Ettore Lorito - GENZANO DI BASILICATA - CRONOGRAFIA |
Parte IV - Cap. I - Moti politici
La rivoluzione Francese mise fine al feudalismo seppellendolo nel sangue di innumeri vittime spesso innocenti e del tutto estranee al mal Governo feudale.
Gli effetti di quel rivolgimento generale si fecero sentire anche nella nostra Regione e Genzano ebbe i suoi apostoli della libertà ed i suoi martiri.
Da noi però non avvennero disordini ed in conseguenza, reazioni sanguinose, sia per lo spirito di moderazione dei cittadini, sia per il fatto che i feudatari, sempre lontani da Genzano, non si crearono odi, né rancori, né ebbero modo di seviziare il popolo, come era avvenuto in quasi tutti gli altri luoghi.
I componenti della Marchional Corte, i rappresentanti dei feudatari, in generale, si sforzarono dì conciliare i propri interessi con quelli dei signori padroni e con quelli dei cittadini.
Gli ultimi feudatari, i De Marinis, furono dei munifici signori, inclini alla benevolenza e spesso venivano spontaneamente in aiuto dei bisognosi.
Dell'attaccamento loro al popolo di Genzano fa fede la bellissima epigrafe del mausoleo eretto nella Chiesa di S. Francesco, di cui parlammo nel capitolo nono della parte terza, nonché la creazione, a proprie spese, del Monte Frumentario, di cui parleremo in seguito.
Centri attivi del movimento liberale Genzanese furono: la Comunità di S. Francesco d'Assisi, le Confratemite laiche e specialmente quella del S. S. Sacramento alla quale erano iscritti tutti i nobili e le persone civili del paese.
Col pretesto delle funzioni religiose, gli affiliati si riunivano nella Mater Ecclesia, o nel cortiletto del campanile, oppure nell'orto del Convento di S. Francesco per le comunicazioni e gli accordi del caso.
Quando Francesco IV scappò in Sicilia e a Napoli si proclamò la Repubblica Partenopea, il movimento liberale si allargò, specialmente nella classe degli operai, ma non divenne mai generale, la massa dei lavoratori rimase indifferente perché assolutamente impreparata alla nuova forma di vita.
Anche a Genzano si piantò, nel largo Chiesa, (è visibile tuttora il punto preciso), il famoso albero della libertà intorno al quale, i più spregiudicati celebrarono le loro nozze e le autorità le Cerimonie ufficiali.
Ma ben presto si iniziò la reazione che tanto lutto gettò nei nostri paesi.
Tra i concittadini esiliati o carcerati, meritano speciale mensione: Don Luigi Mennuni, Don Pasquale Lepore e Luigi Montuori.
La suprema Giustizia di Stato condannò il Lepore Pasquale ad essere asportato a Marsiglia sotto pena di morte se fosse ritornato nel Reame, Condannò ad essere sfrattati dai R.R. Demani, il di 1-8-1799: Don Luigi Mennuni di anni 25, Luigi Montuori(1) e condannò al carcere duro Calzaretta Luigi fu Teodoro che finì i suoi giorni in prigione.
Dopo i fatti dolorosi di Napoli del 17 maggio, convennero a Potenza molti cospiratori, In detta riunione si pubblicò un memoriale in seguito a che furono arrestati tutti gli intervenuti, tra i quali: Raffaele Di Pierro e Michele Pizzuti (2) (oriundi di Genzano). Anche le nostre donne parteciparono al movimento liberale: tra di esse si ricorda con ammirazione: Muscillo Maria Giovanna, moglie di Calzaretta Luigi di cui abbiamo parlato nel presente capitolo.
Delle sevizie patite dai nostri patrioti ha lasciato una limpida e dettagliata descrizione, Don Luigi Mennuni.
Ecco
quanto si legge nel suo manoscritto compilato il 1834 nella di lui masseria da
campo appellata «Regina», ove cessò di vivere il dì 7 luglio del 1835.
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(1)
Racioppi Giacomo.
