Ettore Lorito - GENZANO DI BASILICATA - CRONOGRAFIA |
Parte III - Cap. III - L'invenzione dell'effige di Maria SS. delle Grazie
Nel 1621 un grande avvenimento agitò e
sconvolse il semplice ed operoso popolo di Genzano, «che nella devozione ed
opere di pietà non fu mai secondo ad alcun altro» (1): il rinvenimento della
miracolosa Effige di Maria S.S. delle Grazie.
Ecco quanto al riguardo si legge in una
pergamena del tempo:
«Nella terra di Genzano successe nell'anno
1619 che un nominato Pietro di Giovan Filippo, giovane di età di anni 14 in
circa nato da onorati genitori, ritrovandosi un giorno in custodia di bovi nel
territorio di detta terra alle Sterpara, li comparse in detto loco una donna
vestita di bianco, la quale disse, che avesse fatto intendere alle genti di
detta terra, che avessero cavato alla grotta della vigna, che fu di don Fabio
vicino alla fontana di Capo d'acqua, che Ella avrieno ritrovata l'Immagine sua,
e in questo spari, e di poi alcuni giorni li apparse un'altra volta nell'intesso
territorio, e li disse li stesso: perloché avendo detto Pietro rivelata
detta visione in detta Terra, si incominciò a cavare in detta Grotta dove non
trovarono altro, che certa pittura nella cena, che a giudizio di molti si
credeva fosse stata l'Immagine della Madonna S.S. ed il Figlio in braccia,
ma poco di poi sparì la cena e s'incominciò a cavare là vicino a
giudizio del signor D. Giambattista Devoli Cavaliere Napolitano, quale teneva
l'affitto della Abbazia di Banzi, e di altri, della quale cava successe, che
cascò la Montagna di sopra la Grotta e sassi durissimi, donde si scoprì un
pertuso grande sopra la grotta, dove si trovarono cenere, Tozzoni, Langelle
rotte, e ossa di uomini, dalli quali segni si giudicò che era stato luogo di
eremita, tanto più, che si trovò ancora una immaginetta di S. Pietro
Apostolo(2) sopra un poco di mattone, ed essendone uscito da speranza di
ritrovar detta immagine in detto luogo si risolsero di edificarci una Chiesa per
devozione del Popolo, come si incominciò, e si fecero li pidamenti, e per fare
detta fabrica cominciarono a cavare le pietre cascate da detta montagna, col
cavare sentirono un odore soavissimo, e trovarono li Cavatori dentro dette
pietre la Immagine della Madonna S.S. ed il Figlio in braccia depitta in una
pietra durissima di palmi uno e mezzo in circa, che la toccò colla zappa
Giovanni Malatesta uno dei cavatori, e questo fu a 25 di Marzo 1621 ad ore
20 in circa, a tempo si cantava il Vespero solennemente nella Chiesa della
S.S. Annunziata di detta Terra che si stava cantando il Magnificat, dove furono
chiamate le genti, che fussero andati, che era ritrovata detta Immagine
S.S. ben vero che sono da circa anni 40 fu detto, che la B. Vergine era venuta
in sogno ad una persona, che era al monte sopra il detto loco, perlochè il Rev.do
Don Ferrante Decameraris allora Arciprete di detta terra, fè incominciare a
cavare al monte predetto dove non si trovò cosa alcuna: e subito ritrovata
detta immagine se ne avvisò il Dottore D. Fulvis Daietis Archidiacono, e
Vicario Generale e Capitolare della città di Acerenza, Metropoli della Diocesi,
e all'istesso tempo si fé una Cappella in detto loco, dove fu reposta detta
Immagine per mano di detto Signor Vicario insino a tanto che si edificava
la Chiesa: quel Signor Vicario alli 28 di detto mese prese del tutto
informazione, con la relazione anco del Rev.do Don Stefano Lepore
Arciprete di detta Terra, benedisse detta Immagine con la Cappella, dove si
Celebrò Messa cantata solennemente precedente processione fatta con detta
Immagine per detta Terra con concorso del Popolo, ed anche di molti forestieri
quali vennero al grido di detto felice successo e si pose il nome della Madonna
S.S. delle Grazie vo leva essere chiamata seguitando molto divozione di terre
vicine, e di lontani paesi, non starò a dire di Infiniti Miracoli, e
Grazie, che di continuo ha fatto, e fa tanto prima, che fusse ritrovata, quando
di poi che non basteria lingua umana a raccontarlo, ma le genti che ci
concorrono ne possono far fede.
