dalle insegne azzurre, aggregata all'Arciconfraternita di S. Maria del Gonfalone di Roma con bolla del 20-9-1621.

Apprendiamo da un componimento dialettale di ben 70 quartine, scritto dal contadino Donato Rizzo, che in detta Cappella, l'11-5-1845, il giorno della festività di Maria S.S. delle Grazie, successe un grave disastro che costò la vita a 30 persone.

Durante la Messa solenne, mentre un valente oratore stava facendo il panegirico della nostra Protettrice, cadde una candela accesa e diede fuoco ad un drappo; in pochi minuti l'intero addobbo della Chiesa andò in fiamme.

Senza tener presente che nessun danno serio si correva, perchè il Tempio era ed è costruito tutto in muratura, l'arciprete del tempo si mise a gridare: «Chi vuole la vita esca fuori».

Ciò determinò la catastrofe, i fedeli, presi dal panico, si precipitarono verso l'unica uscita allora esistente e nella fretta di guadagnare subito la strada calpestarono ogni cosa.

Naturalmente «i vecchi, i bimbi, le donne incinte, i deboli soffrirono i maggiori danni».

Pel fatto che i caduti ostruirono l'uscita oltre ai trenta morti, vi furono circa 200 feriti tra i quali anche i cittadini di Banzi, Palazzo S. Gervasio, Oppido, Tolve, Montepeloso, Spinazzola, Forenza, Acerenza.

Il disastro sarebbe stato ben più grave se il Comandante Mennuni non fosse riuscito, con la sciabola alla mano, a disciplinare alla meglio la uscita e a disporre i primi soccorsi.

Il Rizzi ebbe a deplorare la condotta dei monaci di S. Francesco che, pur di uscire presto dalla Chiesa, calpestavano i caduti «zumpanne coma Giudei».

Il Decurionato, con deliberazione del 22-5-1845, assegnò un sussidio alle famiglie povere rimaste prive di sostegno in tale occasione e in proporzione del numero delle persone che componevano le famiglie colpite.

Così alla famiglia di Rosa Calviello si dettero tomoli quattro di grano; a quella di Angela Battaglino, tomoli sei; a quella di Maria Giuseppa Marchione, tomoli tre; a quella di Maria Antonietta Lepore, tomoli quattro.

La cappella rimase interdetta e la Confraternita si sciolse.

La Chiesa venne riaperta al culto nel 1850 e la Confraternita fu ripristinata come risulta dal seguente Regio Decreto redatto su carta bollata di grana sei.

Ferdinando II

Per grazia di Dio, Re del Regno delle Due Sicilie, di Gerusalemme, Duca di Parma Piacenza, di Castro, Gran Principe Ereditario di Toscana,

Veduto l'avviso del Consiglio di Stato, sulla proposizione del nostro Direttore del Ministero e Real Segretario di Stato dell'Interno, Ramo Interno

Abbiamo risoluti di decretare e decretiamo quanto segue:

Articolo 1

Accordiamo il nostro Sovrano Beneplacido sulle regole della confraternita di S. Maria delle Grazie da ripristinarsi nel Comune di Genzano, Provincia di Basilicata, secondo il progetto annesso al presente decreto.

Articolo II

Il nostro Direttore del Ministero e Reale Segretaria di Stato dell'interno Ramo Interno, è incaricato dell'esecuzione del presente decreto.

Firmato: FERDINANDO

II Direttore del Ministero e Reale Segreteria di Stato dell'In­terno ramo interno, firmato: Murena.

Il Ministro Segretario di Stato, Presidente del Consiglio dei Ministri, firmato: Fortunato.

Napoli, 19 giugno 1850.

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(1) Dal 1945 completamente trasformato

(2) Da alcuni è ritenuta opera di S. Luca.

 


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