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.il borgo medioevale di Monteserico (*)

 

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Il castello sorge in un sito che a partire già dal X secolo era terra di confine tra i territori bizantini della media e bassa valle del Bradano e quelli, prima longobardi e poi normanni, del nord-est della Basilicata.

Inoltre, come si evince anche dalla interessante descrizione topografica che si fa in un documento della metà del XII secolo (C.R. Bruhl, Rogerii II. Regis diplomata latina), Monte Serico era ubicata in una posizione strategica, a guardia di un incrocio di quattro direttrici viarie. Una conduceva alla Murgia Alta, che in età normanna contava già numerosi ed importanti centri demici, come Poggiorsini e Gravina, e insediamenti fortificati tra cui il castello di Garagnone.

Un’altra strada "quae venit ab Acheruntia" collegava Monte Serico con Genzano, Banzi e naturalmente Acerenza. Verso sud e verso nord, infine, correvano due tracciati che portavano l’uno a Montepeloso, ricalcando forse quel tracturus, di cui parla il Fortunato, che seguiva il confine tra Puglia e Basilicata, l’altro ai casali di S. Gervasio e Cervarezza, intercettando la via que venit a Spinacciola ad casale Cervaricium.

I tratturi confluivano, poi, in altre strade importanti, come la via Appia, che passava per i centri di Spinazzola, Poggiorsini, Minervino, Gravina e Altamura, la via venusina e la via que tendit versus Florentia (Forenza). Altre adduzioni secondarie, le cosiddette stratellae, intersecavano le vie principali.

A quel tempo doveva esservi anche un centro abitato su quel colle, come testimonia l’esistenza di un certo Tommaso di Monte Serico, notaio a Bovino, che compare in uno strumento notarile rogato nel 1100 o come dimostrano le numerose chiese che sorgevano sul suo territorio. A tal riguardo, nel documento sopracitato, veniamo a conoscenza di ben quattro chiese in tenimento Montis Solicole ("ecclesia Sancti Angeli, ecclesia Sancti Iohannis, ecclesia Sancte Marie de Campano et ecclesia Sancte Marie de Anadigito" ) che Ruggero li restituiva al monastero benedettino di Banzi, dopo che le stesse erano state sottratte dai Normanni, ai tempi di Roberto il Guiscardo. Se dovessimo rapportare la consistenza abitativa al numero delle chiese esistenti nel territorio, potremmo senz’altro affermare che Monte Serico era uno dei più importanti centri della zona, probabilmente secondo a Banzi ma non a Genzano.

Ma questo dato è meno significativo se si considera che le chiese potevano sorgere non necessariamente all’interno della cerchia urbana. Se è vero questo, indiscutibile appare l’importanza di Monte Serico nella geografia religiosa della Basilicata e della Puglia, tra alto e basso medioevo, specie se si considera che agli inizi del XII secolo, fu qui di passo San Guglielmo di Vercelli. Il fondatore della Congregazione dei Verginiani, vi soggiornò per ben due anni, "presso un milite di nome Pietro", operando anche il suo primo miracolo quando donò la vista ad un cieco.

Ad eccezione di una chiesa, peraltro dedicata a S. Andrea, non esiste traccia visibile di edifici religiosi. La fotointerpretazione aerea, al momento, ci ha fornito solo alcuni indizi da approfondire tramite prospezioni geoelettriche che caratterizzeranno la fase successiva di indagine sul sito. Non è improbabile che qualcuna di tali chiese si trovasse all’interno delle grotte che sorgono sul versante meridionale della collina, dove si segnalano numerosi resti di ossa umane.

Intanto il castello, dopo la parentesi legata alla battaglia, che rappresentò uno degli eventi decisivi prima della definitiva presa di potere dei territori pugliesi e lucani da parte dei Normanni, è di nuovo documentato, per quanto riguarda la sua esistenza, in età sveva. Fu intorno al 1240 che Federico II, come è noto, emanò lo Statutum de reparatione castrorum che conteneva un elenco dei castra, delle domus e dei palatia a cui bisognava garantire una manutenzione con il contributo degli abitanti delle università vicine. Tra le 29 opere fortificate individuate nell’attuale Basilicata vi era anche la domus di Monte Serico, del cui stato di conservazione dovevano avere cura i soli abitanti del luogo.

