Ettore Lorito - GENZANO DI BASILICATA - CRONOGRAFIA |
Parte IV - Cap. V - La milizia nazionale
Una delle istituzioni che ha lasciato tracce profonde nel nostro popolo è stata la Guardia Nazionale per la parte notevole che ebbe nei moti rivoluzionari e specialmente per la lotta sostenuta contro il brigantaggio.
Nei primi tempi la nostra milizia cittadina faceva parte della legione del circondario di Acerenza, ma con deliberazione Decurionale del 10-1-1821 si chiese l'istituzione di una Compagnia autonoma in Genzano e il Governo del Re, con decreto del 24-11-1827, ne appagò il desiderio.
Sorsero così, il 3-1-1828, le prime due compagnie ammontanti complessivamente a 111 militi di cui 87 di Genzano e 24 di Banzi.
Si formò poi una terza compagnia a cavallo. A mano a mano il numero dei militi salì a 181 attivi e 26 della riserva nel 1872, poi a 477 attivi e 35 di riserva; nel 1876 si registrano, 282 militi di cui 251 di Genzano e 31 di Banzi, numero che andò in seguito aumentando in proporzione dell'aumento della popolazione.
L'elenco delle milizie veniva compilato dal Decurionato con l'intervento del parroco di Genzano e di quello di Banzi.
II 24-5-1864 per disposizioni del Prefetto di Potenza impartite con nota N. 1104, la Guardia Nazionale di Genzano (e Banzi) passò agli ordini del comandante la locale stazione dei RR. CC.
Rimase autonoma la compagnia a cavallo comandata dal Mennuni e regolarmente mobilitata dal 14-6-1862.
La disciplina più ferrea governava i nostri militi e non mancavano le punizioni. Infatti rileviamo dal registro dei rapporti che il Sindaco, con nota n. 3 del 1-1-1865, diretta al brigadiere dei R.R. C.C., disponeva l'arresto dei seguenti militi perché non si erano presentati a prestare il loro turno di servizio: 1. Giuseppe Falanga di Antonio; 2. Giovannangelo Aniello; 3. Michele Caronna; 4. Pasquale Cilla fu Nicola; 5. Natale Anobile; 6. Francesco Amato; 7. Savino Bruni; 8. Vito Carcuro; 9. Michele Linsalata; 10. Pasquale Angiolillo; 11. Gerardo Lomuto; 12. Vincenzo Logrosso; 13. Domenico Antonio Laginestra.
E tre giorni dopo, per lo stesso motivo: 14. Michele Catena fu Pasquale; 15. Pasquale Anobile; 16. Domenico Anobile; 17. Domenico Angiolillo; 18. Francesco Potenza; 19. Michele Quagliara.
Seguirono altre denunzie ed altri arresti come risulta dai rapporti n. 5, 6, 7, 8, 9, 10, 21 del mese di gennaio e n. 28 del mese di febbraio dell'anno 1865 tanto che la Giunta Comunale, con deliberazione del 21-9-1867, propose al Prefetto lo scioglimento della 2^ compagnia.
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Parte IV - Cap. VI - Il periodo triste del brigantaggio
Una delle piaghe antiche e dolorose del mezzogiorno d'Italia è stata quella del brigantaggio.
I disertori delle milizie, i fuori legge, i delinquenti di tutte le categorie, gli stranieri, riuniti in numerose bande armate scorazzavano le campagne e tenevano in iscacco le stesse forze governative, ostacolando seriamente l'opera dello Stato.
Le orde brigantesche erano divise in tre grandi schiere: quella comandata dal Chiavone, che operava ai confini dello Stato Romano; quella del mangiatore di carne umana Cipriani, che operava nelle province di Campobasso e di Avellino e che poi passò in Basilicata; quella di Carmine Donatelli, detto Crocco, che fatta più potente e numerosa per l'arrivo degli spagnoli al comando del Boryes e per il continuo invio di genti e munizioni che le pervenivano da Malta (1) operava in Basilicata commettendo orrendi misfatti specialmente nei nostro territorio.
Per essere adoperate, a volte, dai governanti nelle lotte interne, queste bande si resero strapotenti e, divenne assai difficile sradicarle.
In Basilicata la mala pianta imperversò più a lungo perché la nostra regione era ricca di foreste, di caverne inaccessibili e prive di strade.
La popolazione, specialmente quella delle campagne, era costretta a obbedire ed a proteggere i briganti per cui la vita si rendeva ogni giorno più difficile.
L'uscire dall'abitato era quasi impossibile, ed il recarsi da un paese all'altro poteva costare la vita.
I delitti non si contavano più ed i ricatti erano all'ordine del giorno specialmente perché, ai margini della losca associazione, viveva una schiera di vili sfruttatori che speculava sulla pubblica calamità fornendo a manigoldi tutte le notizie e le indicazioni necessarie.