(2) Decio Albini, Insurrezione Lucana.
Parte IV - Cap. II - Don Luigi Mennuni scrisse:
«Mi fu dato per lettore il Sacerdote Don Oronzo Albanese di Tolve, laureato in legge che per le sue idee liberali infelicemente lasciò la vita sulle forche del 1799, alla fine del 1797 fui mandato a Napoli per perseguire lo studio, sopraggiunse l'epoca fatale alla gioventù che fu quella del 1799, ascritto alla Guardia Nazionale prestai il mio servizio.
Il Marchesino di Genzano (che perde la vita nell'epoca stessa sotto la scure) giovinetto di età uguale volle abitarmi nel suo "palagio" a Fontana Medina n. 25.
Questo contatto mi portò a seguire il Generale Matera (morto sulle forche del 1799) nelle Puglie, cioè fino a Benevento e quindi nella Torre Annunziata presso il generale Schipani, morto sulle forche, che poi nel 14 giugno 1799, ritirandosi la colonna di Schipani venne disfatta in Portici, ed io fui arrestato sotto il Casino del duca di Gravina, battuto, denudato, e scalzo fui trasportato nelle stalle del quartiere di Portici con tanti altri infelici nudi, e feriti a mezzo pane nero ed acqua fetente.
Dopo dieci giorni senza alcun soccorso fummo menati e trasportati in piccola galera di Portici, che se dopo sei giorni non ci avessero tolti, saremmo periti.
Ci
tolsero di giorno, e nell'imbarcarci nudi fummo bastonati e beffeggiati dalla
furia del popolo che voleva scannarci.
Giunti su delle barche all'oggetto preparate, quantunque a mezza razione di gallette nere. Dopo venti giorni si portò un delegato di Quartiere presso del quale si trovava la polizia e per ordine alfabetico ci chiamava, prendeva i connotati, e quindi ci sottometteva l'obbligo di essere "straregnato", di non ritornare nel Regno.
Accettai di buona
voglia il partito perché mia intenzione era quella di uscire e mai più
ritornare.
In questo intervallo e precisamente il giorno 10 agosto 1799, fui sbarcato all'Immacolatella, colà carico di funi fui condotto nelle carceri della Vicaria transitando la Piazza del Carmine.
Senza la forza della Cavalleria, la fanteria che ci scortava non bastava a contenere la canaglia che in ogni momento ci voleva sacrificare, in modo che neppure nelle carceri eravamo sicuri, da poiché per lo più avveniva che anche dal di fuori si minacciava la vita.
Ma dieci giorni passarono, ed una notte mi vidi con altri dannati trasportato ed essere imbarcato per Gaeta.
Dopo tre giorni di cammino giunsi in Gaeta, comandava il Marchese della Scembrecca Siciliano con un Reggimento venuto da Sicilia.
Sbarcato di giorno, e con tutti gli altri arrestati fummo assoggettati alla stessa catena. Fui menato sopra al Castello della Piazza e da quei "corabbozzoli" fui messo in orrida galera.
Il cibo fu mezzo pane nero e acqua di pessimo odore, dopo due mesi mi ammalai e passai all'Ospedale in dove fui assoggettato a lunga catena di ferro ai piedi ad onte di essere febbricitante.
Nell'Ospedale mandò la mia famiglia il bisognevole, il poco mi fu di gran sollievo... passarono sedici mesi, dopo il comando del Scembrecca ci venne S. E. Shilipplustad.
Costui promise libri, e meno restrizioni, mi giovò la lettura del giorno, il conversare con uomini distinti nelle scienze.
Passai all'Isola di S. Stefano, fui imbarcato di notte, e l'indomani giungemmo all'Isola di Ventotene, in dove risiedeva il comandante che era un famoso galeotto di Sicilia.
Costui ci diresse all'ergastolo di S. Stefano, in dove fummo chiusi a quattro ed a cinque in differenti "corabbozzoli".