Il loco dove è ritrovata, è amenissimo
circondato di valle con alberi fruttiferi, e con una fontana di acqua
abbondantissima, e detta cappella è fatta luspatronato della Università di
detta Terra, con Bulla di detto Signor Vicario con essere portato per Cappellano
il Reverendo Capitolo di detta Terra, in perpetuum, e ci è istituita la
Confraternita, la quale è stata aggregata alla Archiconfraternita di S. Maria
del Gonfalone di Roma, con finite indulgenze mediante Bolla spedita in Roma
a dì 20 di settembre 1621 talché di questo tesoro inestimabile dovemo rendere
infinite grazie alla Maestà divina e a sua Madre Santissima a quella
supplicarla, che come a protettrice nostra si degni conservarci sua santa
grazia, e liberarci da ogni tribulazione. Amen».
Il popolo, con fede incrollabile nella sua
Protettrice, ha cantato e canta durante la solenne festività che ricorre il di
della Pasqua delle Rose:
Potentissima
Maria,
Cara Madre delle
Grazie
Nella vita e
morte mia
Non mi devi (3)
abbandonare.
Ma quasi a voler provare la costanza, la fede
cittadina, nel 1694 Genzano fu in gran parte distrutta dal terremoto.
Quei bravi «faticatori» così attaccati
alla loro terra, non si perdettero di animo; sorretti dalla loro fede e certi
della protezione della Beata Vergine delle Grazie di recente rinvenuta, si
diedero animo e corpo alla ricostruzione del paese, ed in pochi anni, ebbero
ragione dell'immane disastro.
L'abitato venne prolungato a destra e a
sinistra oltre la Marchional Corte in luogo piano e ben soleggiato.
Nello stesso tempo si costruì la sede
definitiva di Maria S. S. delle Grazie in fondo alla via principale della parte
nuova del paese, sulla collina ove, secondo la tradizione, sarebbero stati
piazzati i cannoni per radere al suolo l'abitato, come diremo in seguito.
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(1) Avv. Marotta
1894.
(2) Trovasi ora
nella Chiese di Maria SS. delle Grazie.
(3) Qualche testo dice: dovete o avete
Parte III - Cap. IV - La chiesa parrocchiale
Nel centro dell'antico paese, tra il 1400, e
il 1450, si eresse la Mater Ecclesia sotto il titolo di «S. Maria della Platea»
o della «Piazza».
Il Tempio è a
tre navate con colonne quadrate massicce in fabbrica comune e non presenta nulla
di notevole dal punto di vista architettonico.
Caratteristico è
il campanile a forma di parallelepipedo sormontato da una modesta cornice, con
quattro aperture frontali, due sopra due sotto, nelle quali sono collocati i
sacri bronzi.
Il campanile,
dato il suo piccolo spessore, si staglia nel cielo come un grande rettangolo
poggiato, con uno dei suoi lati corti, sul muro maestro che sta in fondo alla
chiesa.
Vi sono quattro
campane; la grande fusa il 1449 e le altre nel 1692, nel 1874, nel 1860;
quest'ultima, si dice, a ricordo della liberazione di Genzano dal governo
Borbonico.
Tale campana,
rifusa nel 1938, era una preziosa opera dell'insigne artista Olita Girolomo di
Acerenza, domiciliato a Bari a strada Vallise n. 5, ritenuto uno dei più
valenti costruttori di campane del Reame di Napoli.
Portava inciso il
motto: «Perché possa annunziare sempre ore liete», e al di sopra della greca
impressa sull'orlo inferiore: «L'alma deggio e il senso al fabbro Olita ».
Per fortuita
circostanza abbiamo potuto accertare che detto verso faceva parte di un
simpatico sonetto di Giuseppe Sorace, barese, scritto in occasione della
costruzione della campana grande della chiesa di Molfetta, di cantara 22 e
rotola 5, inaugurata il 1847.
In verità fu un
errore imperdonabile l'aver fatto nuovamente fondere la preziosa campana! La
chiesa ha tre porte corrispondenti alle tre navate, ed una quarta che conduce al
campanile ed alla segrestia, dalla parte posteriore.
È illuminata,
oltre che dalle tre finestre frontali soprastanti alle tre porte, da altre
quattro finestre laterali da quella esistente sopra, in avanti, all'altare
maggiore e da quella che si trova nel coro, tutte a forma di rettangolo.
È fornita di un
grazioso battistero del 1720 a forma di coppa ornata di foglie e un tempo da una
statuetta della Protettrice di Genzano, Maria SS. delle Grazie, sostituita poi
con un gruppo di statuette rappresentante il battesimo di Gesù Cristo.
