Ettore Lorito - SOTTO L'ARCO DI EROS - PARTE TERZA |
Genzano
D'origine antichissima è la Terra di Genzano, narra la leggenda che Iens, valentissimo cacciatore e prodigioso suonatore di flauto, riuscì a rapire San, figliuola del re dei Basi, pazzamente innamorata del giovane pastore, e si rifugiò nelle caverne abitate dalla sua famiglia.
Per onorare la bellissima ospite e regina, si decise di fondare una nuova e, più sicura sede sulla collina che dominava le caverne abitate dalla famiglia Iens ed i valloni circostanti, detta sede, dai nomi dei fortunati amanti, si disse: Iensan.
Molti studiosi, senza metterne in dubbio le remotissime origini, affermano che il nome di detta Terra derivi da quello gentilizio « Gentium » che per primo ne fu signore, altri sostengono che il nome derivi da «Gentianum», gente abitante il luogo salubre.
Comunque, la Terra di Genzano fece parte della Magna Grecia, come si desume dai costumi, dalla lingua, parlata dal popolo e dalle monete greche rinvenute nel territorio.
Nella storia il nome appare ufficialmente molto tardi, nel terzo secolo dell'era volgare.
Si legge nel Martirologio esistente nella cattedrale di Potenza che « Secondo e Donato, ultimi dei dodici fratelli tutti martiri cristiani, furono decapitati a Genzano il giorno delle calende di settembre dell'anno 258 per opera del console Valeriano ».
Il piccolo borgo, ingrandito dai Longobardi e poi dai Normanni, passò nelle mani di Roberto il Guiscardo, di del Bosco, marito di Aquilina Sancia, dei Dentice delle Stelle, dei Sanseverino, dei Ruffo, degli Orsini.
Rivenduto a Vincenzo del Tufo, questi ottenne il titolo di Marchese della Terra il dì 21 novembre dell'anno 1585.
Nel 1616 fu alienato, per 58 mila ducati a G. Battista Demarinis, oriundo genovese e grande di Spagna.
Per tale vendita si eseguirono due apprezzi, l'uno il 1-12-1614, ad opera del tavolario del Sacro Regio Consiglio, Orazio Grasso, l'altro il 1615 dal tavolario Giovanni Andrea de Fusco, eccolo.
Descrizione del feudo di Genzano
La terra di Genzano, nella provincia di Basilicata sta, edificata sopra un promontorio quasi insula, circondato da tre valloni con colline, e questa è ventosa. Il primo vallone è della parte di Levante, detto di Santantonio, dove sono molte grotte che reponono i vini essi cittadini, e sono del tufo arenoso. Il secondo è dalla parte di Tramontana, detto della Ripa Alta, pieno di canneti e vigne delli cittadini. Il terzo è a ponente, detto « Vallone dei Greci », con grotte del medesimo modo: e qui è una fontana con due cannoli di acqua viva chiamata « Fontana di Capo d'Acqui », quale, per essere migliore delle altre, generalmente se ne serve tutta la Terra.
Il sito di detta Terra è la più parte piano e buscogno da mezzodì a settentrione; tiene tre porte, la prima di Santantonio nel Vallone; la seconda è nella metà della Terra nel detto «Vallone dei Greci »; la terza è in capo alla Terra della parte di mezzodì.
Da questa parte si entra, in piano, in essa Terra, e qua di sopra è il Castello della Marchional Corte, il quale, per stare in loco alto ed elevato, domina non solo tutta la Terra, collina, e territori intorno, ma anche è di migliore aria per avere lunga prospettiva di montagne, consiste (il castello) in diversi appartamenti di uno medesimo piano di due braccia con altre camere superiori ed inferiori, cellaro grande, stalla ed altro.
L'abitazione di detto Castello, sebbene comoda, tuttavia per causa che sta nei più eminente della Terra, è fredda e ventosa.
La Terra è murata non solo dalle case dei cittadini, ma anche di muraglie proprie, le quali, in alcuni punti, san cascate.
Dentro essa Terra vi è la Madre Ecclesia detta di «Santa Maria della Platea », ornata di Cappelle, coro, orologio, con due confraternite, una del Santissimo Rosario, l'altra del Santissimo Sacramento. Questa è servita da sei sacerdoti.