E non poche famiglie genzanesi devono la loro agiatezza a così impura fonte.
Ad opera di tali sfruttatori inqualificabili nel vasto ed oscuro sotterraneo della casa attualmente di proprietà degli eredi Bonifacio e un tempo dei Laviani, si tenne sequestrato, per alcuni giorni, un giovanetto di Corato dai briganti catturato nel Monte Serico ove si era recato, per far eseguire dei lavori agricoli nei terreni colà presi in fitto.
La famiglia interessata, alla quale era stata chiesta una somma rilevante pel riscatto, si rivolse al Mennuni assicurando che il catturato trovavasi in Genzano.
I colpevoli, avuto sentore che le autorità avevano iniziato le più attive ricerche, per... prudenza, di notte tempo, rimisero in libertà l'infelice giovane lasciandolo in aperta campagna.
Dai particolari forniti: 1° che cioè l'oscuro sotterraneo doveva trovarsi nei dintorni di una chiesa, e del pubblico orologio giacché il prigioniero aveva sentito vicinissimo il suono delle campane dell'una e dell'altro; 2° che per entrare e uscire dal sotterraneo aveva attraversato, bendato, un breve vico tanto stretto che più volte ne aveva toccate le estremità con i gomiti... si indovinarono i colpevoli.
I briganti ebbero quello che si meritavano, il Mennuni, mediante un sapiente ed audace servizio di appostamento, riuscì a sorprendere i 5 malfattori che si erano recati al posto fissato per riscuotere la taglia.
Tre caddero combattendo, gli altri due furono fucilati sui piani di S. Rocco.
Nessun provvedimento si potette prendere contro i supposti complici del luogo, ma i loro nomi si ripetono e si ripeteranno con disprezzo di generazione in generazione ad eterno disonore degli sfruttatori delle pubbliche calamità.
Tuttavia, nonostante il riserbo delle autorità, qualche denunzia venne fatta contro i più noti manutengoli.
Infatti nel rapporto n. 34 del 10 settembre 1866 furono indicati i nomi di: I. Pasquale Scazzariello fu Donato,(2) guardiano; 2. Rocco Coscia, muratore, da Forenza, incaricato di mantenere il contatto tra i manutengoli e i briganti; 3. Antonio Monteleone fu Donato.
In una perquisizione operata in casa dello Scazzariello la sera dell'8 settembre, venne trovata in detta casa Paganiello Alfonso di Spinazzola ed arrestato per non aver potuto giustificare la sua presenza in Genzano e perché privo di documenti. (Rapporto n. 40 del 21-9-1866).
In un'altra visita notturna fatta d'ai RR. CC. con la presenza del Sindaco, in casa di Muscillo Pasquale, vennero trovati a banchettare i guardaboschi: Giuseppe Centolonza, Gianbattista Santoris e tale Paolo Traella; questi fu arrestato perché sfornito di documenti.
Ma nella stessa notte, ad
opera dei complici dell'arrestato, fu aggredito e ferito il brigadiere dei CC.
RR. (Rapporto n. 44 del 7 ottobre 1866).
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(1) Lenera del Luogotenente
del VI Regg., Gaetano Negri diretta alla famiglia in Milano (S. Depilato: Fondi,
Case e Figure di Basilicata).
(2) Il Bruno di cui al
telegramma del Prefetto di Bari in data 10-10-1866 in seguito riportato, era
stato trattenuto prima nella pagliaia di legna di Pasquale Scazzariello di
Donato in contrada Solagno a Granatella. (indicato rap. 48).
Parte IV - Cap. VII - La riconquista del Regno affidata ai briganti
Quando Francesco di Borbone volle riconquistare il trono i briganti divennero ì veri padroni del Reame di Napoli e specialmente d'ella Basilicata.
Lo spodestato re si affidò alle bande dei facinorosi comandati da Carmine Donatelli, detto Crocco, da Rionero in Vulture e dai suoi subalterni: Cipriano, il mangiatore di carne umana; Giuseppe Nicola Summa di Avigliano, chiamato Nindo-Nanco; Paolo Serravalle, detto «Sciaravalle»; Leonardo Giovanni di Mare, chiamato la «Tigre»; De Felice Gerardo da Oppido, alias «Ingiongiolo», e ad altri di minore importanza ma di eguale ferocia.
Si ebbero, vicino a noi, così gli assedi ed i saccheggi di Trivigno, Grassano, Gorgoglione, Salandra, Stigliano, S. Chirico Nuovo, Pietragalla ecc. ecc.
Ingiongiolo volle risparmiare
dal saccheggio, con la sua Oppido, anche Genzano dove pare abbia avuto delle
tresche amorose. Tuttavia il nostro paese fu vittima di tutte le altre
sevizie di cui quegli abbietti erano capaci.
