Ettore Lorito - SOTTO L'ARCO DI EROS - PARTE QUARTA

            

Disperato tentativo


La contessina, ritornata al castello di Monteserico, rimase a letto per qualche settimana tanto il sistema nervoso era stato scosso dalla profezia, che così bene rispondeva ai suoi tristi presentimenti.

Per uno spontaneo moto del suo animo di fanciulla generosa, giurò d i non rivedere più il fratellastro che stava per lasciare il castello per motivi di studi e, col pretesto della malattia, per qualche tempo, non gli permise nemmeno di venire a farle visita.

Ma quante lacrime, quanti sacrifici, quante torture le costarono quelle rinunzie, in tale situazione penosa la vita le parve insopportabile al punto che decise di farla finita, una buona volta. Infatti, a tarda ora della notte precedente il giorno fissato per la partenza di Rodolfo, Clotilde uscì. dal suo appartamento per compiere l'atto disperato.

Nel passare dinanzi alla stanza ove dormiva il fratello, le gambe le tremarono e non ebbe più la forza di proseguire, si inginocchiò e baciò la soglia della camera, che racchiudeva, e solo per poche ore ancora, l'oggetto del suo pazzo sogno d'amore, come se fosse stata quella di un santuario che non si debba mai più rivedere.

Rialzatasi a stento, si trascinò sino alla vicina terrazza, è notte di plenilunio estivo che innalba la terrazza, il sottostante giardino e parte della valle « Cerverizza » profonda, come un abisso senza fondo.

La contessina si sporge sulla balaustra e si china per scrutarla, una maligna voce le sussurra: « Chiudere gli occhi, inchinare la persona, cadere, cadere, cadere all'infinito come quando si sogna dormendo a sinistra sul cuore... e tutto finirà ». Aveva la fronte grondante di sudore freddo e sentiva sul cuore una strana oppressione; era stanca, sfinita.

L'amore l'uccideva e non riusciva più a sopportarne le smanie, Clotilde, come soggiogata dal misterioso invito, poggia il petto sullo spessore largo della balaustra giacendo quasi bocconi sull'orlo, col viso proteso nel vuoto, ma ha paura di quel abisso dal quale salgono voci, suoni e rumori strani.

La sua mano corre, istintivamente, al petto e stringe lo scapolare, con l'effige della Madonnina di Monteserico, avuto in dono dalla forosetta Caterinella, alla quale la contessina aveva salvato la vita mentre stava per annegare nelle acque del pantano.

A quel contatto, le gambe si afflosciano e, come spinta da una forza misteriosa, Clotilde cade riversa sulla terrazza rimanendo priva di sensi. Non seppe mai quanto tempo stette li, come o da chi fu trasportata nella sua stanza.

Una febbre altissima, con delirio, tenne la contessina a letto per molto tempo in gravissime condizioni, la zia ne era preoccupata specialmente perché non si sapeva spiegare lo stato di abbattimento morale della nipote, che era stata sempre di carattere vivace e di umore gaio.

Ma le cure amorose, la vita all'aria libera, le risorse della giovinezza, la lontananza di Rodolfo, a poco a poco, ebbero ragione del male, lo stato di salute della contessina migliorò di giorno in giorno a guisa di un fiore delicato che, intristito dall'aria umida e gelida della notte, riprende il suo splendore con i primi raggi del sole.

Un giorno in cui Clotilde era di umore allegro e già in piena convalescenza, la zia le mostrò una lettera giunta da Genzano qualche settimana prima ed alla quale non aveva potuto rispondere, la contessa lesse ad alta voce:

Signora contessa zia,

Non mi rivolgo a madamigella, la contessina, perché non so quali siano le sue attuali condizioni di salute... e di umore.

È passato circa un anno e non sono riuscito a fare un solo passo avanti sulla via della sognata mia felicità. Incoraggiato dalla generosa promessa qui fattami, mi permetto pregarla perché mi faccia conoscere se io possa ancora sperare o se mi debba mettere, definitivamente, l'animo in pace, abbia la bontà di ossequiare la cuginetta.

La ringrazio vivamente e le bacio la mano.

Il devotissimo nipote

 

Clotilde rimase pensierosa e non diede alcuna risposta, la zia creddette opportuno lasciarla sola a meditare sulla decisione da prendere, per tutto il resto della giornata, nessuno accenno venne fatto in merito alla lettera.

Verso sera Clotilde si chiuse nella sua stanza e, con mano tremante per la grande emozione, scrisse:

Signor marchesino, Rispondo in luogo della signora zia.

