Ettore Lorito - GENZANO DI BASILICATA - CRONOGRAFIA

            

Parte IV - Cap. IX - Spirito di concordia e di moderazione


La presenza a Genzano di Davide Mennuni valse a sanare i dissidi tra i liberali di diverse tendenze e i pavidi sostenitori del Governo Borbonico tanto che Genzano fu tra i paesi di Basilicata che con maggiore slancio, aderirono al Governo di Vittorio Emanuele II.

Infatti nel plebiscito del 21-10-1860 si ebbe non solo un'insolita affluenza alle urne ma nemmeno un voto contrario.

Ciò non indicava che non vi fossero ancora dei cittadini, dei sacerdoti ligi ai Borboni, ma stava a significare la stragrande maggioranza dei liberali esistente in Genzano e lo spirito di moderazione e di prudenza che, in quel periodo, caratterizzò il nostro paese e rese possibile una vita relativamente tranquilla mentre, negli altri centri, si combattevano le lotte fratricidi più spietate.

Qualche punizione, nei riguardi dei più accesi ed imprudenti borbonici non mancò; infatti si ricorda la pena inflitta ai notar don Giuseppe Lagala e al suo compare Tobia Cerasuolo già V. Capo urbano sotto i borboni.

Legati con le mani dietro alla schiena, su di un asinello, vennero portati in giro pel paese e poi lasciati nella sede del R. Giudicato.

Trasportati nelle carceri di Potenza vi rimasero diversi mesi e, per riacquistare la libertà, sacrificarono gran parte delle loro modeste sostanze.

Vi fu ancora il caso del sacerdote don Francesco Amabile, come si rileva dalla seguente denunzia:

Genzano, 16-3-1864.         Protocollo N. 55

Al R. Giudice.

Oggetto: Sacerdote Amabile Francesco.

«Onde solennizzare con tutta pompa il giorno natalizio di S. M. il Re, e principe ereditario che ebbe luogo nel di 14 andante, non mancai d'invitare con appositi e distinti uffizi tutte le autorità governative, nonché questo arciprete curato, affinché con l'intero capitolo fosse convenuto in questa Chiesa per celebrarsi le sacre cerimonie confacenti a si fausta circostanza, ed implorare dal Cielo coi loro sacri cantici, salute e prosperità a Colui che tanto bene regola le nostre sorti.

L'invito diretto all'Arciprete fu a colui consegnato in Chiesa nel dì precedente alla festa in presenza di quasi tutti i preti che ne vennero allora per allora informati.

Incredibilia sed vera, il sacerdote don Francesco Amabile, prendendo la parola, fece osservare che  non conveniva, nè si doveva solennizzare tale cerimonia per un Re fulminato dalla Corte di Roma con la così detta "Scomunica vitante"; che ove il Clero vi acconsentisse la Chiesa sarebbe ipso facto rimasta interdetta.

Non stimando opportuno richiamare alla memoria della S. V. i fatti posteriori, che le sono purtroppo noti, solamente mi limito a pregarla caldamente d'intervenire con quella scrupolosità ed esattezza, di che è ornata, sui detti dell' indegno sacerdote Amabile, imperciochè quanti udirono simili avvenimenti, restarono scossi nelle loro coscienze.

Di tale fatto sono testimoni: De Nozza don Pasquale, Arciprete e i sacerdoti: Polini don Francesco, De Lucia don Giuseppe ed anche Polini don Gaspare, dott. fisico.

Il sindaco:

 firmato: Polini».

Si volle vedere nell'osservazione dell'Amabile, che del resto era ben fondata, oltre che un atto ostile nei riguardi della casa Savoia, un crimine gravissimo, cioè un indice delle relazioni esistenti tra il detto sacerdote ed i... briganti, sostenitori del cessato governo Borbonico.

Il sindaco, come appare dalla lettera che segue, mentre fu eccessivamente severo nel classificare la condotta morale e politica di don Francesco Amabile, non potette fornire nessun elemento di pruova in merito alla grave accusa.