I campi rimasero abbandonati e nessuna famiglia benestante sfuggi al ricatto; il ratto delle più belle ragazze divenne una cosa abituale e spesso le famiglie celavano l'accaduto nella speranza che le disgraziate giovani potessero maritarsi, o almeno vivere in pace, se e quando i satiri le restituivano!
Destò pietà e raccapriccio l'ultimo rapimento nei danni della bimba undicenne: Fazio Maria di Canio che nelle ore pomeridiane del giorno 26 marzo 1872 venne rapita, seviziata in tutte le maniere e abbandonata, in una grotta degli eredi Dell'Agli, tenuta in fitto da Cristoforo Conversano nelle vicinanze del paese e precisamente dietro l'attuale palestra dell'edificio scolastico.
Il cadaverino si rinvenne la
mattina del giorno 26 marzo, mezzo divorato dalle belve! (Rapporti n. 88, 89 e
90 dei giorni 19, 22 e 26 marzo).
Tra le vittime della squadra Ingiongiolo si ricorda il rivenditore privilegiato Furone Antonio, che venne sciabolato nell'aia di Lasalvia Gaetano in contrada Serra Cimino (Monte Serico) il 15-8-1864 per «essersi rifiutato di fornire ai manigoldi cibi e sigari come gli era stato più volte intimato».
I briganti per rappresaglie
contro i cittadini che cercavano di contrastare le loro gesta criminose,
bruciavano campi, masserie; uccidevano e rubavano animali; avvelenavano le acque
dei pozzi.
Fra le masserie bruciate a Genzano vi fu quella dei signori Mennuni che «era la più ricca del territorio».
Michele Lacava, nel giornale
«La Giovane Lucania» del due febbraio dell'anno 1895 descrive la situazione
nel seguente modo:
«Destatasi l'idra del brigantaggio di Basilicata alla fine del marzo ed ai principi di aprile del 1861 con la uccisione del capitano della Guardia Nazionale, Anastasia, di Ripacandida.
Davide Mennuni accorse con i suoi compagni e in compagnia delle guardie nazionali dei paesi contermini a Genzano, a sedare la reazione in Maschito, in Lavello, in Venosa ove i briganti avevano massacrato il venerando patriota dott. Francesco Nitti; ed in Melfi, ove l'orda brigantesca aveva ricevuta cordiale accoglienza da alcuni innominati reazionari e condotta con gran festa in chiesa a cantare il «Te Deum» pel fausto ritorno del governo borbonico.
Presso Forenza Davide Mennuni, con i suoi militi, sostenne aspro combattimento contro i briganti, che furono messi in fuga dopo che 40 e più di essi rimasero uccisi.
Il Mennuni corse gravissimo pericolo della sua persona nelle vicinanze di Lagopesole, quando attaccò ed uccise una sentinella dei briganti, e liberò un povero soldato che era stato fatto prigioniero nei giorni precedenti, nel terribile attacco di «Carbonara».
L'esimio patriota cav. Rocco Brienza, in un capitolo di un suo lavoro inedito sulla «Storia del brigantaggio» riportato dal settimanale «La Giovane Lucania» n. 28 del dì 11-8-1895 al riguardo dice: «Davide Mennuni, anch'egli compromesso politico, e sostenitore delle libere riforme, percorrendo, con soli cento uomini a cavallo, il bosco di Lagopesole, ebbe ad accorgersi restare nelle mandrie del Principe Doria gran numero di briganti. Alta era la notte. Dopo di avere, con precauzione somma, postate le sentinelle ai luoghi da cui potevasi fuggire, destina il rimanente della compagnia a seguirlo al primo colpo.
Solo, con tutta disinvoltura, si avanza. La scolta brigantesca, credendolo dei loro, non dà il segnale d'allarme, non vedendosi, già da presso, corrispostovi ai segnali da essi loro convenuti, spiana il fucile.
Il Mennuni non gli dà tempo che lo fa cadavere. Ecco investita tutta la località. Al grido: «Viva Vittorio Emanuele II» comincia la carneficina.
Quanti ve ne erano sono trucidati. Altri, nascosti nelle vicine capanne, destati dai gridi disperati e dai colpi di rivoltella, si danno alla fuga.
Le sentinelle continuano la strage. Altri, sbucando dai casolari vicini non sanno dove precipitarsi... vengono circondati dai Nazionali comandati dagli strenui patrioti Ciccotti e d'Errico...
L'alba di quel giorno sorse
per mostrare quelle contrade ingombre di uccisi. Da quel giorno potevasi dire
distrutto il brigantaggio, se non vi fossero stati interessi di farlo esistere.
Il Mennuni, non contento di quel trionfo, ritorna al casolare e ne trova due altri, che la paura aveva fatti seppellire in cataste di stipe; uno è passato per le armi, l'altro cerca aiuto; era uno dei due soldati piemontesi fatti prigionieri nell'attacco di Carbonara..., »
E il Lacava continua: «Di poi il Mennuni passò ad Avigliano ed a Potenza. Allora il Governatore della Provincia visto l'attitudine, il coraggio ed il patriottismo del Mennuni, volle assolutamente che egli formasse uno squadrone di Cavalleria e ne assumesse il comando.