Dunque esisteva ancora un centro abitato i cui homines bastavano a contribuire o in natura o in danaro alle necessarie opere di manutenzione ordinaria e a quelle eventuali di riparazione della costruzione più importante. Quest’ultima non era più un castrum,cioè un’opera dalla funzione esclusivamente militare. La ragione della sua esistenza e della nuova destinazione d’uso va collegato allo sfruttamento delle risorse agricole in quel ricco territorio, allora del demanio regio, che abbracciava la valle di Vitalba, le pendici del Vulture, la Murgia Alta e, a nordest della Basilicata, uno dei più ricchi granai del Regno, la Capitanata. Non è un caso che nei dintorni di Monte Serico vi fossero quasi esclusivamente domus.

In età angioina il castello era una delle masseriae Curie. Nei suoi tenimenti si coltivava il grano e la farragine per i cavalli della curia. Il castello diventò, cosi come il Palatium regii manfrediano di S. Gervasio e le masserie o domus di Policoro, Laterza e Leonessa, un’importante azienda per la selezione di razze equine, rimanendo tale, probabilmente, fino all’età aragonese. Nei primi anni del regno angioino Monte Serico apparteneva a Goffredo de Monte Selicola al quale succedette, nel 1275, il figlio Raynaldo.

A cavallo dei secoli XIII e XIV i feudi passarono, probabilmente, nelle mani di Guglielmo del Bosco, il quale sposò Aquilina Sancia che al tempo del testamento del 1327 era ancora la Domina de Monte Sericola.

Intanto l’università, come si evince dai Cedula taxationis del 1277, denunciava un numero di fuochi considerevole se confrontato con quelli di tanti altri centri demici circostanti, come, ad esempio, quello di Genzano che pagava, infatti, 13 once, 16 tari e 16 grani contro le 22 once e 27 tari dell’università di Monte Serico. L’economia del contado si basava soprattutto sull’agricoltura e sulla pastorizia ma non mancavano le attività artigianali come quella edile, come testimonia la presenza di un certo Bisancius de Montesilicola tra i magistri fabricatores e incisores lapidum chiamati a lavorare nella fabbrica del castello di Melfi nel settembre del 1279. Se allarghiamo, poi, il nostro campo temporale di osservazione ai primi decenni del ‘300, dal testamento del 1327 sappiamo anche di un notaio, un certo Pantaleone di Monteserico, e di una nutrita comunità religiosa che nella prima età angioina dipendeva, per il pagamento delle decime, dalle diocesi di Matera ed Acerenza. Nelle Rationes decimarum del 1310 il Clerus era tenuto a pagare quindici tari, che rimasero tali nel 1324, a carico sempre dei clerici e dell’archipresbitero di Montis Celicole.

Al primo quarto del XIV secolo risalgono gli ultimi documenti prima della scomparsa definitiva del sito urbano. Da essi non si ricavano indizi su un decremento demografico in atto, come avviene per molti altri centri abitati della Basilicata. Dalla tassazione focatica del 1320, infatti, si rileva la diminuzione di appena un fuoco rispetto a quella del 1277. Nel 1327, inoltre, il poggio mostrava essere ancora abitato come si evince dal testamento di Aquilina Sancia.

Ma in età aragonese Monte Serico non compare più come centro demico da cui esigere tasse in ragione dei fuochi esistenti. Le fonti non ci illuminano sulle cause dell’abbandono del sito urbano di Monte Serico. I suoi abitanti, probabilmente, si insediarono nei centri limitrofi come Genzano, che dall’età proto angioina a quella aragonese subì un costante aumento demografico, o Spinazzola che raddoppiò il numero dei fuochi dalla tassazione del 1320 a quella aragonese.

II castello seguì le sorti dell’abitato e nel 1501 era poco più un riferimento topografico, il castrum dirutum Montis Sericolae.

Ricostruzione dell’habitat e della forma urbis

La fotointerpretazione aerea del borgo medioevale

II castello sorge a circa 542 m. s.l.m. sui margini occidentali di un colle che domina un vasto paesaggio collinare, delimitalo ad oriente dall’alta Murgia e caratterizzato dalla presenza di molti centri demici, quali Genzano e Banzi ad W, Acerenza a SW, S. Chirico Nuovo a SSW, Irsina a SSE.

A settentrione, invece, la morfologia più tormentata nelle immediate vicinanze del castello e le numerose cime collinari, che gareggiano in altezza con quella di Monte Serico, rendono poco accessibili alla vista gli abitati di Palazzo e Spinazzola.