Ecco la copia della lettera:

Genzano, 27-3-1864          Protocollo n. 59

Oggetto: Sacerdote Amabile Francesco

Signor Prefetto di Basilicata.

«Dò pronto riscontro alla nota della S. V. del 22-3-1864, numero di protocollo riservato 4121, ed a me pervenuta con la data di oggi, assicurando che la condotta politica e morale del contrassegnato individuo è riprovevole sotto ogni aspetto, solo pere niente di preciso posso dinotare alla S. V. che abbia rapporto col brigantaggio.

Il sindaco».

Non si hanno notizie di altre serie punizioni, anzi, a ripruova dello spirito di tolleranza che caratterizzò la vita cittadina in questo periodo così agitato, si raccontano diversi episodi allegri.

I rappresentanti del nuovo Governo Nazionale, invece di perseguitare i pochi avversari, li prendevano in giro.

Vittime delle burle erano, naturalmente gli uomini notoriamente timidi... e che potevano pagare da bere alla comitiva.

A volte erano perquisizioni false; altre volte arresti fantastici; spesso vi erano chiamate al Quartiere Nazionale ove i malcapitati venivano trattenuti digiuni perché gli organizzatori non consegnavano loro il vitto che le famiglie interessate mandavano.

E' rimasta celebre la burla fatta in danno del falegname benestante Luigi Spacconciello, uomo assai da bene, ma ligio ai preti di fede Borbonica e compare del notaio Lagala.

Era la sera dell'ultima domenica di carnevale e lo Spacconciello si accingeva a gustare il succolento desinare preparato per festeggiare tale ricorrenza e l'uccisione del maiale.

Ad un segnale fatto dal noto burlone «mast Diadosio» o (Di Giulio), si presentarono in casa dello Spacconciello sei militi, scelti tra i più famelici e tra i più noti bevitori, con l'ordine di condurlo al Quartiere sotto l'accusa di «essersi rifiutato di portare sul cappello la coccarda tricolore come gli era stato ordinato in precedenza».

La moglie dello Spacconciello, Catena Margherita, donna molto ardita, cercò di giustificare il consorte e promise che l'avrebbe mandato al Quartiere il di seguente giacché, per le note condizioni di salute, il suo Luigi non poteva uscire di casa di notte.

All'immancabile chiasso che, studiatamente, i militi facevano, accorsero i vicini e gli organizzatori della beffa che ottennero per lo Spacconciello il permesso di presentarsi con la coccarda tricolore il di seguente.

Non parve vero al povero Luigi di essersela cavata a tosi buon mercato e ... invitò tutti a prendere parte alla cena «che fu una vera orgia e finì con musica e ballo e ... con sensibilissimo alleggerimento del peso del maiale ucciso».

Durante il triste periodo del brigantaggio in Genzano, proprio all' angolo del Parco della Rimembranza dov'è la Croce (in quel tempo detto luogo era coperto di boscaglie e pantani) furono compiuti due cruenti atti di giustizia: il 1° con la fucilazione del brigante Antonio Agatiello di Acerenza, disertore del 3° Granatieri, feroce criminale che aveva non poco insanguinata la nostra contrada.

Sorpreso dal Brigadiere dei RR. CC. Carlo Todeschini, umile, modesto eroe dell'arma fedelissima, tratto in arresto dopo ben 5 ore di tenace inseguimento e trascinato in paese espiava i suoi delitti tra l'esultazione del popolo il dì 23 agosto 1862(1).

Il 2° con la fucilazione dei tre briganti catturati a Monteserico dal Mennuni, avvenuta il 1864.

Ugualmente per mano di un genzanese morì il temibile brigante de Felice detto Ingiongiolo la cui cattura era stata impossibile alla stessa Cavalleria Mennuni oltre che ai RR. CC. ed ai Soldati del 56° del 39° Regg. Fanteria; al 30° Battaglione Bersaglieri, al reparto « Lancieri Lodi» mandati in Basilicata al comando del maggiore generale Pallavicino.