Il Mennuni si pose subito all'opera, ed a sua scelta in Genzano ed in diversi altri paesi della nostra provincia, riunì una cinquantina di valorosi giovani che furono il terrore e lo spavento dei briganti, e valsero tanto a sedare le reazioni, ed a ristabilire l'ordine nella nostra provincia.
Si abbia la memoria del Mennuni e dei suoi militi, la riconoscenza di tutta la nostra provincia pel coraggio e valore dimostrato in molti scontri».
Tra i principali attacchi notiamo quello avvenuto nel bosco di Russo in terra di Bari, ove la Cavalleria Mennuni, dopo un'ostinata e vigorosa resistenza dei briganti di Basilicata e di Puglie, questi comandati dal Capo brigante Scazzacristi, quelli da Ninco Nanco, li sconfisse in modo che appena i capi con pochi di loro si potettero salvare, mettendosi in fuga mentre ben trenta e più ne rimasero morti.
E quello del Piscicolo, agro di Stigliano, dove attaccò le bande riunite degli infaustamente celebri Egidione Percuoco ed altri.
In questo combattimento, che fu presenziato dal Colonnello Borghese, morirono 15 briganti tra cui tre capi.
Di tutti i suoi militi, nei tre lunghi e faticosi anni di vita raminga e di campagna contro il brigantaggio, il Mennuni ne perdette appena tre.
Per questi fatti, veramente valorosi, il Mennuni guadagnò due medaglie d'argento al valore militare, ed ottenne meritatamente la croce di cavaliere dell'ordine di S. Maurizio e Lazzaro.
Dopo aver molto contribuito alla distruzione del brigantaggio, ritornò in sua casa.
Ma le lotte e fatiche, i tanti malanni contratti nella dura vita di persecuzioni del brigantaggio, produssero nel Mennuni un' malore che lo ridusse alla tomba nell'età di 45 anni, tra il dolore della sua famiglia, degli amici, dell'intera Basilicata, dove, con grandissimo rispetto, è ricordato il suo nome.
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Parte IV - Cap. VIII - Concentramento delle bande dei briganti nell'agro di Genzano
Uno degli anni più movimentati per la nostra milizia nella lotta contro i briganti nel territorio di Genzano fu il 1864.
Contemporaneamente si concentrarono nella nostra zona dieci bande approfittando della circostanza che il vittorioso reparto della Guardia Nazionale a Cavallo, cornandato dal Mennuni, regolarmente mobilitato, si trovava lontano da Genzano.
La preoccupazione dell'amministrazione comunale fu tale che si giunse a far barricare il paese per evitare quello che si era lamentato nei danni di Venosa.
La banda di:
1°- Crocco, ridotta a sole 50 persone a cavallo, ma formata di uomini disperatamente coraggiosi, ed organizzati militarmente(1);
2°- di Ninco Nanco, con uomini 30;
3°- di Ingiongiolo, con uomini 10;
4°- del pietragallese Mennuti, con 9 persone;
5° e 6°- dei spinazzolesi Pellettieri e Malfino con 8 uomini ciascuna;
7°- e 8°- dei palazzesi Rubino e Crepezze, composte rispettivamente di 12 e di 6 individui;
9° e 10°- di Patato e di Tortora, di un numero impreciso di componenti (2), a volte operavano separatamente, a volte agivano di conserva ed allora riusciva difficile opporre una valida difesa.
Tra gli scontri più importanti si ricorda quello del di 8-2-1864.
Riportiamo al riguardo il
rapporto fatto dal Sindaco al Prefetto di Potenza.
«Genzano, li 8-2-1864.
Protocollo N. 69.
Al Prefetto ed al Maggiore
Generale Dalegna - Potenza Oggetto: Conflitto con la banda Ninco Nanco ed i
Reali Carabinieri.
Con gravissimo dolore dell'animo mio ò ad annunziare alla S. V. un tristissimo caso occorso ieri ai Carabinieri Reali della Stazione di Acerenza per un improvviso scontro avvenuto con la banda dì Ninco Nanco.
Mentre nel giorno predetto il comandante della menzionata Stazione, Furlone Michele, con i suoi dipendenti Carabinieri: Rizzi Giambattista, Favuta Antonio, Lucarino Domenico, Bernardi Domenico, da Genzano restituivasi alla propria residenza, dopo aver adempito ad un pubblico servizio, approssimandosi al torrente Ginestrello, che forma confine tra questa difesa bosco Ralle ed il tenimento di Acerenza, si avvide che da quest'ultima parte, discendeva un numero di uomini armati a cavallo, riconosciuti dappoi del numero di 26 comandati dal famigerato brigante Ninco Nanco.