La prospezione di foto aeree nadirali, realizzate per scopi cartografici, ci consente di osservare i tratti morfologici connessi ai processi di antropizzazione del sito che risalirebbero per lo meno all’alto Medioevo, come testimoniano le fonti, o molto prima, come ci segnalano i rinvenimenti di reperti archeologici di varie età.

Il castello insiste sul ciglio di tre versanti molto acclivi e poco adatti a costruire anche a causa dei grossi massi rocciosi che affiorano. La scelta topografica consentiva di avere dei fronti già fortificati dalla natura e rendeva disponibile ad ulteriori insediamenti un falsopiano posto ad est del castello e il fianco meridionale del colle, in lieve pendenza. Qui, ancora oggi, è possibile osservare le tracce murarie, al livello delle fondazioni, di numerose fabbriche facenti parte del sito urbano di Montis Solicolae la cui esistenza, come è stato già rilevato, risalirebbe per lo meno all’ XI secolo.

Dalle immagini aeree si ha la netta sensazione che il falso pianoro sia il frutto di opere di sterramento realizzate via via che il caseggiato si espandeva. La fotointerpretazione aerea dell’area indagata si è basata sulla lettura delle differenti colorazioni derivanti o da anomalie di accrescimento della vegetazione (crop-marks) o dalla differente quantità di umidità nel terreno (damp-marks). Le coperture aeree risalgono al mese di settembre quando le colture di tipo spontaneo, che troviamo sul colle, hanno ormai superato il livello massimo di crescita. Nonostante questo, la maggiore quantità di humus al di sopra di antichi fossati colmati rispetto alle parti di terreno che nascondono strutture sepolte favoriscono una vegetazione più vigorosa che dall’alto assume una colorazione più scura. L’osservazione monoscopica e stereoscopica dei ‘segni’ e il successivo ‘trattamento’ di filtraggio numerico delle immagini in formato raster (una sorta di setacciatura calibrata dei differenti livelli di grigio), hanno consentito di scoprire una estesa maglia urbana che interessa buona parte del fianco meridionale del colle. Tracce di fondazione, che a tratti si confondono con cumuli caotici di pietrame derivanti da fabbriche dirute, già consentono di individuare parte di questo impianto urbano anche ad altezza d’uomo. Il materiale lapideo affiora soprattutto laddove il versante si fa più ripido e quindi più soggetto all’azione erosiva del ruscellamento dell’acqua meteorica che nel tempo non ha consentito una completa copertura vegetale delle strutture e dei fossati. In cima alla spianata, però, l’humus ha avuto meno ostacoli a coprire le opere murarie. Non è improbabile che, se si dovessero eseguire degli scavi, laddove oggi osserviamo con maggiore evidenza le fondazioni delle fabbriche potremmo scoprire meno cose che in zone individuate solo grazie alla osservazione dei crop e dei damp-marks. Sulla collina si prevedono altri voli, questa volta a bassa quota, che possano consentire, con materiali sensibili adeguati, di cogliere tutte le possibili anomalie sul suolo al mutare delle condizioni di illuminazione, delle quote relative e degli angoli di osservazione.

Alla confluenza dei versanti S ed E si segnalano chiare tracce riconducibili ad una probabile cinta muraria di lunghezza pari a circa 80 metri e nei suoi pressi una costruzione di rilevanti dimensioni, edificata iuxta moenia. All’estremità orientale del crinale sorge un edificio dalla forma rettangolare che è ciò che rimane di una chiesa dedicata a Sant’Andrea, che compare nel già citato testamento di Aquilina Sancia del 1327. Nelle vicinanze, sul ciglio del fianco nord, notiamo altri segni che individuano un corpo di fabbrica. La notevole differenza di tonalità di grigio, tra il contorno e l’interno della figura, e la forma quasi circolare destano molto interesse. Questo è il caso nel quale la tonalità più scura, riconducibile ad un elevato spessore del terreno, è dovuta alla maggiore quantità di umidità rispetto al contorno più chiaro interessato, probabilmente, da opere murarie.

Ancora prima dello scavo le prospezioni geoelettriche potranno darci ulteriori informazioni su tale anomalia. Potremo, cioè, sapere se si tratta di un vano ipogeo o strutture murarie di fondazioni profonde, magari riferibili ad una torre di fiancheggiamento delle mura.

La fotointerpretazione aerea, con il supporto dell’elaborazione digitale delle foto, sta consentendo di ricostruire, nei suoi lineamenti generali, la forma urbis dell’abitato medievale.