Si dovette ricorrere ad un espediente poco simpatico, ma non si potè fare diversamente.

Il vaccaro Caprio Michele fu Francesco si legò con vincoli spirituali al feroce manigoldo ed un bel giorno, nel territorio di Vaglio di Basilicata, durante il sonno, uccise il compare a colpi di scure.

Il Caprio, oltre al premio fissato per la cattura o l'uccisione di un brigante, ebbe dal nuovo Governo Italiano, una pensione vitalizia di L. 200 annue, come si rileva da una lettera del Prefetto di Napoli del 1874 esistente nell'archivio Comunale (2).

Per giustificata cautela il Caprio credette opportuno emigrare.

Con la morte di Ingiongiolo, avvenuta il 1867, si chiuse, per la nostra zona, il triste periodo del brigantaggio giacché da tempo era scomparso Crocco, che più tardi venne catturato a Roma; era stato bruciato vivo, a causa della sua ferocia, e per ordine di Serravalle, il Di Mare; era stato catturato ed ucciso nell'agosto 1863 ad opera del capo della polizia di Potenza, Temistocle Solera da Ferrara, il Serravalle mentre teneva in ostaggio un angelo di bellezza: Cherubina di Donato.  (Depilato: Fondi, cose e figure di Basilicata, p. 156).

Non possiamo chiudere questo capitolo della nostra storia senza fare accenno ad un fatto che corre sulla bocca di tutti i Genzanesi.

In mezzo al disorientamento causato dal brigantaggio non mancarono le gesta criminose di alcuni «galantuomini».

Si narra di una mascherata capitata in casa del dott. Calogero durante la quale, con le armi in pugno si pretese del danaro dall'incauto dottore.

Il caso volle che nell'atto di intascare il danaro, per un solo istante, la maschera cadde dal volto del capo della comitiva ed il Calogero ravvisò «un caro amico di famiglia».

A questo punto la tragedia ... si mutò in farsa purché il galantuomo, vistosi scoperto, si affrettò a dichiarare che tutto era stato uno scherzo.

Il dott. fece buon viso e cattivo giuoco, ma rimase nella ferma convinzione di averla scampata bella specialmente per la circostanza che gli altri componenti la mascherata non solo non erano amici del Calogero, ma non godevano fama di... santi.

I beni informati affermano: che altri colpi del genere erano stati tentati con successo e che I'agiatezza della famiglia del messere proveniva da tale impura fonte.

Con piacere registriamo che «nessun genzanese andò mai ad ingrossare le squadre dei briganti», come si legge nei rapporti segreti della questura del tempo.

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(1) R. Brettagna

(2) Il Giannone erroneamente afferma che Ingiongiolo fu ucciso da vaccari di Vaglio. Anche l'Andreucci è caduto nel medesimo errore.

Parte IV - Cap. X - Maggiori esponenti genzanesi appartenenti alla Cavalleria Mennuni


1) Don Davide Mennuni fu Luigi, comandante in capo. 2) Don Michele Arcangelo Mennuni, Luogotenente, Contabile. 3) Don Luigi Claps, Luogotenente. 4) Don Giuseppe di Pierro. 5) Savino Carbone. 6) Tommaso Antonio Laginestra. 7) Don Luigi Vignapiana. 8) Francesco Lomuto. 9) Rocco D'Eugenio. 10) Giuseppe D'Eugenio; 11) Ismaiele Gravina. 12) Michele Tmsolini, detto l'indovino. 13) Gerardo Lomuto. 14) Vito Gioia. 15) Donato Pietrapertosa. 16) Francesco Scazzariello. 17) Don Francesco Claps. 18) Vincenzo Ignelsi. 19) Vito Mirabello. 20) Rinaldo Bocchino. 21) Vito Defelice. 22) Luigi Tommaso. 23). Felice Mangiovi. 24) Giuseppe Urbano. 25) Pietrantonio Sinisgallo. 26) Ambrogio Pravattoni. 27) Vito Lancellotti. 28) Gerardo Ferretti. 29) Cesare Sforza. 30) D. Giuseppe De Lucia, Sacerdote. 31) Manfredi Canio.