Sul principio da un individuo della detta arma dei Carabinieri Reali, dubitavansi che fosse un drappello di colonna mobile ma il dubbio cessava dal precipitoso avvicinarsi della banda, la quale a mezzo tiro sparava una scarica simultanea.
Attaccati così vivamente ed all'improvviso la ripetuta amata retrocedette come in militare ritirata difendendosi però egregemente.
Allora i masnadieri passati il detto torrente, violentemente caricavano e raggiungendo i 5 prodi, sempre intenti a pugnare con valore, con nuova esplosione delle loro armi facevano quasi simultaneamente, vittime il benemerito brigadiere Furlone ed il carabiniere Favata, dopo che i medesimi insieme agli altri intrepidi loro compagni avevano sostenuto un vivo e lungo fuoco, senza mai cedere alle intimazioni della banda che rimaneva attonita ed esitante.
Ben vero vedendo come si è detto, ottenuto il frutto di due vittime, animavasi ad un nuovo assalto contro i superstiti, che non cessarono di battersi da leoni.
Una nuova vittima cadde tra i carabinieri in persona di Rizzi ed in quel momento stanandosi un buon numero di briganti, cercava mettere in mezzo gli altri due, Lucarini e Bernardi, che continuavano, dopo la morte dei loro compagni a difendersi valorosamente, sempre in ritirata, perché sopraffatti dal numero dei nemici, e con la intenzione di guadagnare una posizione elevata e più prossima a questo abitato, sperando così di aver soccorso, ovvero di vendere a caro prezzo la loro vita; ma una nuova manovra degli assassini mirava a circuire e distruggere i due valorosi dei quali il Lucarini, senza punto smarrinsi prendendo di mira quel brigante ch'era più prossimo ed ostinato all'assalto cagionavagli mortale ferita, come si giudicò della sua caduta e dal pronto accorrervi di molti compagni, che caricatolo anziché ripostolo in sella, altro saltò in groppa per sostenerlo, rimanendo a discrezione il proprio cavallo.
Fortuna volle che profittando di questo smarrimento momentaneo dei masnadieri, i carabinieri Lucarini e Bernardi, celeramente indietreggiarono per mettersi in una posizione più favorevole; nel ripassare il vallone, il Bernardi cadeva con la propria carabina la quale rimaneva fuori di uso per essersi sensibilmente infangato il cilindro.
I briganti incalzavano ma i due prodi non perdevano coraggio. Raggiunsero un mucchio di canne ed ivi si trincerarono.
Assaltati di nuovo nel fragile
baluardo, il Lucarini con valore immenso di bile fece funzionare la unica
carabine che rimaneva esaurendo le corrispondenti munizioni sue proprie e quelle
del compagno Bemardi il quale col suo revolveri battevasi intrepidamente.
Nessuno scampo! Un piccolo pastore, temendo della vita perché guardato dai briganti, si rifiutò di portare la notizia a questo paese nonostante le generose offerte.
Intanto giunse qui l'avviso per mezzo dell'egregio Comandante di questa stazione, Todeschini Carlo, che trovavasi in Banzi ove veniva informato da un vaticale ivi giunto da un luogo vicino ai conflitto; questo incominciava alle ore due pomeridiane e si protrasse fino a circa le cinque.
I prodi Lucarini e Bernardi, ridotti all'estremo, non vollero arrendersi alle repliche intimazioni della banda, ed ebbero tale, coraggio ed abilità da permettere che fossero giunti sul luogo i primi uomini da me spediti a cavallo, e questi poi seguiti da un numero di Guardie Nazionali a piedi, oltre della forza partita dal prossimo villaggio di Banzi, guidata dal predetto signor Todeschini, della quale faceva parte il Capitano della Guardia Nazionale.
I briganti, avvisati da un
loro compagno del sopraggiungere del socccorso, precipitosamente mettendosi a
cavallo, retrocedettero prendendo la volta del Finocchiaro, tenimento di
Acerenza, inseguiti tempre da queste forze fino alle ore sette e mezzo.
Nel deplorare il triste caso e la perdita di tre carabinieri reali, da gettare in gravissimo duolo una intera popolazione, non posso non rendere omaggio allo straordinario valore ed alla intrepidezza dei superstiti Bernardini e Lucarini, dei quali l'ultimo, come di sopra ho avuto l'onore di accennare alla S. V., cagionava la grave ferita, se non la morte, ad un brigante, e la perdita di un cavallo ed una giumenta alla banda.
Interprete fedele delle giuste impressioni provate da questo Municipio della autenticità de fatti straordinari che hanno comprovato l'eroico valore de Carabinieri soprascritta salvi per vero miracolo della Provvidenza, oso rivolgermi alla S. V. perché faccia valere la di lei autorità onde ottenere, a pro dei carabinieri anzidetti, la giusta rimunerazione dovuta al valore che meritarono tanta ammirazione da questa popolazione.