Dal modello stereoscopico virtuale si riesce a distinguere quelle tracce riconducibili al reticolato viario da quelle relative alle fondazioni di opere murarie. In questa fase si sta cercando con un’analisi di tipo morfologico di individuare, nel tessuto urbano, impianti riferibili ad emergenze architettoniche, quali chiese e complessi monastici. In più, l’elaborazione digitale delle immagini, mediante operazioni di filtraggio bidimensionale, sta portando alla luce tracce e contorni relativi a variazioni di crescita delle associazioni erbacee e di umidità del terreno che i grani dell’emulsione fotografica non mettono in chiara evidenza.

È evidente che le questioni relative alle singole parti dell’impianto urbano potranno avere risposte più precise nelle fasi successive della ricerca, a partire dalla campagna di prospezioni geofisiche che l’Istituto Internazionale di Studi Federiciani avvierà insieme con altri istituti CNR delle aree di ricerca di Potenza e Roma.

Una prima ricostruzione grafica ha messo alla luce una forma urbis, a ‘mantello triangolare’, che insiste per buona parte sul versante S. Ai vertici della figura pseudo-triangolare abbiamo il castello, ad W, la chiesa di Sant’Andrea, sul ciglio dei versanti N ed E, e la connessione tra due tratti di opere murarie a SE. La maglia urbana appare svilupparsi in maniera blandamente radiocentrica intorno alle tracce di un isolato dalla forma quadrangolare di rilevanti dimensioni, posto all’interno della curva a gomito dell’attuale stradina di accesso al castello. La forma, l’ampiezza, la posizione costituiscono degli indizi, da verificare in maniera scrupolosa, sulla presenza in quel punto di un complesso architettonico che si contraddistingue dalla maglia urbana adiacente. Se sia una chiesa o un monastero non vi sono sufficienti dati per affermare, se non in via ipotetica.

Quanto detto è sufficiente a tratteggiare in linee generali una configurazione urbana, caratterizzata dalla posizione marginale del castello rispetto al borgo murato, come in molti centri di età normanna. Inoltre, da quanto detto, emergerebbe un disegno urbano dominato da almeno tre poli. Il castello ad O, il polo religioso a NE, un terzo, non meglio identificabile, a SE alla congiunzione di due tratti della presunta cinta muraria. In particolare, il castello e il presunto ‘polo religioso’ al vertice NE costituiscono i riferimenti topografici rispetto ai quali si sviluppa la trama urbana. Il reticolo viario del versante meridionale si sviluppa lungo le curve di livello intorno al suddetto ‘polo religioso’. Man mano che ci spostiamo verso occidente la maglia radiocentrica perde forma, restringendosi in direzione N-S. a causa della impervia situazione topografica, ed allungandosi verso il castello.

Quanto illustrato riguarda l’abitato medievale di Monte Serico.

Il poggio, oggi noto per la presenza del castello, riserva, inoltre, altri motivi di interesse, come le grotte che si aprono sul versante meridionale ai piedi dell’abitato.

Tracce di opere murarie e il rinvenimento di ossa umane non lasciano dubbi sulla loro antropizzazione. La ricerca, a tal riguardo, tende a far luce sui rapporti topografico-funzionali tra l’habitat rupestre e quello urbano. Non si trascurano altre piste legate alla probabile presenza in questi luoghi di monaci italo-greci, della cui trattazione si rimanda a successivi e specifici approfondimenti.

Altre tracce che denotano anomalie di accrescimento della vegetazione a carattere spontaneo si trovano ai piedi del fianco occidentale. Esse hanno un andamento sostanzialmente rettilineo e consistono in quattro linee tessute nella direziono SW-NE, intersecate da un’altra posta in diagonale. Rispetto a quelle rilevate sul fianco meridionale queste tracce, allo stato attuale delle ricerche, non consentono notazioni più precise di carattere morfologico che possano riferirsi ad eventuali insediamenti demici; ciò, probabilmente, a causa di un più intenso utilizzo agricolo del suolo che ha coperto i segni di altre strutture. Il rinvenimento di elementi ceramici e metallici risalenti ad un arco temporale che abbraccia per lo meno l’età classica lascia aperta l’ipotesi che tali tracce possano riferirsi ad un insediamento ben più antico di quello rilevato sul colle.

Se ciò venisse appurato riscontreremmo, ancora una volta, in Basilicata l’esistenza in uno stesso sito di due tipologie insediative risalenti a tempi molto lontani tra di loro: l’una a monte di età medievale, l’altra a valle di epoche precedenti.


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(*)  Fonte: N. Masini, Tarsia 16-17