L'elenco non é ne completo, né esatto; é stato compilato sulle semplici dichiarazioni di alcuni anziani del paese.

Parte IV - Cap. XI - Volontari di altre compagnie e malumore dei repubblicani


Anche alla terza guerra d'indipendenza presero parte, quasi tutti volontari, molti genzanesi, alcuni dei quali furono decorati di medaglie d'argento o di bronzo.

Nell'albo d'onore si ebbe a registrare una sola vittima nella persona di Vito Falanga, gloriosamente caduto a Custoza il 24 giugno del 1866.

Ecco l'elenco dei partecipanti alla detta campagna riportato dal Lacava nella citata opera; è, come il precedente, incompleto:

Amati Teodoro, Anguti Vito Arcangelo, Amabile Francesco, Cancellara Candido, Castaldo Pasquale, Cilla Domenico, Cilla Rocco, Cilla Sabino, Cilumbriello Angelo, Comiola Samuele (noto congiurato, arrestato il 5 aprile 1851 e condannato a mesi sette di carcere), Dell'Agli Vincenzo, Demarco Paolo, D'Errico Angelo, Distasi Vincenzo, Falcone Luigi, Giordano Michele, Lancellotti Vito, Lepore Vitantonio, Linsalata Donato, Lomuto Michelangelo, Loguercio Canio, Mancino Teodosio, Marchione Michele, Petraccone Vito, Pietrapertosa Domenico, Quagliara Vito (decorato), Scazzariello Alfonso, Scazzariello Ferdinando (decorato), Sforza Cesarino (decorato di medaglia di argento), Simeone Michele, Pravattone Ambrogio, Vignola Giuseppe, Vitticano Gaetano.

Di altri non si è riuscito ad avere i nomi. Anche alla presa di Roma presero parte soldati Genzanesi tra i quali: Cataldo Pasquale, Ferretti Gerardo, Di Pierro Alfonso, Lorito Nicola, Sanguine Michele ed altri non bene identificati.

I repubblicani che, pur di scacciare gli stranieri e fare della Italia un solo stato avevano aderito al governo piemontese, spesso facevano sentire la loro voce.

Infatti nella notte tra il 31 ottobre ed il primo novembre del 1867 (rapporto n. 2) venne trovata legata ad un albero una bandiera tricolore con una leggenda per ciascuna delle due facce.

L'una diceva: «L'Italia è concorde e già forte. Non teme nessuno. Viva Roma Capitale d'Italia! Morte al mal governo che non la vuole! ».

L'altra, messa dietro la figura rappresentante l'Italia, diceva: «Patrioti! L'Italia per opera proditoria di snaturati governanti sostenuti dai francesi, versa in pericolo di veder soffocata nel sangue la rivoluzione di Roma classicamente iniziata e con eroismo sostenuta dai soliti genii della guerra!  Possa la fatidica voce dell'uomo dei due mondi trovare un'eco profonda nei cuori di tutti i buoni Italiani, e più in quelli delle forze giovanili della Nazione, perché venga la patria comune liberata dagli artigli dello straniero e assidersi regina in Campidoglio «O Roma o morte!».

All'alba del giorno 12 dello stesso mese ed anno venne trovato, appeso alla porta della chiesa parrocchiale, un cartello con la scritta: « Morte al Re immorale ed usurpatore dei troni d'Italia! Viva la Repubblica!» (Rapporto N. 65).

La mattina del 19 agosto 1870, tale Spagnuolo Carmela, moglie di Michele Di Marco, colto il pretesto dell'affissione del manifesto di chiamata alle armi dei militari di I^ categoria delle classi 1842 e 1843, inveiva contro il governo e la sacra persona del re (Rapporto n. 18, in pari data).