Metto fine a questo doloroso rapporto manifestando alla S. V. che le spoglie delle tre vittime sono state, con pompa, accompagnate da gran numero di militi nazionali, notabili del paese, e municipio, nonché dei loro fratelli d'arme, trasportate in questa Chiesa dei Padri Riformati, ove si è proceduto stamane alla solennizzazione di una messa funebre, per aver luogo domani l' esequie disposta in modo degno da onorare la cara memoria dei tre valorosi Soldati Italiani, e ciò dietro concerto col su lodato Brigadiere Tedeschini.
Da ultimo sottometto alla S. V. il mio desiderio e quello di questo Municipio, che cioè sarebbe di vendere i due animali presi ai briganti per convertirne il prodotto nella forma di un tumulo che comprenda le spoglie preziose di quei tre che perirono per la Patria.
Su tale argomento si degnerà la S. V. comunicarmi il suo avviso.
Il sindaco
F.to: Polini».
Segue il rapporto N. 72 in data 9-2-1864 con cui il Sindaco fa una dettagliata relazione sulle esequie solennissime celebrate in onore dei tre carabinieri reali caduti.
Dal su nominato rapporto apprendiamo: che l'orazione funebre venne letta dal signor don Teodoro Denozza; che le spese dei funerali furono sostenute dalla popolazione; che le confraternite, il clero, i padri riformati rinunziarono ai loro compensi; che le salme vennero trasportate a spalla delle autorità cittadine e che, per unanime volere, la somma del Comando Militare messa a disposizione per le onoranze funebri si chiese che venisse distribuita alle famiglie delle vittime.
Segue al riguardo del riferito
conflitto un terzo rapporto del giorno 11-2-1864, N. 73 che riportiamo
integralmente:
« ...Nel giorno dieci corrente, facendo appello a tutti quanti i cittadini onesti che potevansi offrire un cavallo, mi misi alla loro testa, in unione di questo Comandante la stazione dei reali carabinieri signor Todeschini, operando una perlustrazione pè luoghi dove potevasi aver traccia dell'infame masnada, e registrare quelle notizie che avessero potuto avervi relazione.
Mi spinsi fino al tenimento di Acerenza, ove interrogai del conflitto e delle mosse della banda comandata dal famigerato Nìnco Nanco, e dell'attitudine serbata dalla Guardia Nazionale di Acerenza che in quel giorno trovavasi a breve distanza dal luogo del sanguinoso dramma.
Potei raccogliere dai foresi al servizio del Signor Nicola Panni di Acerenza appellati: Pasquale Calitri, giumentaio; Gaetano e Canio Mattia, lavoratori; Pasquale Saluzzi; nonchè Antonio Travascia, custode di pecore al servizio del signor Lamiranda del detto Comune, che nel giorno di Domenica prossima scorsa, mentre i briganti attaccavano i cinque reali carabinieri, la detta Guardia Nazionale al numero di 20, fra cui sei a cavallo, aveva preso posizione su di una collinetta a distanza di un chilometro dal luogo dell'attacco e di rimpetto, dopo di aver avvertito i colpi che i briganti esplosero contro l'arma benemerita.
Tra le guardie nazionali trovavansi i signori Glinni Paolo di Canio, ed Amatiello Vincenzo fu Francesco, i, quali impazienti di attaccare alle spalle la masnada, incitavano i compagni a seguirli sollecitamente per accorrere in aiuto degli aggrediti.
Ma prevalendo nelle guardie la viltà al coraggio, anziché corrispondere al loro dovere ed ai generosi incitamenti dei due commilitoni, retrocedevano passando come timidi spettatori su di altra posizione più distante, appellata Serracimino, come per ripararsi da un attacco.
Questa condotta inqualificabile fa raccapricciare. Quando le guardie videro svanito anche il temuto pericolo, che la loro vigliaccheria suggeriva, retrocedettero ancora fuggendo nelle scoscese che dalle crepe della difesa Ralle, luogo della strage, ove apparivano le numerose guardie nazionali affannosamente accorse da Banzi col Brigadiere Todeschini, e di Genzano sotto il mio comando.
Incredibilia sed vera! E' un fatto che oltre a generare disservizio, deve anzi richiamare le più sollecite investigazioni della giustizia punitrice.
Se le guardie di Acerenza avessero non altro operato un simulacro di attacco alle spalle della vile masnada, il luttuoso fatto non sarebbe avvenuto, mentre se per contro avessero avvertita tutta l'importanza de' loro doveri, con operare un vigoroso attacco contro i briganti, colti tra due fuochi in principio, quelli sarebbero rimasti completamente distrutti, quando si riflette all'opportuno arrivo delle guardie di Genzano e di Banzi, e di questi reali carabinieri.