Degno di
ammirazione è un Crocifisso moderno a grandezza naturale innalzato su di un
altare di marmo nella Cappella della famiglia Dell'Agli; l'agonia del Signore è
impressa nella Effigge in modo molto suggestivo.
«Questo
grandioso Altare con la massima eleganza, di propria iniziativa, Don Girolamo
Dell'Agli adornò» si legge in una iscrizione ai piedi dell'artistica Ara.
E in un'altra
iscrizione latina alla sua sinistra:
«Il signor Don
Giuseppe Sarrocco, il giorno 9 dicembre, Cantore di questa Cappella padronale di
Genzano, per sua devozione costruì.»
Questo altare del
S.S. Crocifisso è privilegiato e per ogni messa celebrata da qualsiasi
Sacerdote nel giorno della morte e dell'ottava del defunto e nella feria seconda
di qualsiasi settimana, viene liberata l'anima dalle pene del Purgatorio: come
inoltre è ammessa l'indulgenza plenaria a coloro che lo visitano nei giorni
festivi della invenzione ed esaltazione della Santa Croce, dai primi vespri fino
al tramonto del sole.
Inoltre
guadagnano l'indulgenza di 100 giorni, per una penitenza stabilita, coloro che
devotamente interverranno a tutte le litanie della feria sesta della Beata
Vergine Maria, sia cantate che recitate, secondo le concessioni del S.S. Signor
nostro Innocenzo Papa XII date nei giorni 15 febbraio e 14 maggio del 1696, anno
5° del suo pontificato.
Dallo stesso
Cantore sono state assegnate al Rev. Capitolo annualmente dieci monete d'oro per
la celebrazione di venti messe solenni da cantarsi perpetuamente sul medesimo
altare. (Di queste messe) dodici per i defunti, e cioè: una nella feria seconda
non impedita di ogni mese (ovvero del giorno della Festa) accompagnata dal canto
del «Libera» e dell'«Assoluzione» secondo le costumanze, preceduta dal suono
delle campane nella sera e nel mattino; sette fra l'ottava dei defunti,
anch'esse con «Requiem» nei giorni non impediti; il rimanente nella festa; di
più una messa nella festa di S. Giuseppe, cantata secondo il contratto pubblico
depositato presso il notaio;
I-B - DANZI - HUIK - TER
Anno del Signore 1697.
Sull'altare
seguente si ammira un bel quadro di S. Antonio da Padova con cornice a colonne
di legno intarsiato di ignoto autore.
Nel coro
troneggia un fastoso polittico a cinque scompartimenti, di Maria S.S. della
Platea, di scuola napoletana e di gran pregio.
Tra gli oggetti
preziosi sono degni di nota: I°. Una artistica sfera d'argento lastricata d'oro
col piede ed ostensorio corrispondenti, dono fatto da S. E. la Principessina di
Fondi, Marchesina di Genzano, come si rileva dagli atti esistenti nell'archivio
del Tempio e dalle incisioni impresse sui detti oggetti; 2°. Una piccola ed
artistica tavola di bronzo raffigurante la presentazione di Gesù al Tempio,
tavola che il Parroco fa baciare agli sposi subito dopo l'avvenuto matrimonio, e
che meriterebbe di essere gelosamente custodita giacché minaccia di andare in
frantumi.
Questa chiesa
ricettizia aveva due confraternite laiche, una del SS. Sacramento, con le
insegne rosse, che passò alla Cappella del Carmine dopo la soppressione del
Convento dei Carmelitani scalzi, l'altra, che venne sciolta e poi riorganizzata
nel 1838 e ultimamente nel 1893, del SS. Rosario, dalle insegne gialle.
Della
confraternita del S.S. Sacramento hanno lasciato ricordi della loro carica due
Priori: Don Silvestro Cilla (1748) e Don Giuseppe Scazzariello (1752); il primo
per il suo spirito battagliero contro l'invadente autorità del Clero, il
secondo per il suo eccessivo attaccamento al Capitolo.
La Chiesa,
seriamente danneggiata dal terremoto del 1694 e successivamente da quello del
16-12-1857, venne munita delle grosse catene di sostegno che si vedono.
E' fornita di
Cappelle gentilizie, di coro ed, un tempo, era fornita anche di orologio (1).
Tra le cappelle
va ricordata quella del S.S. Sacramento che aveva beni immobili, come si rileva
dalla relativa platea esistente in casa dello scrivente, e cioè terreni
complessivamente ammontanti a tomoli 358, stoppelli 7 e misure 2 divisi in sette
appezzamenti.
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(1) R. Tavolario De Fusco.