Parte IV - Cap. XII - Don Antonio Carcuro


Altra figura degna di rilievo in questo periodo è quella di Don Antonio Carcuro, fervente patriota e scrittore di facile vena poetica.

Fece parte, col Mennuni, del primo Sotto-comitato insurrezionale con le funzioni di segretario e mantenne vivi i legami con tutti i Comitati e Sotto-comitati delle città vicine e con i Comitati centrali di Calabria, Basilicata e Puglie.

Della sua attività letteraria ci è pervenuto solo un breve opuscolo in versi stampato nel dì 7 settembre dell'anno 1861 e quindi traboccante di amor patrio.

Nei pochi sonetti si sente vibrare l'anima ardente meridionale insofferente di tirannia, e lo sdegno per le lotte fratricidi e per le odiose persecuzioni.

L'opuscolo comincia con un caloroso inno all'Eroe in camicia rossa e termina con l'Apologo del Gatto, di Domenico Bocchino, pieno di melanconiche riflessioni sulla perfidia umana.

Diversi altri sonetti composti nel 1856 non potettero essere pubblicati per il veto politico dell'Intendente borbonico: Ciccarelli.

Non risulta che abbia lasciato altre pubblicazioni.

Parte IV - Cap. XIII - Genzano nel 1896


Il malumore popolare per la mancata quotazione delle terre a Genzano spettanti per l'accantonamento e la liquidazione degli usi civici, gravanti sul territorio di Monteserico, non svanì mai.

Il popolo, che aveva bisogno di terre per lavorare, in mancanza di meglio, chiese la quotizzazione del bosco comunale «Macchia».

Pel fatto principale che detta spartizione non avrebbe in alcun modo risoluto il problema, anzi avrebbe creato pericolosi risentimenti da parte dei molti che sarebbero rimasti a mani vuote, a causa della limitatissima estensione della «Macchia», le autorità non credettero opportuno acconsentire... e menarono le cose per le lunghe.

Nel giugno del 1895 una violenta grandinata distrusse tutto il raccolto e specialmente quello delle uve che rappresentava la ricchezza della massa del popolo.

Ricordiamo, al riguardo, un episodio, che, agli occhi di noi bimbi e del popolino, passò per un vero miracolo.

Verso le ore 11 di quella infuocata giornata, un vecchio mietitore pugliese tutto sconvolto si mise a gridare sulla strada principale del paese: «Pregate, pregate, figli, la rovina è imminente; una sciagura sta per abbattersi su di voi! » Per scongiurare il triste evento, lanciava in aria la falce e faceva segni strani e pronunziava parole incomprensibili.

Infine, stanco, seguito dai ragazzi e dai curiosi, andò a inginocchiarsi dietro alla porta della Chiesa di Maria S. S. delle Grazie e si mise a piangere! Qualche ora dopo il caldo si rese insopportabile e, improvvisamente, si rovesciò su Genzano una violentissima grandinata che durò circa dieci minuti distruggendo il raccolto e danneggiando seriamente molte abitazioni.

Del super sensibile vecchio nessuno seppe più nulla.

Ai danni ed alla carestia causata dalla gragnuola, seguì una invernata eccezionalmente rigida per cui il popolo soffrì veramente la fame... e, in un momento di sconforto, tumultuò.

Le donne capitanate da tale Maria Rosa Larrone, da quel giorno appellata «La Regina Taitù», furono le prime a scendere in piazza seguite subito dalla massa dei contadini.

Il tumultuoso corteo girò le vie principali del paese chiedendo: terreni, pane e lavoro! Si pretese che il Sindaco ff. del tempo, don Giuseppe Albani, precedesse la sfilata come effettivamente avvenne.