Ci si promisero le passeggiate, mediante il pagamento mensile che
da tutti gli arrestati si corrispondeva, restai in quel luogo sei mesi e più
giorni ne sortii al 22 giugno 1801».
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Parte IV - Cap. III - Genzano dopo il 1799. Elenco dei perseguitati politici
Genzano non si lasciò spaventare dalle feroci e numerose condanne politiche e tanto meno dallo scandaloso elenco dei «sospetti» chiamati «attendibili» e fu uno dei pochi centri che, dopo gli eccidi del 1799, credé ancora possibile la rivoluzione e quindi l'Unità Nazionale ormai ritenuta «sogno dei settari» e che «si distinse per entusiasmo alle idee innovatrici» (1).
Tra i martiri la storia registra il valoroso Marchesino di Genzano, Filippetto De Marinis che, col bacio dato al boia nel momento di essere giustiziato, volle offrire una tangibile prova dell'affetto che deve unire tutti i cittadini di uno Stato veramente libero (come quello dai congiurati vagheggiato) per il quale immolava, con tanta semplicità, la giovanissima esistenza.
A Genzano, però, venne risparmiato il martirio inflitto a tante generose città nell'azione di ripurgo affidato al nefasto Cardinale Ruffo, che rimise sul trono di Napoli il fuggiasco Re.
Non mancarono però da noi le piccole vendette, le denunzie, gli arresti ecc. ma ciò costituì l'eccezione deplorata dalle stesse autorità preposte al Governo del paese.
Infatti
l'avvocato Montesano, il 14-5-1867, ebbe a scrivere: «In tutti i tempi la
popolazione di Genzano è stata modello di fratellevole concordia ed unione tra
i diversi ceti della cittadinanza».
Nel 1806 i
francesi misero sul trono di Napoli Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone e,
per opera del nuovo re e con decreto del 2 agosto fu abolita la feudalità nel
Regno di Napoli e decaddero: i pubblici comizi e tutti i magistrati esistenti
sia elettivi che di nomina Governativa; le Università ripresero il nome di
Comuni; fu istituito il collegio Decurionale, non più elettivo ma per sorteggio
tra gli elegibili e Genzano ebbe tredici Decurioni oltre i due per la frazione
di Banzi; il Sindaco che prima era scelto dall'Intendente in una terna proposta
dal Decurionato, fu eletto a voti segreti dal Decurionato; i due Decurioni che
nella votazione riportavano il maggior numero di voti si chiamarono 1° e
2" eletto e col sindaco costituirono il potere esecutivo; la Provincia si
divise in distretti, circondari e mandamenti. Genzano venne assegnato al
distretto di Matera ed al mandamento di Acerenza.
Tre anni dopo, Giuseppe Bonaparte venne sostituito da Gioacchino Murat, fu in questo periodo che fiorì, specialmente nella nostra Basilicata, la mala pianta del brigantaggio, di cui parleremo in seguito.
Alla campagna Napoleonica, contro la Russia nel 1812, presero parte diversi Genzanesi tra i quali: Muscillo, Anobile (alias Citanova), Polini ed altri due conosciuti sotto gli agnomi di «Michele Paparulo» e «Zi Tanco».
Tutti ebbero la
fortuna di ritornare incolumi in Patria fatta eccezione del Polini che rimpatriò
con un orecchio congelato.
Il nostro paese non fu estraneo ai gravi moti di Oppido del 21-3-1821 durante i quali furono uccisi Don Michele e Don Pasquale Gigante e si spararono fucilate contro don Raffaele Mennuni, erario del Castello e la sua famiglia.
Vi prese parte
con tre dei suoi affiliati più audaci, due dei quali appartenenti alla
confraternita del S.S. Sacramento, riuscirono a mettersi in salvo prima che le
guardie dei paesi vicini accorressero in aiuto; il terzo, Esposito Michele di
Coccia Maria Antonia, alias Sergente, che già dimorava colà, venne arrestato.
«Nel processo che ne seguì presso la seconda Camera della Gran Corte in Castel Capuano, furono condannati a morte due rivoltosi di Oppido e l'Esposito di Genzano» (2).