Parte III - Cap. V - La chiesa della SS. Annunziata e l'annesso monastero
Il gioiello di Genzano è l'antica ed
abbandonata Chiesa dell'Annunziata annessa al Convento di S. Chiara, fondato da
Aquilina Sancia sui ruderi di un maniero alla fine del secolo XII, con
privilegio di nobiltà.
II suggestivo
Tempio ascoltò le mesti voci delle floride dame Spagnuole, delle poetiche
donzelle della Provenza,(1) delle vivaci e gentili signorine di Genzano e della
Regione che, sotto il velo delle Clarisse, consumarono la loro bellezza e la
vita nella contemplazione e nella preghiera.
La clausura
accolse anche l'ultimo respiro della nobile fondatrice quivi rinchiusasi con i
suoi ricchi forzieri colmi di oro, di tari, di gemme, di veste di toghe, cappe e
quivi spentasi nella pace del Signore il 1336 (2).
La salma vestita
dell'umile saio di Clarissa e ravvolta in un drappo dorato, venne trasportata a
Barletta e tumulata nella scomparsa Chiesa di Santa Chiara in conformità delle
disposizioni testamentarie.
La nostra Chiesa
dell'Annunziata, che preesisteva alla fondazione del Convento forse quale
oratorio del castello ha un bel portale del rinascimento ed un festoso pergamo
di legno dorato a sfondi rossi, con lo stemma dei Sancia: un leone incoronato
rampante presso un castello merlato e finestrato che ha, tra gli artigli delle
zampe, tre spighe d'oro, in campo azzurro con tre stelle con fascia orlata ed
inclinata, che vuole indicare la forza, la fertilità del feudo, la fede
ghibellina e l'eccezionale nobiltà della casa del principe.
Detto stemma
ultimamente divenne quello di Genzano dato che non ebbe più esecuzione il
deliberato del Consiglio Comunale del 27-11-1869 col quale si sceglieva, come
stemma del Comune, l'immagine della dea Cerere.
Sui due altari
barocchi collocati ai lati dell'altare maggiore, in ricche comici dorate,
splendono due grandi quadri rappresentanti la S. Famiglia e l'Annunciazione di
ignoti autori ma assai apprezzati.
Sugli altri due
altari, in nicchie vetrate, vi sono le statue di S. Chiara e di S. Francesco
d'Assisi, di scarso valore artistico.
Molte doviziose
cornici giacciono per terra abbandonate e prive dei quadri sottratti o lacerati
giacché dal giugno del 1905, anno in cui le ultime decrepite clarisse: donna
Chiara Maria Sciaraffia, abbadessa, da Oppido: donna Maria Giuseppa Fanelli, da
Laurenzano; donna Maria Diletta Cardilli, da Spinazzola; donna Luigia Maria
Mennuni, da Genzano e la conversa Chiara Maria Coccia, anche da Genzano,
abbandonarono la clausura, tutto rimase in abbandono.
La cappella è
illuminata da sei finestre che s'intonano, nella forma, alle piccole grate
disposte ai quattro angoli della chiesa, dietro alle quali, due per parte, le
nobili serve del Signore ascoltavano le funzioni religiose.
Le due grandi
grate messe dirimpetto, l'una sulla porta d'ingresso, l'altra dietro l'altare
maggiore, fanno pensare, per la loro forma artistica, più alle fiorite verande
del quattrocento che al simbolo della volontaria segregazione dal mondo.
L'annesso
chiostro fu tra i più rinomati del Reame di Napoli, ebbe vita rigogliosa e
lunga ed educò alla vita civile le più illustre dame del tempo.
Aveva una rendita
netta annua di ducati 2.200 oltre le rendite dei beni personali delle suore, il
danaro che si ricavava dalla vendita dei dolci squisiti e delle paste alimentari
«di straordinaria bianchezza e bontà», il danaro ricavato dalla vendita delle
trine, dei merletti, degli arazzi preziosi nel Convento confezionati.
Tanto bella e
comoda era la vita che le Clarisse menavano che (in base al decreto del
17-9-1861), una sola delle religiose volle uscire dalla comunità, tale Passeri
Marianna.
Però dopo poco
tempo cercò di rientrare nella clausura ma la badessa del tempo, donna Maria
Teresa Di Pierro, e le altre suore si opposero energicamente in forza della
circolare del 15-11-1862 n. 550.
Nel mese di
giugno del 1905, le ultime decrepite Clarisse volontariamente abbandonarono la
Clausura ed i locali del Convento rimasero in abbandono.
Dal 1912 al 1915
furono sede dell'allora nascente Asilo Infantile affidato alle suore del Sacro
Costato; dal 1916 al 1918 ospitarono numerosi prigionieri Austriaci; dal 1928 al
1931 furono sede del gran concerto musicale fondato dallo scrivente.