Le autorità promisero l'immediata spartizione della Macchia e il licenziamento delle 14 guardie campestri, (la istituzione rimontava al 15-5-1859), che la vigilavano, tanto per calmare la folla che già dava evidenti segni di voler arrivare ad atti di estrema violenza.

Tuttavia non mancarono le solite rotture di vetri e, da parte dei più audaci, vennero tagliati i fili del telegrafo; però la notizia dei disordini era stata già trasmessa a Potenza, di propria iniziativa dal solerte Ufficiale telegrafico don Antonio Vignapiana.

Si dovette principalmente al tatto del maresciallo dei R.R. C.C., Stanislao Laghezza, se non avvennero violenze ed atti vandalici.

Durante la notte giunsero i carabinieri di rinforzo, ed il giorno dopo, un plotone del 23° Reggimento di Fanteria di Potenza.

Intanto i bollori erano già svaniti... e le retate cominciarono. L'elenco dei ribelli fu offerto, in modo assai ingenuo, dai medesimi dimostranti, ed ecco come.

Quando la folla invase la sede municipale ed in coro reclamò la quotizzazione del bosco, si consigliò di fare un elenco dei cittadini bisognosi che avevano maggior diritto alla spartizione.

La gran maggioranza dei dimostranti ebbe premura di farsi prenotare nel timore di rimanere esclusa dal beneficio, data la limitata estensione della «Macchia».

Sulla scorta di detto elenco, le autorità potettero identificare i responsabili dei disordini e arrestarli.

Nel processo che ne seguì, gli imputati riportarono condanne dai due ai sei mesi di carcere.

Naturalmente, come sempre avviene nei disordini, i più furbi se la svignarono e molti innocenti, molti curiosi, quelli che avevano seguito il corteo senza capire bene che cosa si volesse, o che nelle immancabili discussioni avevano trovate giuste le richieste del popolo, furono condannati.

Il maresciallo Laghezza si ebbe una medaglia d'argento.

Nel 1896 sorse il primo concerto musicale sotto la direzione del maestro Vittorio Pezzulla Basile.

Parte IV - Cap. XIV - Movimento religioso


In opposizione al movimento socialista che ormai aveva conquistato anche il nostro paese e si levava minaccioso contro la religione cattolica pel fatto principale che il clero si ostinava a voler apertamente sostenere gli interessi dei proprietari, la Chiesa Cattolica sferrò il suo decisivo attacco.

Intensificò la sua propaganda di fede, di amore, di carità, siccome aveva operato per sbarrare la via alla riforma protestante.

In breve tempo neutralizzò completamente la così detta propaganda sovversiva specialmente per la circostanza che in Genzano, come in molti altri paesi della nostra zona, non esisteva il proletariato vero e proprio, cioè le persone che vivevano esclusivamente da ciò che ricavavano dal loro lavoro.

Così la chiesa, mutando sistema di lotta, a poco a poco non solo riconquistò l'animo del popolo ma arrivò a combattere, in pubblici contraddittori, i propagatori del nuovo ordine sociale.

«I miglioramenti delle classi lavoratrici si possono conseguire a mezzo di graduali riforme senza ricorrere alle rivoluzioni, così fatali a tutte le categorie di cittadini», asseriva in un pubblico contraddittorio l' avv. Gerardo Claps e il popolo tutto applaudiva, senza riserva, a tale principio.

Gli eccidi avvenuti in molte città d'Italia anziché animare terrorizzarono la maggior parte dei nostri lavoratori che abbandonò le organizzazioni, i circoli, i comizi e fece ritorno tranquillamente nel seno della propria famiglia (1).

Terminato il pericolo, la propaganda religiosa continuò con la medesima intensità e, pel fatto che operava sulla massa del popolo più umile, e specialmente sulle donne, si cadde nell'eccesso opposto.

Così nel 1886, in seguito ad un lunghissimo periodo di dotte conferenze religiose tenute dal reverendo sacerdote Don Leonardo Susanna da Ferrandina, il fervore dei Genzanesi superò i limiti delle normali manifestazioni di fede.