Vi sono pure 22 chierici, vi è anche l'Ecclesia della Santissima Annunziata, dove sono diciannove monache e due zitelle, et hanno d'entrare, secondo mi hanno assicurato esse monache et vicario loro, da circa seicento ducati all'anno, et li pervengono da Spinazzola, Ruvo della Marina, et da una difesa della Paternigiosa, che sta dentro il feudo di Monteserico, quali entrade sono state lasciate, circa 400 anni fa, da una Signora Aquilina, sorella della Regina Appollonia, fondatrice di detto Monastero.
Vi è un'altra Ecclesia detta di San Giovanbattista, dove è un'altra confraternita che tiene delle entrate che le pervengono da animali vaccini e pecorini, ed è governata da detta confraternita e di esse entrate se ne maritano figliuole orfane e vi fanno celebrare Messe.
Vi sono altre Ecclesie dentro e fuori della Terra In detta Terra vi ho trovato un Medico, un Dottore in legge, un Notaro, due poteche di sartori, tre ferrarie con maniscalco, una poteca lorda, un'altra di scarparo, doi barbieri, un fabbricatore, la bocciaria di carne, taverna che è della Terra, ed altre poteche.
Li cittadini sono, la maggior parte, poveri foresi faticatori quali vivono mediocremente, e s'industriano con l'arte del campo, et ognuno quasi have la vigna, et perhè hanno buoni territori, s'industriano a seminare, come ho detto, non solo nel territorio demaniale ma anche nel territorio dell'Abazia di Banzi, vicino detta Terra; et perchè il territorio non è soggetto a Commissari Regii, volentieri ci tengono vigneti, fanno il campo.
* * *
Il suo territorio circonda miglia quindici, la Terra appartenne alla Regia Udienza di Matera dal 1663. Nel 1694 fu quasi interamente distrutta dal terremoto.
A questo punto, la Contessina chiuse il manoscritto perché il resto le era noto, si ritirò nella sua stanza e, finalmente stanca, si buttò vestita sul letto e si addormentò.
La gita a Genzano
Appena svegliata, Clotilde corse dalla zia per concordare l'elenco degli abiti da includere nei bagagli e quello dei doni da offrire ai congiunti.
In un primo momento, la fanciulla, pensò di liberarsi del suggestivo quadro che ornava il caminetto della sua stanza da letto, ma troppi ricordi, moltissimi sogni erano legati al mito così mirabilmente ideato e dipinto... e non ebbe la forza di privarsene.
Nel pomeriggio, un cocchio trainato da quattro maestosi muli, sul quale avevano preso posto: la contessa, la istitutrice, il precettore e la vecchia balia, si mosse dal castello.
Accanto alla vettura, circondata dai « froci » cavalcavano i giovani signori di Monteserico, la comitiva scese lungo il margine della sottostante vallata ed imboccò il tratturo che menava a Genzano.
I rari contadini incontrati lungo il percorso, s'ichinavano sino a terra, tanto era il terrore che incutevano quelle guardie ed il rispetto che godevano i padroni del feudo.
All'altezza del bosco, che si stendeva, dalla parte meridionale sino alla Fiumara, una pastorella, seminuda, scalza (segno evidente della miseria in cui viveva la gente del contado), fece l'atto di voler offrire dei fiori alla contessina, ciò commosse l'animo di Clotilde che, scese da cavallo, per accarezzare l'umile donatrice e, nel partire, regalò alla fanciulletta una moneta d'oro.
L'istitutrice, apertamente, disapprovò l'atto gentile, rilevando che l'omaggio floreale si doveva accettare stando a cavallo e che la moneta doveva essere buttata ai piedi della pastorella.
Clotilde rise di cuore al rilievo della vecchia e, con fare birichino, le rispose in latino sapendo che l'istitutrice ignorava tale lingua: « Amori amore respondere ».
La zia sorrise alla saggia proposizione, mentre madama Duperré, sempre più indispettita, si stringeva nelle spalle come per dire: Io non ho colpa se l'educazione non è di perfetto stile, se, a volte, non è confacente al casato.