Ora i locali
della clausura sono in parte crollati, in parte adibiti a pubblico macello, in
parte a ricovero per i senza tetto.
Le intemperie e
l'incuria delle amministrazioni comunali, a poco a poco, fanno precipitare nel
Vallone Michele l'edificio che fu l'orgoglio spirituale della Signora di Monte
Serico e di Genzano.
Qualche volta
accade che la mano pietosa di un fedele vada ad aprire, spolverare, riassettare
la Chiesetta(3) e riesca a raccogliere le poche lire necessarie per far
celebrare la S. Messa nel giomo della SS. Annunziata o in qualche altra festività:
allora si spande pel paese, e per la sottostante vallata, l'armoniosa ed
insolita voce dei sacri bronzi da tempo condannati al silenzio.
Quel suono, a
guisa di delicati accordi in tono minore, pare che non scenda dalla semi-diruta
torretta ottagonale, ma venga da molto lontano, dalle misteriose regioni
dell'aldilà e dispone le anime alla meditazione ed alla preghiera.
I vecchi
devotamente si scoprono, mentre lampi di ricordi lontani si accendono negli
occhi stanchi.
Quale arcana
forza si sprigiona dalla preziosa campana che le mani esperte d'un ignoto
artista costruirono nell'anno di grazie 1443, e da quella che il melfitano
Troiano fuse, per incarico della badessa Avinia nel 1556? Mistero! Forse la
generosa ed eletta anima della fondatrice della Clausura e della restaurazione
del Tempio veglia ancora su quella che fu la sua più bella opera terrena e
manda, a mezzo dei sacri bronzi, il suo gentile saluto alla prediletta Genzano.
Ora, unico
ricordo dell'antico splendore della Clausura e del Tempio, rimane una piccola
targa marmorea murata all'angolo della Cappella, con l'indicazione: Larghetto «Aquilina
Sancia».
IL
TESTAMENTO
Aquilina Sancia,
stanca delta vita di Corte, delusa in amore, addolorata della perdita della
figlia Antonella e della morte del suo terzo marito, decise di ritirarsi nei
suoi feudi di Monte Serico e di Genzano.
Qui volle fondare
un «monistero di donne velate» presso la Chiesa di Maria SS. Annunziata
annessa al diruto maniero esistente all'estremo limite della collina su cui è
fondato il paese.
In tal luogo di
raccoglimento e di preghiere, mentre era ancora in ottime condizioni di salute,
volle dettare il suo testamento e confermare, con impugnabile documento, le
donazioni (4) elargite all'atto della fondazione della Clausura.
Ma il governo
Aragonese si appropriò della ricca eredità e solo dopo la sua caduta, il
Monastero di Genzano potè rientrare in possesso dei beni ereditati.
Così venne fuori
il Testamento di Aquilina Sancia del 14 aprile 1327, riportato in appendice,
redatto in Genzano da Matteo di Mastrobartolo, pubblico notaio di Basilicata.
Detto atto porta,
tra gli altri, il riverito segno di croce dell'analfabeta Giudice della terra di
Genzano: «Andrea Lapso».
ATTO DI
POSSESSO
Il 4 settembre
del 1501, a richiesta della badessa del Monastero di Genzano, donna Creusa
Palaganca da Trani, a mezzo dei suoi procuratori fra Tommaso Materano e Pasquale
Valente, detto il Pantano, si procedette alla presa di possesso dei beni
spettanti al Monastero in conseguenza del sopra indicato testamento che venne
esibito in originale.
L'atto di possesso, da noi trascritto in
appendice, venne compilato dal notaio di Spinazzola «Angelo Bruno» e si onora
di portare il segno di croce del magnifico Paladino Reale, giudice di Genzano,
che "scribere nescentis quia idiota est".
COMUNITA'
DI S. CHIARA NEL 1786
1. Donna Chiara
Maria Falcinelli, Badessa; 2. Mara Emanuele Cilente, Suora Vicaria; 3. Angela
Maria Gigante, Suora dispensiera; 4. Maria Rachele D'Agostino, Suora
dispensiera; 5. Maria Serafina D'Agostino, Suora depositaria; 6. Maria Diodata
Bonifacio, Suora; 7. Maria Paola Bochicchio. Suora; 8. Maria Saveria Spada,
Suora; 9. Maria Rosa Dell'Agli, Suora; 10. Maria Maddalena Gigante, Suora;
11.Maria Giuseppa Dell'Agli, Suora; 12. Maria Agnese Cagliardi, Suora; 13, Maria
Crucifisso Lancellotti, Suora; 14. Maria Vincenza Spada, Suora; 15. Maria
Carmela Lancellotti, Suora; 16. Maria Nicola Atella, Suora; 17. Maria Margherita
Bonifacio, Suora; 18. Maria Luigia Falcinelli, Suora; 19. Maria Candida Laviano,
Suora; 20. Maria Giovanna Vignola, Suora; 21. Maria Arcangela Dell'Agli, Suora;
22. Maria Cecilia Gagliardi, Suora; 23. Maria Eugenia Morani, Suora; 24. Maria
Michela Grimaldi, Suora; 25. Maria Teresa D'Agostino, Suora; 26. Maria Gaetana
Maselli, Suora.