Nulla si è saputo mai degli altri due partecipanti alla rivolta notturna. Il riserbo è ben giustificato dal fatto che era stata tentata violenza al Mennuni appartenente a famiglia molto in vista... e temuta.
Siamo in grado di poter affermare che uno dei rivoltosi sfuggito alla giustizia fu l'agricoltore Vito Lorito, tenuto nascosto, per circa un mese, dalla famiglia Palumbo.
Dalla pericolosa e fraterna ospitalità venne fuori il matrimonio tra un nipote del Lorito, Canio (3), e una figlia del Palumbo: Antonia Maria.
Per l'altro ribelle manca l'autorizzazione a fare il nome; possiamo solo dire che era alla diretta dipendenza della famiglia Mennuni di Genzano e che venne aiutato nella fuga dalla famiglia di Calzaretta Teodoro i cui parenti si erano già trasferiti a Genzano(4).
Dalla medesima fonte apprendemmo che la salvezza della famiglia dell'erario fu esclusivamente dovuta alla presenza dei Genzanesi tra i rivoltosi giacché proprio ad essi si diete l'incarico di distruggerla.
I Genzanesi preferirono sbagliare il bersaglio (5) e fecero bene, perché il Mennuni, ultimo erario del feudo di Oppido, fu un gentiluomo amico del popolo.
Infatti il Giannone afferma che «sotto il Mennuni il Castello era il ritrovo dei gentiluomini del paese ad oggetto di passarvi piacevolmente il tempo tra balli, conviti ed altri leciti divertimenti».
Quindi esso fu completamente estraneo alle cause che determinarono la sommossa e non meritava la fine a cui l'ira cieca dei rivoltosi lo aveva condannato.
Miracoloso l'aiuto prestato, nella prima decade di aprile del 1822, dai nostri liberali, all'intrepido patriota potentino Domenico Corrado che, gravemente ferito, stava per cadere nelle mani della gendarmeria.
Da un salariato dei Mennuni venne trasportato alla masseria Regina e di li, in un carro pieno di fieno, a Gravina. G. Fortunato il 20 settembre 1898 scrisse: «Domenico Corrado, affiliato alla carboneria, messo al bando, si buttò alla campagna.
Ferito e feritore
in uno scontro con la Guardia Civica presso Genzano, da cui scampò per
miracolo, venne sorpreso in una grotta di Gravina prostrato dalla febbre.
Portato a Potenza fu giustiziato il 13 aprile» (6).
La famiglia
Corrado, grata per l'aiuto generoso offerto al patriota dai Genzanesi, e
specialmente dai Mennuni, volle che un nipote, omonimo del martire, sposasse
l'esimia signorina Don Elena Mennuni e si trasferisse a Genzano.
Nel piccolo moto
scoppiato a Spinazzola durante il mese di luglio del 1853 in seguito alle
persecuzioni del Sotto Intendente Santoro, ebbero non poca parte i nostri
congiurati, ospiti del coraggioso mazziniano Carlo Loperfido (7).
L'occasione della rivolta venne fornita dal divieto di bruciare, nella Piazza del paese, i fuochi pirotecnici.
Il Santoro fece imprigionare tutti i liberali; fu impastito un voluminoso processo al quale seguirono numerose persecuzioni e sevizie di ogní genere.
Raro esempio di sincero cameratismo, non si svelò il nome di nessuno dei Genzanesi che dal Monteserico erano accorsi in aiuto dei fratelli di Spinazzola.
Nella nostra Genzano, in una casetta rurale messa in contrada Siani (Monteserico), trovò per qualche tempo, sicuro asilo il patriota Riccardo Spagnaletti di Andria quando, travestito, peregrinò anche per le campagne della Basilicata.
Sempre ad opera
dei detti affiliati, fu ucciso, di pieno giorno, nella nostra chiesa
parrocchiale il noto inquisitore don Gennaro Vicedomini senza che gli autori
venissero identificati (8).