È vero, sono una fanciulla strana, come dicono le persone a me più care, forse perché non ho mai pensato ai problemi più seri della vita, non mi sento sufficientemente preparata ad affrontare un evento così importante quale è il matrimonio, in ogni modo, l'aspettiamo nell'entrante settimana, anche per festeggiare la mia completa guarigione.

    Con affettuosa stima,

la cuginetta Contessina Clotilde

 

Durante la cena consegnò, aperta, la lettera alla zia e la pregò di comunicare la decisione presa al fratello stabilitosi a Napoli per completare i suoi studi. Così, l'infelice fanciulla, sperava di liberarsi definitivamente della mostruosa passione che la tormentava, sposando il marchesino, senza amarlo.

Lo sponsalizio


Per diversi mesi, i preparativi delle nozze, i viaggi per la scelta, l'apprestamento del corredo nuziale e degli abiti e per gli acquisti dell'arredamento necessario alla nuova dimora, occuparono completamente la mente della contessina che credette di aver superato il suo male e di aver trovata finalmente la pace agognata.

Da parte sua, il marchesino circondava la fanciulla delle più delicate attenzioni e d'un amore grande, puro, discretissimo al punto che era riuscito a creare, intorno alla promessa sposa, un'atmosfera di serenità, di bontà, di pace.

In un mattino di primavera, Clotilde andò sposa al marchesino Xxxxx nell'umile cappella del santuario di Monteserico, per l'occasione la torre, le mura, gli spalti del castello erano stati ornati a festa e sulle cime più elevate del maniero sventolavano, le insegne dei Sancia e quelle del marchesino, tra merlo e merlo rilucevano gli scudi dei due nobilissimi casati.

I pennoni, gli archi d'alloro che ornavano il tratto di spianata che menava alla chiesetta, erano stati apprestati dalle forosette, dai pastori e da tutti i bisognosi del feudo beneficati dalla « fata di Monteserico », in ogni occasione.

Subito dopo il rito, gli sposi, scortati da un brillante gruppo di cavalieri e da alcuni « froci », si avviarono verso Trani, prima tappa della novella vita.

Per la sposina il distacco dal castello, nel quale era cresciuta e aveva provato tante pure gioie e così atroci sofferenze, fu penosissimo anche per l'assenza del compagno della sua infanzia costretto a non poter lasciare Napoli per gravi motivi politici, e mentre il corteo procedeva, allegramente, verso la prima tappa del viaggio, l'animo della contessina piangeva in silenzio e le di lei labbra mormoravano: « Addio, " fonte delle sirene ", che aveva parlata al cuore della ragazza, per molti anni, la più bella, la più misteriosa delle lingue!    

Addio, umile santuario, nel quale aveva aperto il suo animo alla Vergine protettrice del Monteserico, nei momenti di gioia e di dolore. Addio, contessa zia, affettuosa più che una madre, raro esempio di bontà e di gentilezza, donna di squisito tatto, dalle parole che sapevano trovare sempre le vie del cuore specialmente se esprimevano un richiamo o un rimprovero, addio, cavalcate pazze per le poetiche ombre dei boschi, addio, rudi ma fedeli « froci », docili strumenti di tutti i capricci giovanili! ».

Quando il corteo giunse al tratturo del Guaragnone, che separava il Monteserico (e quindi la Basilicata) dalle Puglie e i « froci » presero commiato per far ritorno al castello, Clotilde non poté contenere il pianto e le lacrime scesero calde e silenziose sul suo pallido viso mentre il nome dell'amato fratello, le saliva sulle labbra dal profondo del cuore.

Partiti gli sposi e gli ospiti, il castello di Monteserico cadde nel silenzio più triste, la vecchia contessa non si mosse dal suo appartamento mai più, il personale del maniero cercò di non turbare, in nessun modo, la nobildonna che portava sul viso le impronte dei non pochi dolori sofferti, nemmeno il pellegrinaggio dei genzanesi alla Madonnina di Monteserico riusciva a sollevare il pesante velo di mestizia sceso sul castello.    

Il marchese fece ancora qualche visita, poi impigliatosi nelle lotte politiche e nelle congiure, che sorgevano in ogni parte del reame, contro la tirannide borbonica ed in favore dell'unità nazionale, non si fece più vivo.

Il conte Rodolfo si era definitivamente stabilito a Napoli, per portare a termine i suoi studi e, intanto, si era coinvolto nei moti politici ed era tra i capi più autorevoli e più accesi del movimento rivoluzionario napoletano.

Solo Clotilde faceva pervenire sistematiche notizie sue e teneva la zia al corrente di quello che si stava preparando, ciò rendeva ancor più melanconica la contessa, conscia dei pericoli a cui i suoi congiunti andavano incontro.


      


 

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