EDUCANDE:
1. Donn'Anna
Maria Dell'Agli; 2. Donna Michelina Mirenza; 3. Donna Rachele Spada; 4. Donna
Vincenza Francavilla.
SERVE INTERNE:
1. Beatrice
Carcuro; 2. Domenica Nardiello: 3. Ilaria Nardiello; 4. Antonia Mirabella.
SERVE ESTERNE:
1. Costanza, con
salario annuo di ducati uno e settanta, oltre un abito e un paio di scarpe ogni
tre anni; 2. Angela Caterina, alle medesime condizioni.
SAGRISTANO DELLA CHIESA:
Reverendo Don
Canio Saverio Dipierro, con paga annua di ducati quattro.
Medico della
comunità: Mangieri, senza paga fissa.
Sotto chirurgo:
Francesco di Nozza, con paga annua di ducati tre e cinquanta.
Reverendo
procuratore: Don Pasquale Albani, con paga annua di durati quarantuno.
Mulattiere:
Giuseppe Sarrocco, con salario di ducati trenta.
Cantiniere:
Antonio Abate, con salario annuo di ducati sei e cinquanta.
Cantiniera:
Agnesa Stigliano, con salario annuo di ducati quattro e cinquanta.
Maniscalco: Carlo
Antonio Patarino, con estaglio annuo di ducati tre.
Dipendenti senza
salario fisso:
Savino Franzino,
ferraro; Teodoro Malizia, bastaio; Pasquale Grasso e Teodoro Sciota, muratori;
Nicola Lanubile, falegname; Michele Parisi, sarto; Domenico Nozza, mugnaio;
Giulio Battaglino (Alias Piccione), contadino; Vito Potenza (Alias Mezza
Calzetta), contadino.
IL
TESORETTO DELLE SUORE
Durante il
periodo del brigantaggio due Sacerdoti, uno di Genzano l'altro di Avigliano, un
monaco ed un prete, organizzarono una truffa in danno delle ricche Suore di S.
Chiara.
Approfittando del
tentativo di furto compiuto nella notte tra il 26 e 27 giugno del 1867 in danno
del monastero (5), persuasero l'Abbadessa che non era prudente tenere nel
Monastero il tesoretto lasciato dalla fondatrice e aumentato durante molti anni
di economia, e consigliarono di depositare i gioielli ed il danaro, quasi tutto
in moneta aurea, presso persona di fiducia, e per maggiore garanzia, metà in
casa di un amico, metà in casa di un altro.
Naturalmente ciò
doveva avvenire all' insaputa di tutti altrimenti i ladri avrebbero rivolto la
loro attenzione verso i depositari.
Fu così che la
sera del 28 giugno del 1867, le due serve esterne del Monastero portarono nelle
case del confessore e del Rettore della Clausura due ramiere apparentemente
piene di cenere ma in cui vi erano tutte le ricchezze e le economie delle
clarisse.
Nessuno seppe mai
nulla del fatto e le stesse donne che effettuarono il trasporto erano convinte
di aver portato della cenere per il bucato in casa dei messeri, come in qualche
altra occasione era avvenuto.
Trascorsi diversi
anni, quando il nuovo governo di Vittorio Emanuele II era riuscito a rendere
sicura e tranquilla la vita e gli ultimi briganti erano scomparsi, la madre
Abbadessa fece capire al tanto caritatevole Monaco e al degno suo socio che
ormai potevano rimandare il tesoretto al Convento giacché ogni pericolo era
scomparso ».
I Sacerdoti
dichiararono di non aver ricevuto mai nulla e che le ramiere a loro mandate la
sera seguente a quella del tentato furto contenevano cenere pel bucato e nulla
più.
A nulla valsero
le proteste delle derubate che dovettero anche tacere perché non venissero
aggiunte le beffe al danno specialmente perché le due serve, in perfetta buona
fede, affermavano di aver portato, in quella sera di giugno in casa dei
Sacerdoti della cenere e di aver lasciato le ramiere una nel sottoscala esterno
della cucina del Monastero di S. Francesco, l'altra sul pianerottolo esterno
della stalletta dell'abitazione del prete.