Eppure le autorità borboniche non dormivano e le punizioni più severe fioccavano in ogni occasione.
La polizia sorvegliava accuratamente gli «attendibili» eseguendo periodiche perquisizioni nelle loro abitazioni e nei luoghi da essi frequentati.
In Genzano uno dei liberali più accanitamente perseguitato era don Luigi Claps, soprannominato il «Francese» per la sua fede repubblicana.
Egli fu costretto
a darsi alla campagna per non essere arrestato e rientrò in paese nell'agosto
del 1860 issando in Piazza la bandiera dai colori rosso, nero e turchino,
distintivo della «Carboneria».
E' rimasto famoso un tiro audace giocato dal Claps al feroce Intendente Ciccarelli di Potenza.
Il «Francese»,
travestito da monaco, ebbe l'audacia di recarsi in casa del temuto capo della
Provincia e venne accolto con gli onori dovuti ai «cappuccini fedeli servi del
trono» in quel burrascoso periodo.
Nel partirsi
lasciò attaccato al muro del corridoio un insolente sberleffo in cui si
diffidava ancora una volta l'Intendente a non perseguitare i liberali «se
voleva vivere in pace novant'anni».
Anche le pie serve della nostra clausura di S. Chiara non furono completamente estranee al movimento liberale genzanese.
Dai documenti esistenti in casa di donna Peppinella Locoratolo risulta che l'ordine di arresto del di lei nonno materno venne provocato da una fatale imprudenza di una suora.
Quando, per i moti del 1848, il patriota don Michele Di Pierro fu condannato a 7 anni di ferri e chiuso nei bagni di Procida, a Genzano mancò il capo dei congiurati.
Pel fatto che tutti i liberali erano tenuti d'occhio dalla polizia, si pensò di affidare i documenti esistenti e quelli che a mano a mano giungevano nelle mani dell'omonimo cugino del condannato, uomo assolutamente insospettato dalla sbirraglia borbonica.
Ma non tardò molto ed anche il pacifico don Michele Di Pierro cadde sotto la sorveglianza dei gendarmi e si dovette pensare a mettere al sicuro i pericolosi documenti.
Abbadessa delle nostre clarisse era una congiunta di Don Michele, Maria Teresa Di Pierro, simpatizzante pel movimento liberale; a lei vennero date in custodia le carte.
Dopo qualche tempo la polizia ebbe sentore «dell'attività criminosa delle suore di Genzano» e provocò, dalla Regia Autorità, un regolare ordine di perquisizione dei locali della clausura.
In tempo utile dal notar Lagala, capo del partito borbonico, legato da parentela a due delle nostre suore, fu avvisata la coraggiosa abbadessa che credette opportuno di liberarsi dei documenti mandandoli all'amica Giuseppina Maffei, suora nelle clarisse di San Luca della città di Potenza a mezzo dei francescani di Genzano notoriamente amici «delle sette pericolose al Trono»(9).
Avvenne che durante il processo a carico del sacerdote don Emilio Maffei, si sequestrarono all'imputato tre biglietti con i quali la sorella Giuseppina l'informava «che alcuni magistrati le avevano promesso di liberarlo dalla morte». Saputo ciò il Maffei, pel fatto che aveva affidato alla sorella molti documenti della setta, mandò a dire alla clarissa di liberarsi ad ogni costo dello statolo dei... dolci.
La monaca affidò lo statolo alla fantesca del monastero, Fasulo Francesca (10) e... i dolci andarono, per fatale errore, a finire prima nelle mani del capo custode delle carceri e poi in quelle del Procuratore Generale Echaniz.
La suora di Potenza fu arrestata e processata e nello stesso tempo si dispose l'arresto di don Michele Di Pieno di Genzano che si mise in salvo con la fuga.
Si aggirò, il Di Pierro, per le nostre campagne finché, ammalatosi gravemente, si fece trasportare a casa sua ove i gendarmi lo piantonarono.