Questo caso di psicopatia collettiva fece tanto rumore da meritare un accurato studio da parte del Solfanelli, lavoro pubblicato a Roma nel 1886. (2)

Ed, in vero la cosa usci dal normale, a quanto viene riferito dagli anziani del paese. A parte la circostanza singolare che tutti gli abitanti adempivano ai doveri religiosi con scrupolosa esattezza, si giunse al punto di controllare lo zelo degli stessi Sacerdoti.

Guai ai trasgressori!  Si racconta di operai strappati a viva forza dalle loro occupazioni perché al suono della campana grande non si erano precipitati in Chiesa.

Una donna, nella domenica delle Palme venne acciuffata per i capelli e scacciata dal Tempio perchè accusata di... relazioni erotiche con un salariato di Spinazzola "di dubbia fede Cattolica".

Una tale Rosa Maria Sibilinc (3) partoritasi all'alba del 25 marzo, per poco non venne lapidata perché il neonato morì tre giorni dopo senza poter ricevere il battesimo.

La casa dell'infelice madre fu piantonata per qualche tempo dalle guardie e messa sotto la diretta protezione dello stesso Sacerdote Susanna.

Infiniti altri atti di violenza si dicono consumati a Genzano in detto periodo in nome della fede, ma non potendo garantire l'autenticità, siamo costretti a non fame menzione.

Le donne... erano chi più chi meno impazzite; passavano gran parte della giornata nelle chiese senza che le famiglie avessero la forza di protestare contro l'immancabile disordine che tale sistema di vita cagionava.

Tuttavia molte cose buone si fecero. Le famiglie che da anni si odiavano si rappacificarono; alcuni usurai nientedimeno restituirono il danaro indebitamente esatto in più ai loro debitori; diverse peccatrici ritornarono alla vita morigerata della famiglia; gli amanti più o meno clandestini regolarizzarono il loro stato civile... o troncarono le loro relazioni; i figli naturali furono legittimati; non pochi trovatelli da persone generose ebbero un nome; gli oggetti rubati furono restituiti ai proprietari a mezzo del predicatore; le querele, le cause civili pendenti furono ritirate o abbandonate; le bettole e i caffè rimasero deserti; la bestemmia e il turpiloquio scomparvero completamente; per i campi, tanto nelle ore di lavoro che di riposo, le nennie campagnole vennero sostituite con i solenni e gravi inni religiosi; parve che il regno della giustizia, della pace, dell'amore fosse venuto sulla terra.

Il fascino di tale ascetismo fu sentito specialmente dalle giovanette; molte di esse si ammalarono per le privazioni, i digiuni e le penitenze a cui volontariamente sottoposero il loro organismo e non mancò qualche decesso. «Destò profonda impressione la malattia e la morte dell'avvenente signorina Amalia Mestrice, figlia dell'usciere della nostra Regia Pretura, don Rocco» (4).

Alcune signorine diedero evidenti segni di squilibrio mentale; altre fecero voto di non prendere marito... e mantennero il giuramento; altre presero il velo.

Tra queste ultime viene ricordata con speciale rispetto la giovinetta donna Rinuccia Polini soprannominata «la Santarella».

Il Susanna organizzò tutte le zitelle del paese nella confraternita laica detta «Le figlie di Maria» con sede nella Cappella di S. Antonio di Padova.

Questa fiorente istituzione ebbe vita rigogliosa ed è stata abolita da pochi anni.

Abbiamo interrogate le pochissime superstite della prima organizzazione femminile religiosa e le intervistate hanno parlato di quella confraternita e dei felici tempi in cui nacque e prosperò con rispetto e devozione grandissima.

Sempre ad opera del Susanna furono celebrate nel giovedì Santo del 1886 per la prima volta le «Tre ore d'agonia» che commossero il pubblico sino alle lacrime.