D'altra parte le
suore, per motivo di prudenza, avevano sempre dichiarato alle autorità di non
possedere denaro e tanto meno oggetti preziosi all'infuori di quelli necessari
per il Culto.
Si cercò di
mantenere segreto l'accaduto ma il fatto ugualmente trapelò in paese sino al
punto che fu oggetto di un salace sonetto dialettale. Il popolo si tramanda di
padre in figlio, a eterna vergogna i nomi dei due indegni Ministri di Dio.
________________________________
(1) R. Brettagna.
(2)
Lapide un tempo esistente nella scomparsa chiesa di S. Chiara di Barletta.
(3) Attualmente
la Chiesa è stata regolarmente riaperta al culto ma, per l'assoluta mancanza di
sacerdoti, è come se fosse ancora chiusa.
(4) Dei ricchi
doni, dei preziosi arredi sacri lasciati da Aquilina Sancia ed elencati nel
testamento, non rimangono che tre calici d'argento e la croce astata anche di
argento.
(5) Rapporto del Sindaco al Prefetto n. 19
del 27-6.1867.
Parte III - Cap. VI - La cappella di Maria SS. delle Grazie
In fondo al Corso Vittorio Emanuele si erge
la Chiesa intitolata a Maria S.S. delle Grazie, Protettrice del paese.
Venne costruita
tra la fine del 1600 e l'inizio del 1700 e rifatta nel 1821 e, quasi
completamente riedificata in conseguenza del terremoto del 16-12-1857.
La facciata,
ornata di nicchie e di una finestra circolare al centro, ha, alle estremità,
due campanili bassi, uno vuoto, l'altro con tre campane costruite nel 1852; due
di esse furono nuovamente fuse, una nel 1910 l'altra nel 1934.
Sul portale dei
tempio si legge la sublime preghiera di S. Bemardo:
«Donna, se tanto grande e
tanto vali,
che qual vuol grazia ed a
te non ricorre
sua disianza vuol volar
senz'ali».
Dante
La Chiesa riceve
luce anche dalle quattro finestre collocate a destra e a sinistra dell'unica
navata, e da quella soprastante all'altare maggiore, perciò è ricca di aria e
di luce e, per la sua semplicità, piace molto specialmente perché ha un
aspetto festoso.
A sinistra,
entrando, si nota una bella acquasantiera in pietra a due pezzi, a forma di
calice piatto, opera veramente artistica del 1698.
In fondo la
Cappella si presenta a forma di croce con le braccia accorciate.
L'abside centrale
è piatto; su di esso, nel mezzo di un finto mantello araldico sormontato da una
corona e sorretto da quattro Angeli (1), vi è collocato. in nicchia più volte
vetrata, l'Effige di Maria S. S. delle Grazie.
È un bel quadro
bizantino in cui la Vergine, a mezzo busto, e il Sacro Infante sono dipinti in
modo meraviglioso, sopra una pietra levigata.
Trattasi
dell'Effige rinvenuta a Capo d'Acqua il 25 marzo del 1621 (2).
Anche questa
chiesa aveva le sue dotazioni a quanto si legge negli strumenti dei notai Giulio
Cesare Cavallo e Ascanio Siano, rispettivamente del 9 ottobre 1625 e del 14
agosto 1663 e come si rileva dalla platea del 1822, sfuggita all'incendio del
1825, dalla platea del 20 luglio del 1873 compilata ai pubblici agrimensori:
Raffaele Parisi, Giuseppe Polini e dai «prattici» Teodoro Palma e Pasquale
Cilla per incarico dell'amministrazione della Congrega di Carità di Genzano.
Le tenute erano:
1 ° Il Quatrone, alla Mattina Grande, di torri 168 stop. 4 e misura una -
2° a Volpe Chiara, sei appezzamenti rispettivamente di tomoli 38 e stoppelli 4;
di tom. 30 e stop. 3; di tom. 12 e stop. 1; di tom. 14 e stop. 2; di torri. 46 e
stop. 7 di tom. 20 - 3° Al piano della Cerzolla: uno di tom. 69, stop. 7
e mis. 1 ; uno di t. 84, st. 7, mis 1 - 4° Alle Recchiagini un appezzamento di
t. 46, st. 7 - 5° A Festola, un appezzamento di t. 37 - 6° Altri 9
appezz. in altre contrade, in tutto 16 tenute, come riferisce l'avvocato
Stringari a pagina 12 della memoria a stampa compilata a Napoli il 12 maggio
dell'anno 1880.