Dopo pochi giorni l'ammalato mori di... polmonite, dichiararono i famigliari, di veleno, per non salire il patibolo, dissero i cittadini tutti e i compagni di fede.
Nulla di male si
fece alle suore di Genzano sia perchè le autorità locali
_________________________________________
(1) V.
D'Epico. Dello spirito pubblico in Basilicata.
(2)
Giannone.
(3) Nonno
dello scrivente.
(4)
Biagio Lorito, Appunti sparsi.
(5) Dice
il Giannone: durante la notte nel Castello contro i Mennuni, furono sparati dei
colpi di fucili «ad terrendum».
(6) Il
Riviello, sostiene che il Corrado venne catturato nella sua masseria per il
tradimento del proprio massaro.
(7)
Professore. Giura.
(8)
Vincenzo Bonifacio. (Carceriere)
(9) Vedi
cap. IX, parte III.
(10) Riviello. Cronaca
Potentina.
Parte IV - Cap. IV - Genzano e l'insurrezione del 1860. Elenco degli insorti
Non mancarono tra i nostri patrioti le discordie specialmente perché mentre i signori erano dei moderati unitari monarchici, i coloni e gli operai erano, in prevalenza, mazziniani repubblicani.
Ma il tatto del «Comitato dell'Ordine per la Basilicata» nel quale, accanto a Giacinto Albino, vi era l'infaticabile Don Davide Mennuni, riuscì a fondere le due tendenze siccome aveva operato negli altri paesi.
Raggiunto l'accordo, fu cosa facile preparare l'insurrezione della nostra zona, « la decima che era tra le più importanti». (Decio Albino, Insurrezione Lucana, pag.35). Anche questa volta alla testa del movimento troviamo la famiglia Mennuni.
Leggiamo, a pagina 33 nella «Fine di un Regno» di Raffaele Decesare: «Prima ancora che Garibaldi e Bixio nella notte sotto il venti agosto sbarcassero a Melito, Cosenza, Assanti, e all'alba del 22 sbarcassero a Favinazza, tra Scilla e Bagnara, la rivoluzione era maturata nelle popolazioni calabresi e lucane.
Il Comitato Insurrezionale di Basilicata, il quale aveva sede a Corleto, affidò le forze insurrezionali al Baldoni e nominò Capo di Stato Maggiore Carmine Senise...
Un'altra colonna di insorti si concentrava a Genzano, sotto il comando di Davide Nennuni.
La colonna di Genzano, oltre i Genzanesi, raccoglieva gli insorti di Forenza, Acerenza, Maschito, Palmira, Spinazzola, in tutto 286 di cui 30 erano spinazzolesi giunti a Genzano la sera del 17 agosto sotto il comando di Vincenzo Agostinacchio». E a pagina 336: «Le colonne del Mennuni e del Mancusi (di Avigliano) marciarono su Potenza la sera del 17 e si accamparono a poca distanza dalla città.
La mattina del 18, il Castagna (capo della gendarmeria borbonica) raccolse i suoi 400 gendarmi sulla Piazza di S. Rocco per andare loro incontro o per eseguire una ricognizione innocente, come disse.
I cittadini di
Potenza credettero invece che si allontanasse per non tornarvi più. Ma dopo
poco tempo, ecco i gendarmi inopinatamente rientrare in città in attitudine
minacciosa, fanno fuoco sui cittadini, che erano corsi alle armi, ammazzarono
una diecina di persone e poi se la battono verso Pignola, Tito, Picerno dove
furono, di mano in mano, disarmati da poche guardie Nazionali di Tito comandate
dall'intrepido Caldani...
Avevano appena i
gendarmi lasciato la città, erano le dieci antimeridiane, che i liberali di
Potenza mandarono Giovanni Corrado e Rocco Brienza a chiamare gli insorti, i
quali non si fecero attendere... Entró prima la Colonna di Genzano... Ma la
Colonna Genzanese non si accontento di presidiare Potenza, accorse nelle vicine
Puglie per aiutare quelle città insorte».
