L'insurrezione del Mezzogiorno
Il vasto piano insurrezionale da tempo preparato nel mezzogiorno e nella Basilicata è attuato quando Giacinto Albini ottiene dal Comitato Centrale dell'Ordine di Napoli l'approvazione del suo disegno strategico d'insurrezione.
La mattina dell'11 agosto 1860, l'Albini lascia Napoli insieme a Nicola Mignogna e Camillo Boldoni e trasferisce il centro d'azione a Corleto Perticara. Qui il Comitato di insurrezione affida il comando generale di tutti gli insorti al colonnello Boldoni; mentre Genzano, che, rappresenta il settimo sottocentro, affida il comando militare al Mennuni, che con il sottocapo Giuseppe Polini guida a Potenza anche gli insorti di Banzi, Maschito, Palazzo, Montemilone, Venosa, Lavello e Forenza a cui si aggiungono parecchi Spinazzolesi al comando di Vincenzo Agostinacchio e del sottocapo Vincenzo Spada.
La colonna di Genzano e Banzi, forte di circa 90 uomini, è seguita da quella di Maschito con 36 insorti al comando di Ferdinando Manes, di Venosa con 17 insorti guidati da Vincenzo Troccoli, di Lavello con 25 insorti al comando di Giovanni Robbe ed infine il gruppo di Forenza al comando di Filippo Pignatelli.
Il Mennuni, nella mattina del 18 agosto, giunto sulle alture di Monticchio, nei pressi di Potenza, si accampa per aspettare un segnale prestabilito per attaccare i borbonici.
A Potenza, intanto, il presidio militare borbonico, sotto il comando del capitano Castagna, è assalito dagli insorti potentini, per cui il Mennuni è invitato da Giovanni Corrado e Rocco Brienza a recarsi immediatamente nel capoluogo, da dove è appena uscito il presidio borbonico di quattrocento gendarmi, che si ritira verso Pignola, dove è definitivamente disarmato dalle guardie nazionali di Tito e Picerno. Con l'allontanamento del presidio militare viene costituito a Potenza un governo prodittatoriale che indirizza alle popolazioni il proclama:
VITTORIO EMANUELE - RE D'ITALIA IL GENERALE GARIBALDI - DITTATORE DELLE DUE SICILIE
II governo prodittatoriale in vista delle mene reazioni dei nemici della Patria, i cui tristi effetti si sono verifìcati in diversi paesi della provincia, in vista dell'ultimo attentato della gendarmeria contro la guardia nazionale e contro inermi cittadini di questo capoluogo, DICHIARA 1) di essere legittimo lo stato di insurrezione in cui la provincia è messa ED ORDINA 2) che sia affidato il comando dell'esercito patriottico al benemerito colonello Camillo Boldoni, 3) che sia immediatamente istallata una giunta insurrezionale in tutti i municipi della provincia, composta di tré individui noti per fede patriottica ed energia i quali saranno scelti da commissari a ciò delegati e muniti delle necessarie facoltà. 4) La giunta municipale, così stabilita, ha tutti poteri necessari: 1. per poter eseguire tutte le disposizioni che emaneranno dal governo prodittatoriale; 2. per mantenere l'ordine inteno; 3. per rispondere ai bisogni della insurrezione con mobilizzare immantinenti un terzo della Guardia Nazionale, con aprire liste di volontari, formare una cassa del pubblico denaro ed altre offerte spontanee e con provvedere che il municipio tenga a disposizione della Patria uomini, armi e munizioni. Potenza il dì 19 agosto 1860 Pel dittatore Garibaldi: I prodittatori N. Mignogna, G. Albini I segretari: Gaetano Cascini, Rocco Brienza, Nicola Maria Magaldi, Giambattista Matera |
Anche in Genzano è costituita la Giunta Insurrezionale alla cui presidenza è chiamato Federico Mennuni, mentre il fratello Davide assume le funzioni di vicepresidente. Terzo componente è eletto l'avvocato Antonio Carcuro, con funzioni di segretario.
Aggregati alla colonna degli insorti Forenzesi vi sono anche Carmine Crocco, capraio di Rionero, Vincenzo Mastronardi detto Staccone, barbiere di Ferrandina, e Michele Di Biase di Ripacandida i quali, ponendosi al servizio del nuovo governo, sperano di redimere un passato oscuro segnato da furti condanne, evasioni, ecc...
