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.il Castello di Monteserico

Il Castello è stato descritto da Filippo Laccetti (“Il castello di Monteserico” in “Napoli Nobilissima”, vol.XII, Napoli 1903). Se ne riporta un brano.

A sud-ovest del punto in cui il confine della provincia di Bari e quella di Basilicata, lasciata la natural direzione sud-est piega, senza giustificazioni geografiche, a nord-ovest, cioè, lasciato il Basentello raggiunge per un momento il torrente Rovinieri, si distende la fertile contrada di Monte Serico, formata di più alture fra cui è intercetto il piano della Regina con la masseria omonima, feconda di pingui raccolti. Sulla cima più alta è il Castello detto propriamente di Monte Serico e forma punto trigonometrico corrispondente a 40° 51' 15'' di latitudine e 16° 3'' 42' di longitudine est dal meridiano di Monte Mario.

Posto a 557 metri di altezza sul mare, esso castello domina le campagne circostanti per lunga cerchia, specialmente verso nord-ovest in cui lo sguardo, per la valle tra Palazzo e Spinazzola, si allunga fino a quello che fu il fresco e vario bosco di Montemilone. Esso è circondato a breve distanza dalle vette di minori colli fra cui Monte Cucolo (...). 

Più lontano di queste vette, si distendono le brevi cittadine che la storia non ignora: Montepeloso a sud; la gloriosa Acerenza, il fiero Genzano, Palazzo dalle regie razze e Spinazzola dai problematici demani ad ovest; e ad est, quella città di Gravina (...). Ben modesto, questo nostro castello di Monte Serico per architettura e per mole, rispetto al glorioso Castello di Santa Maria del Monte, non è secondo ad esso per altitudine e vetustà.

Apparisce allo esterno qual si ritiene fosse stato il tipo del Castello ai tempi dei normanni, cioè è fatto di ampia massa quadrata foggiata a scarpa od a larga piramide di sotto, e proseguita, di sopra, da maschio parallelepipedo di poca altezza; mentre al centro di detta massa si alza, isolata, una torre quadrata. Esso Castello è posto in fondo alla breve spianata che corona il colle; diciamo in fondo a significar che detta spianata, con ubicazione perfettamente simile a quella di Castel del Monte, si estende tutta dinanzi al Castello, mentre alle spalle ed un po’ ai fianchi di questo, il colle stesso ha rapida la costa ed inaccessibile ai cavalli.

Allo inizio di detta spianata sorge pure una picciola chiesa, unico segno spirituale dei dintorni e che ogni anno si apre a messa nel di del patrono. Essa è però priva in tutto di importanza artistica, importanza che ben conserva, viceversa, il Castello.

Si accede ai locali terranei di questo od antiche stalle, tutt’ora direttamente; mentre alla rocca interna, il cui piano è sollevato dal suolo, si sale per ponte in fabbrica preceduto da rampa ed imboccante il portale all’altezza quasi del primo piano, ponte evidentemente aggiunto, e portale reso moderno -un’ornia in pietra ad arco a tutto sesto gli diede il secolo testé decorso- per comodo di traffico, ma in disarmonia con la massa vetusta.

Allo interno, poi, un’angusta corte anulare quadrata separava tutto, ed or separa solo in parte, il maschio centrale dalla massa esterna che lo ricinge, e questa, portante di sopra, in addietro, i primi spalti protetti -dei quali restano due splendidi ed imponenti piombatoi- reca, oggi, terrazze ampie e comode.

La torre centrale, che conserva di antico tutta la muratura esteriore è fatta oggidì a due piani.

Al pianterreno la pianta è bipartita parallelamente alla parete di ingresso con un arcone massiccio a sesto ellittico od allungato a manico di paniere, arcone che sopporta nel bel mezzo, la volta dell’ambiente fatta a botte ma a sesto acuto: sotto di questo ambiente è, poi, murato un serbatoio stagno, raccogliente le superiori piovane. In fondo all’angolo si sinistra si apre l’accesso ad una scaletta a chiocciola ricavata nel muro, ed ha tutti i caratteri dell’antico costrurre, fatta com’è fino al primo piano di masselli in pietra, girevoli e salienti intorno all’anima che pur di essi fa parte.

A metà altezza di detta scala si osserva come il rinfianco della volta di pianterreno non è occupato da muro, cioè è vuoto in due cunicoli come a dire di rifugio o di prigione, o d’altro scopo imprecisabile, se pure essi non sono semplici risultanze costruttorie per alleggerire la fabbrica.

Il primo piano della torre, da poco restaurato, è ripartito in tre e non conserva alcuna traccia di antico; accurato intonaco fa gli ambienti confortevoli allo sguardo e ben presto gli arredi villereschi di che gli attuali proprietari li orneranno, ne faranno gradita dimora estiva.

La scaletta a chiocciola che si continua fin sopra, con gradini non più in pietra ma di legno in forte essenza, mena alla più alta terrazza, donde lo sguardo si allunga libero alle urbetose vicinie (...). 

Abbiamo detto, più su, che si hanno nel castello di Monte Serico due splendidi esempi di antichi piombatoi, ed infatti, assai interessanti sono quelli che vi restano sulla parete esterna di sinistra. Fatti a mo’ di luci protette da ampia gabbia posata su mensole leggiadramente profilate ed assai sporgenti, questi piombatoi ci colpirono per la perfetta analogia che danno con i veroni del primo rinascimento architettonico (...).

Chiudendo questi cenni non ci resta, ora, che menzionare le ultime gesta di cui il nostro Castello fu spettatore, siccome ci venne narrato dal fedel custode abruzzese che or lo tiene; gesta compiutevi or è pochi anni da assai abitanti di Genzano.

Costoro, che vantano non sappiamo qual diritto spirituale sulla cappella da noi menzionata e che sorge sulla cima del colle presso il Castello, rincuorati dal sogno di un di loro, vecchio di anni ed assai fervido della venerazione del piccolo santuario, si recarono in massa al Castello e si dettero, con ardor vivissimo, a scavare, fin sono di esso, il fianco settentrionale del monte, per ricercarvi non sappiamo bene se immagini sepolte o quei tesori di cui è sempre cupida la fantasia popolare. E protrassero essi tanto, e per tanti dì, lo scavo, nulla mai rinvenendo e ad onta delle proteste dei guardiani del privato terreno, che ne risultò una ben profonda ed estesa trincea o squarcio nel masso, fatto di concrezione brecciosa, su cui il Castello si sta, squarcio che è oggi una lesione fastidiosa alla solida cima rimasta già per tanti secoli inintaccata.

Ma tant'è! che le leggende di cunicoli sotterranei ricollegati castello a castello, ritornano perennemente nelle credule menti a dare, con la visione eroicamente dilatata dei tempi passati, il desiderio molesto di ritogliere, ad essi tempi, dovizie che paiono solo smarrite, mentre non furon mai prodotte, nè noi, per nostro valore, cerchiamo altrimenti di produrre!

Napoli, aprile 1905. Filippo Laccetti

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