E a pagina 340:
«Quando ad Altamura si costituì il Governo provvisorio i regi, sotto il
comando di Flores, erano accampati a Toritto e la città mancava di armi e
dentro ad Altamura non si trovava che il Mennuni con pochi uomini male armati e
peggio equipaggiati e pochi volontari venuti da alcune città della provincia».
Ecco l'elenco nominativo degli 88 insorti di Genzano così come è riportato nella «Cronistoria della Rivoluzione di Basilicata del 1860» di Michele Lacava, Ed. Morano, Napoli 1896.
Ma, come avverte l'autore dell'opera, che personalmente prese parte all'Insurrezione, l'elenco è incompleto.
Per Genzano abbiamo cercato di rimediare in parte aggiungendo qualche nome suggeritoci dagli anziani del paese.
INSORTI DEL 1860
Annecca Francesco, Albani Raffaele, Anguti Antonio, Anelli Vincenzo, Alvino Pietro, Bovio Nicola, Bocchino Rinaldo, Baccellieri Domenico Paolo, Bellocchi padre Paolo, Cardacino Pasquale, Carcuro Antonio, (Carcuro Pasquale), Caputo Francesco, Claps Luigi, Claps Francesco, Cherubino Domenico, Carbone Savino, Calzaretta Federico, Conte Giuseppe, Caggiano Archimede, Caggiano Vincenzo, Di Pierro Giuseppe, Di Pierro Canio Saverio, Denozza Achille, D'Eugenio Giuseppe, D'Eugenio Rocco, Denozza Domenico, Defìna Francesco, D'Alessandro Giovanni, Defelice Vito, Defato Vincenzo, Furone Antonio, Ferrandina Luigi, Falanga Luigi, Giordano Rocco, Ignelsi Vincenzo, Locoratolo Luigi, Larocca Paolo, Laginestra Tommasantonio, Latilla Antonio, Lattansio Vito, Tommaso Luigi, Mennuni cav. Davide, Mennuni Michelangelo, Mainenti Carlantonio, Mainenti Vito. Mancino Teodoro, Muscillo Nicola, Martino Francesco, Manfredi Canio, Molto Reverendo Alfonso da Rapone, Manfredi Saverio, Mirabella Vito, Muscillo Michele, Musacchio Giuseppe, Mongiovi Felice, Nuzzi Nicola fu Giuseppantonio, Nozza Donato, Nardulli Natale, Olita Gerardo, Polini Giuseppe, Potenza Francesco, Palermo Gerardo, Petraccone Vito, Quagliara Andrea, Renna Francesco, Scazzariello Nicola, Sinisgalli Pietrantonio, Sciota Nicola, Sciota Teodoro, Tufanisco Gerardo, Tresaldi Rocco, Sergente Trusolini Michele medaglia d'argento, Urbano Giuseppe, Vignapiana Luigi fu Vito, Vignapiana Luigi fu Paolo».
Menchise Luigi, Lorito Vito Canio, Anobile ed altri due non bene identificati, non risultano nell'elenco ma parteciparono all'impresa e combattettero anche in Altamura.
Sciolta la Colonna Lucana il Mennuni, e pochi insorti, tra i quali: padre Carlo Bellocchi, Rocco Potenza e Canio Vito Lomuto, presero parte alla campagna del Volturno e «combattettero valorosamente durante l'assalto alla Casa Bianca (1).
Essi col nastrino
blu e la fibbietta sull'omero sinistro, sfilarono in testa alla Brigata Lucana
che il 19-9-1860 ebbe, da Garibaldi, l'onore di entrare prima in Napoli.
Don Davide Mennuni e tutti i militi genzanesi della sua compagnia vennero dichiarati Cittadini Benemeriti dal Nostro Consiglio Comunale.
Dopo qualche
tempo don Davide è chiamato dal fratello Federico, presidente del
Sotto-Comitato, a Genzano per riorganizzare la locale Guardia Nazionale.
___________________________________________________________________
(1) Prof.
Domenico Giura.