In detta Cappella
si svolgono le cerimonie più importanti comprese le patriottiche e, nella
settimana della Pasqua delle Rose, le solenni Feste Patronali che si iniziano
col pellegrinaggio al Santuario di Monteserico, e col solenne ricevimento ai
fedeli del Comune di Forenza che, ogni anno, «processionalmente si recano a
pregare ai piedi di Maria S. S. delle Grazie».
Nella Chiesa di
Maria S.S. delle Grazie trovasi anche l'Effige di S. Antonio Abate, prottettore
del paese, la cui festività ricorre il 17 gennaio.
E' sede della
Confraternita di Maria S. S. delle Grazie, dalle insegne azzurre, aggregata
all'Arciconfraternita di S. Maria del Gonfalone di Roma con bolla del 20-9-1621.
Apprendiamo da un
componimento dialettale di ben 70 quartine, scritto dal contadino Donato Rizzo,
che in detta Cappella, l'11-5-1845, il giorno della festività di Maria S.S.
delle Grazie, successe un grave disastro che costò la vita a 30 persone.
Durante la Messa
solenne, mentre un valente oratore stava facendo il panegirico della nostra
Protettrice, cadde una candela accesa e diede fuoco ad un drappo; in pochi
minuti l'intero addobbo della Chiesa andò in fiamme.
Senza tener
presente che nessun danno serio si correva, perchè il Tempio era ed è
costruito tutto in muratura, l'arciprete del tempo si mise a gridare: «Chi
vuole la vita esca fuori».
Ciò determinò
la catastrofe, i fedeli, presi dal panico, si precipitarono verso l'unica uscita
allora esistente e nella fretta di guadagnare subito la strada calpestarono ogni
cosa.
Naturalmente «i
vecchi, i bimbi, le donne incinte, i deboli soffrirono i maggiori danni».
Pel fatto che i
caduti ostruirono l'uscita oltre ai trenta morti, vi furono circa 200 feriti tra
i quali anche i cittadini di Banzi, Palazzo S. Gervasio, Oppido, Tolve,
Montepeloso, Spinazzola, Forenza, Acerenza.
Il disastro
sarebbe stato ben più grave se il Comandante Mennuni non fosse riuscito, con la
sciabola alla mano, a disciplinare alla meglio la uscita e a disporre i primi
soccorsi.
Il Rizzi ebbe a
deplorare la condotta dei monaci di S. Francesco che, pur di uscire presto dalla
Chiesa, calpestavano i caduti «zumpanne coma Giudei».
Il Decurionato,
con deliberazione del 22-5-1845, assegnò un sussidio alle famiglie povere
rimaste prive di sostegno in tale occasione e in proporzione del numero delle
persone che componevano le famiglie colpite.
Così alla
famiglia di Rosa Calviello si dettero tomoli quattro di grano; a quella di
Angela Battaglino, tomoli sei; a quella di Maria Giuseppa Marchione, tomoli tre;
a quella di Maria Antonietta Lepore, tomoli quattro.
La cappella
rimase interdetta e la Confraternita si sciolse.
La Chiesa venne
riaperta al culto nel 1850 e la Confraternita fu ripristinata come risulta dal
seguente Regio Decreto redatto su carta bollata di grana sei.
Ferdinando II
Per grazia di Dio, Re del Regno delle Due Sicilie, di Gerusalemme, Duca di Parma Piacenza, di Castro, Gran Principe Ereditario di Toscana,
Veduto l'avviso
del Consiglio di Stato, sulla proposizione del nostro Direttore del Ministero e
Real Segretario di Stato dell'Interno, Ramo Interno
Abbiamo risoluti
di decretare e decretiamo quanto segue:
Articolo 1
Accordiamo il
nostro Sovrano Beneplacido sulle regole della confraternita di S. Maria delle
Grazie da ripristinarsi nel Comune di Genzano, Provincia di Basilicata, secondo
il progetto annesso al presente decreto.
Articolo II
Il nostro
Direttore del Ministero e Reale Segretaria di Stato dell'interno Ramo Interno,
è incaricato dell'esecuzione del presente decreto.
Firmato: FERDINANDO
II Direttore del
Ministero e Reale Segreteria di Stato dell'Interno ramo interno, firmato:
Murena.
Il Ministro
Segretario di Stato, Presidente del Consiglio dei Ministri, firmato: Fortunato.
Napoli, 19 giugno
1850.
_____________________________________
(1) Dal 1945
completamente trasformato
(2) Da alcuni è
ritenuta opera di S. Luca.