Ogni via di sfuggita sarebbe stata chiusa, ed avremmo a registrare un fatto che avrebbe onorato coloro che avessero preso parte, rendendo un supremo servizio alla Patria; ma così non vollero le Guardie Nazionali di Acerenza.
Onde la S. V. possa formarsene una chiara idea del come le vigliacche guardie nazionali di Acerenza per coincidenza furono testimoni impassibili dell'infausto avvenimento, sento l'obbligo di dichiarare alla S. V. che in quel giorno unito alla stazione dei reali carabinieri di Acerenza, da Genzano dovevano colà recarsi i parenti di quel regio Giudice e tra essi una cognata nubile.
A renderne più sicuro il transito del bosco Ralle eransi invitati quelle guardie nazionali ad incontrare i detti signori i quali per una di quelle circostanze imprevedibili eransi astenuti dal viaggiare.
Il Sindaco:
F.to:
Polini».
Dopo tale delittuoso avvenimento continuò con più audacia la violenza degli attacchi, i quotidiani sequestri delle persone.
Tra i sequestri destò profondo cordoglio il caso del giovane Giannone Agostino di Rocco, catturato nella propria aia nella notte tra il 28 e 29 dello stesso mese.
Pel riscatto venne chiesta la somma di ducati quattromila; il padre non poté subito versare il danaro e del giovane non si seppe più nulla!
Tutto ciò non scoraggiava in alcun modo la nostra Guardia Civica che ogni giorno perquisiva i luoghi più reconditi e le masserie sospette.
Così nel nostro Monteserico, e propriamente nel vallone di Guarino, sito nel bosco di Cerreto, il 15-5-1864 vi fu un altro scontro tra la guardia nazionale, al comando del sindaco di Genzano, Polini, e la banda di Ingiongiolo.
Venne, tra gli altri, ferito gravemente lo stesso Ingiongiolo che dovette abbandonare il cavallo ed il fucile.
I feriti col favore della notte furono dai briganti trasportati a Tolve come si nota nel rapporto n. 115 del 1° giugno.
In tale scontro si tolsero ai briganti: armi, munizioni, vettovaglie, 4 cavalli e una giumenta completamenti bardati.
Nelle vicinanze vennero
catturati i palmiroti : Giuseppe Maroni, mulattiere di anni 26 e Luigi Cioffi,
salariato di Antonio Vaccarella, cieco da un occhio, perché da diversi giorni
si aggiravano nelle vicinanze del vallone di Guarino col pretesto di raccogliere
legna; interrogati intorno ai briganti affermarono di non aver visto né sentito
nulla di quanto era accaduto. Furono trattenuti in carcere perchè, quanto meno,
erano colpevoli di omertà.
Altro scontro sanguinoso
avvenne il 29-6 nel bosco demaniale Ralle tra la banda del famigerato Crocco,
forte di 50 uomini, un reparto di Cavalleggeri Lodi, un reparto di Bersaglieri,
5 volontari della nostra Guardia Nazionale e un reparto di cavalleria Mennuni
giunto da Acerenza alla notizia dello scontro.
Il combattimento si protrasse sino a tarda sera e perirono: tre Cavalleggeri, un volontario della guardia di Genzano, il valorosissimo giovane Polini Pietro, un milite del Mennuni, tale Viggiano di Avigliano, un cavallo ed una giumenta.
I briganti ebbero diversi
morti e numerosi feriti che, secondo l'uso, durante la notte vennero portati via
(Rap. n. 125 del 30-6-1864).
Il momentaneo ritorno della cavalleria Mennuni e il concentramento di numerosi soldati a Genzano e nei paesi vicini, disorientarono, per qualche tempo, i briganti che si limitarono a rapinare i rari viandanti e i poveri agricoltori costretti a doversi recare in campagna.
Tuttavia reparti di banditi venivano segnalati nel bosco di Banzi, a Monteserico, al Trignito, alle Ralle e nelle Murge.
La mattina del 10 ottobre 1866 il Prefetto di Bari telegrafava al Sindaco di Genzano che «in territorio di Gravina era stata assalita dai briganti una masseria e che la banda, dopo aver rapito diversi animali ivi esistenti e catturato tale Donato Bruno di Canio, si era diretta verso il Monteserico».
Uno squadrone di 36 militi della nostra Guardia Naz. uscì in perlustrazione per diversi giorni consecutivi finchè il 18 ottobre si scontrò con sette briganti della banda segnalata dal Prefetto di Bari: due riuscirono a fuggire, due vennero uccisi in combattimento, gli altri tre, fatti prigionieri, furono giustiziati.
Il Bruno poté far ritorno incolume nel seno della propria famiglia; nessuna traccia degli animali rubati; evidentemente erano stati affidati all'altra parte della banda scomparsa tra le cave di tufi delle Murge.