Nove anni dopo, nel 1895, in seguito alla disastrosa gragnuola, di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente, vi fu un risveglio del fervore religioso.

Si credette che quel castigo piovuto dal cielo fosse stato una meritata punizione divina per l'affievolito sentimento religioso sino al punto di permettere la chiusura della chiesa di S. Francesco.

Il popolo, quindi, a viva forza riaprì al culto la cappella che l'Ufficio del Genio Civile aveva fatta chiudere perché minacciava di crollare e portò in processione tutte le immagini dei Santi colà esistenti.

In tale occasione fece la prima apparizione l'eremita Genzanese Vito Battaglino soprannominato il «Fricicchio» che, vestito il saio, iniziò la predicazione in quel giorno.

Il Battaglino si costruì un eremo in contrada Machino ove visse solo nella meditazione e nella preghiera.

Il nostro eremita non ebbe un largo seguito come desiderava anzi venne accusato di azioni non confacenti ad un uomo pio per cui, sdegnato, non ebbe nessun contatto col popolo di Genzano.

Il 1896 si iniziarono anche i lavori di scavo a Monteserico per la ricerca della Madonna sognata dal vecchio asceta e di cui abbiamo parlato in precedenza.

Nel 1903 un altro avvenimento ravvivò il fervore religioso della nostra Genzano: la venuta della prima missione capitanata dal valente oratore sacro, padre Berardino.

Anche questa volta vi fu la stessa mania di prendere il velo da parte delle ragazze, le medesimi esaltazioni e gl'identici disordini mentali lamentati nel 1886 però in tono minore.

Ancora una volta si rappacificarono le famiglie in lite; si restituirono gli oggetti rubati; si distrussero le armi e i libri osceni o contrari alla religione Cattolica Romana.

Le coppie che vivevano nel peccato legalizzarono la loro posizione; le meretrici smisero, per qualche tempo, il loro commercio; cessarono le liti, i furti; si riconobbero i figli naturali; diverse fanciulle, senza prendere il velo, decisero di consacrare la loro vita al Signore ed in conseguenza rimasero nubili.

Alcune di esse vivono ancora e vengono indicate col nome di «bizzoche».

La massa del popolo, spinta dalle incalzanti necessità della vita, ritornò calma e tranquilla al suo lavoro, pur rimanendo di spirito profondamente religioso.

A ricordo di tale missione venne eretta, nel luogo ove furono distrutte le armi e bruciati i libri, la Croce monumentale che si ammira all'entrata principale del paese.

Nel 1910 a Genzano comparvero altri quattro eremiti, due uomini e due donne. Il capo della pseuda missione pugliese si annunziò come il Nuovo Messia sotto il nome di Giovanni della 2^ Incarnazione.

Furono accolti con fischi e grida ostili.... e poi arrestati per motivo d'ordine pubblico. Rimessi in libertà trovarono asilo nell'eremo del Battaglino e tutte le sere si recavano in paese in casa del credulo Vito ove ricevevano i fedeli e ... le loro offerte.

Se ne partirono quando le entrate vennero meno. Poco dopo apprendemmo che erano stati arrestati in provincia di Lecce perché colpevoli di non pochi reati.

Tanto per obbedire al divin precetto: «crescete e moltiplicate» si resero anche colpevoli di relazioni illecite con le relative conseguenze.

Il Battaglino, stanco della vita contemplativa. mortificato dal fatto che non aveva alcun seguito, abbandonò l'eremo e visse in mezzo al popolo da buon cristiano sino al 2-8-1930 giorno in cui passò a miglior vita.

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(1) Avvocato Gerardo Claps.

(2) Alfonso Maria di Nela da Gragnano. Lettera del 24-7-1944 diretta al Sindaco di Gemano Troiano Ernesto e Lettere del dì 8-9-45 diretta allo scrivente. Non siamo riusciti ad avere esatte notizie di tale pubblicazione.

3) Non risulta dai registri dello Stato Civile.

(4) Bonifacio Vincenzo.


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