Più tardi il Crocco, nel suo interrogatorio al processo, si difenderà esponendo il problema nei seguenti termini: "per tutta l'invernata stetti nascosto nel bosco di Monticchio. Venuta la primavera commisi, lo confesso, perché Crocco nulla nega, vari reati unito ad altri due compagni Vincenzo D'Amato (Mastronardi) e Michele Di Biase. Nel 18 Agosto io mi unii ai volontari capitanati dal Mennuni e mi recai con gli altri in Potenza, dove fu proclamato la decadenza dell'antica dinastia ed inaugurato il governo dell'Italia una con Vittorio Emanuele. Ricordo che in quella occasione mettemmo in fuga tutti i gendarmi e li inseguimmo fino alle vicinanze di Pignola. Nel dì seguente il capitano Davide Mennuni, il signor Attanasio Santangelo di Venosa e Pasquale Corona di Rionero, presentarono me ed i miei due compagni alla giunta presieduta dal colonnello Boldoni (convocata da costui), che era stato qui mandato da Garibaldi.
In prosieguo io e miei compagni facemmo parte dei volontari di questa provincia che andarono a riunirsi in Auletta ai battaglioni di Garibaldi che venivano dalle Calabrie.
Seguimmo il generale a Napoli, Santa Maria Capua, Ponte della Valle, ecc. e prendemmo parte alle battaglie della patria indipendente. Finita la guerra avemmo il debito congedo e venimmo qui a Potenza a presentarci al governatore signor Albini, il quale ci assicurò che si sarebbe tirato un velo sulle nostre colpe passate.
Costui però non si attenne alla promessa, perché dopo un mese, verso la fine di dicembre o i principi di gennaio, sapemmo che da quello stesso governatore era stato spiccato ordine di presentazione, per doversi trattare la nostra causa, con minaccia che altrimenti saremmo stati arrestati, e con promessa dall'altra parte che si sarebbe tenuto conto dei servizi da noi prestati. Non essendoci stata ottenuta la prima promessa noi non credemmo alla seconda".
Nel corso del suo interrogatorio, il Crocco, giustifica, dunque, la sua latitanza e la sucessiva ribellione per la promessa, non mantenuta, di una riabilitazione per tutti i reati commessi precedentemente.
L'asserzione sostenuta dal Crocco non è priva di fondamento, poiché, a seguito delle disposizioni del procuratore generale di Potenza, impartite al giudice di Barile Francesco Paolo Benfanti, di istruire un regolare processo contro il Crocco, accusato di aver sequestrato Michele Anastasia di Ripacandida, il giudice in questione risponde nei seguenti termini:
"... tanto premesso, ho creduto del mio dovere, il tutto assegnare alla di Lei autorità pregandola compiacersi dirmi il come regolarmi in tale bisogno, mentre parmi non potersi procedere contro il Crocco e compagni, stante l'assegnata posizione e che tali individui si trovano presenti ed a prestare servizio dietro ricevuta d'assicurazione".
La perplessità del Giudice Benfanti, derivante dalla nuova posizione del Crocco, che si trova alle dipendenze del sottoprefetto Decio Lordi e al quale rende utili servizi, è presto fugata dalla risposta, chiara e perentoria, non più del Procuratore Generale, ma da quella del capo della Provincia:
Potenza, 17 settembre 1860 Signore, ho letto il suo rapporto dell'11 volgente mese, numero 475, ed in riscontro le manifesto che in mancanza di legale disposizione del Governo prodittatoriale a favore degli imputati Crocco ed altri Ella deve istruire regolarmente a carico dei medesimi, per quindi tenersi conto dei loro servizi a tempo debito. "Per Governatore Generale" Giacomo Racioppi |
Venuto, dunque, a conoscenza dell'istituzione del processo a suo carico e non fidandosi più della seconda promessa, accennata dal Racioppi nel rapporto precedente, Crocco sfugge alla cattura, rendendosi latitante, e riprende a percorrere le boscaglie di Monticchio, ricettacolo sicuro e impenetrabile.