Per tale brillante operazione
la nostra Giunta Comunale, il 13-2-1867 dichiarò degni di premio e di encomi
solenni i seguenti militi: 1) Cav. Davide Mennuni, Comandante in capo; 2) Lomuto
Francesco, Capitano; 3) Aniello Vincenzo, Sottotenente; 4) Laginestra Nicola,
sergente furiere; 5) Claps Nicola Maria fu Gerardo, sergente; 6) Polini Michele,
sergente; 7) Ferrandina Antonio, caporale; 8) Saluzzi prof. Vincenzo; 9)
Marchione Michele; 10) Lomuto Gerardo; 11) Chisena Giovanni; 12) Palermo
Gerardo; 13) Locoratalo Luigi; 14) Carcuro Antonio; 15) Sacerdote De Lucia
Giuseppe; 16) Giordano Rocco; 17) Viggiani Giuseppe; 18) Tufanisco Gerardo; 19)
Bovio Michele; 20) Mancini Giuseppe; 21) Buonfiglio Antonio; 22) Florestano
Antonio; 23) Polini Nicola; 24) Polini Vincenzo; 25) Tufanisco Nicola; 26)
Vignapiana Luigi; 27) Scazzariello Alfonso; 28) Manfredi Canio; 29) Grasso
Nicola Maria; 30) Latilla Antonio; 31) Carbone Savino; 32) D'Eugenio Giuseppe;
33) D'Eugenio Rocco; 34) Bonifacio Giuseppe Antonio; 35) Larocca Antonio.
Ad opera dei soprannominati militi al comando del Cav. Mennuni e del sindaco Polini si scoprì il luogo dove si teneva sequestrato il Bruno: la pagliera della taverna di Antonio Muscio di Corato, dimorante a Genzano, custodita da tale Domenico Cutinella di Andria.
Tra gli autori del ricatto vi furono i pregiudicati: Sbarra Michele Antonio, Crepezza Giuseppe, Donato Dipierro, lavorante di legnami, tutti da Palazzo S. Gervasio. (Rapporti N. 48, 49 e 50 dei giorni 18, 19 e 22 ottobre 1866).
Ai bravi militi della guardia nazionale venne concesso, dalla Commissione Provinciale un adeguato premio, come si legge in una lettera del Prefetto di Potenza del 5 novembre dell'anno 1866, inserita nel rapporto N. 58 del giorno 22 dello stesso mese ed anno.
Ed a proposito di, onorificenze, rileviamo dal rapporto N. 30 che fu concessa la medaglia d'argento a Pompa Raffaele fu Rocco, per aver ammazzato il brigante Dinardo Giuseppe Antonio, da Palazzo S. Gervasio, nel bosco di Banzi, al fine di salvare il fratello Gaetano dai briganti catturato.
Un altro scontro, incruento però, avvenne il 26 novembre 1864 alle ore due pomeridiane in contrada Paternigiosa (Monteserico) tra nove giovani cacciatori e 12 briganti della squadra Bellettieri.
«Dopo una fucileria di un'ora
e mezzo, i briganti si allontanarono indisturbati... e spogliarono, lunga la via
che mena a Monteserico, tutti gli individui che ritornavano da campagna».
Il 12-12-1865 un altro scontro si lamentò tra la banda dell'Ingiongiolo ed un reparto della Guardia Nazionale di Genzano a Cerreto in contrada Monteserico; i briganti riuscirono a fuggire verso Palmira.
Sulla sinistra del fiume
Bradano si scontrarono con alcuni soldati distaccati a Palmira che andavano in
licenza scortati da altri soldati.
Nell'attacco che ne seguì, fu ucciso uno dei soldati che andava in licenza ma fu liberato dalle mani dei briganti tale Saverio Peruzzi di Montepeloso, catturato dalla banda a scopo di ricatto. (Rapporto N. 112 del 22-12-1865).
Per la protezione degli agricoltori e al fine di poter sradicare dalla nostra zona il brigantaggio, il governo centrale decise di istituire nel nostro territorio cinque posti fissi di militi della Guardia Nazionale e quattro di soldati.
I posti affidati alla Guardia
Nazionale furono:
1) Mattina Grande (Masseria
Cardacino); 2) Mattina Piccola (Masseria Di Pierro); 3) Monteserico (Masseria
Dell'Agli-Cetti); 4) Monteserico (Masseria Regina dei signori Mennuni); 5)
Monteserico (Serra della Castagna, masseria Lasala).
I posti affidati ai
Granatieri: 6) Monteserico (Masseria Brunetti); 7) Monteserico (Masseria
D'Errico); 8) Banzi (Panetteria); 9) Cerreto (Casone Berardi).
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(1) G. Negri. Lettera
10-4-1862 (S. Depilato: Fondi, Cose e Figure di Basilicata).
(2) Rapporti di polizia N. 67,
105. 24, 73, 99. 121, 152, 169, dell'anno 1864.