Poco prima di giungere al paese, verso la salita delle « Grottarelle », il marchese, accompagnato dai figli e scortato da un gruppo di cavalieri, attendeva gli ospiti.
Dopo le presentazioni e i dovuti ossequi, si mise alla testa del corteo.
Al tramonto, per la porta Santantonio, il brillante gruppo entrò in paese e sfilò per le vie adornate a festa, tra due ali di popolo osannante.
La festa
La festività di Maria SS. delle Grazie, che allora si celebrava il due luglio ed ora il dì della Pasqua delle Rose, (1) è tra le più importanti della regione.
Le autorità, i cittadini tutti non risparmiano né lavoro né danaro perché riesca, ogni anno, sempre più solenne, sempre più attraente, s'impegnano i concerti musicali più accreditati, per l'addobbo della chiesa e delle strade del paese, si invitano i migliori artisti.
Giustificato è, quindi, l'accorrere dei forestieri da ogni parte in devoti pellegrinaggi o in gaie comitive, per dimostrare l'immensa fiducia che ripongono nella miracolosa Effige e per divertirsi.
A causa della solitudine in cui i signori di Monteserico vivevano, la festa fu un piacevole diversivo, due caratteristiche manifestazioni colpirono la contessina: il « corteo dei ceri » e « la guardia d'onore ».
La sera del primo luglio, si formò una processione imponente, alla quale partecipò l'intera popolazione, apriva la sfilata un gruppo di giovani contadini, recando sulle spalle fasci accesi di canne secche, strettamente legate a modo di torce, detti «faglie», che illuminavano le strade in modo fantastico, mandando scintille e fumo in tutte le direzioni, seguivano i devoti scalzi, disposti in due file ben ordinate e distanziate, che recavano ceri di rispettabili dimensioni, indi venivano le confraternite, il clero, la statua della Madonna, le autorità, le musiche e la massa del popolo.
Per diverse ore, il corteo lentamente si snodò lungo le vie del paese riccamente addobbate ed illuminate da artistiche file di variopinti bicchieri (che avevano dentro lampadine ad olio) e dai fuochi accesi nelle strade e nelle piazze.
La guardia d'onore, aveva un carattere militare, i giovani più distinti del luogo, atti alle armi, sotto il vessillo del comune, armati di fucili, al comando di un capo designato dal comitato organizzatore della festa, scortavano l'Effige della Vergine durante la processione della mattina del due luglio, eseguendo, lungo il percorso, evoluzioni ed esercizi militari.
Il marchese spiegò agli ospiti che tale istituzione risale al tempo delle lotte iconoclaste che costrinsero i fedeli a proteggere, con le armi in pugno, le Effigi religiose, perché non venissero distrutte, aggiunse che l'istituzione venne mantenuta in conseguenza di un ingente furto di preziosi effettuato durante la processione del giorno due luglio nel 1665 (?).
Un gruppo di manigoldi stranieri assalì il corteo e si impadronì dei ricchi doni sospesi alla veste dell'Effige della Madonna, comunque la guardia d'onore, limitatamente alla sola festività della Protettrice del paese, si conserva in segno di speciale devozione.
Anche i giovani ospiti, con la famiglia del marchese, seguirono la processione e, durante il corteo, fiorì l'idillio, tra il conte Rodolfo e la marchesina Elena, idillio che trafisse il cuore della disgraziata Clotilde, torturandole l'animo sino allo spasimo.
Il marchesino Gastone tentò, invano, di cattivarsi l'amore della «reginetta di Monteserico», che si ostinava a rimanere insensibile alle molteplici prove di affetto prodigatele, spesso non avvertiva nemmeno le più delicate attenzioni.
A volte, la fanciulla, capiva di essere ingiusta col marchesino e gli chiedeva scuse del modo di comportarsi a causa della malattia che non le dava tregua ed infatti la passione morbosa si era scatenata con maggiore violenza ora che vedeva il fratello amato da Elena e notava la loro felicità. A mano a mano che la gelosia prendeva il sopravvento sulla ragione di Clotilde, le torture aumentavano; giunse anche a spiare i passi dei giovani e ad odiare la loro felicità.
Verso l'imbrunire, Rodolfo ed Elena si misero a passeggiare nel giardino in cerca di un angolo nascosto ove potersi scambiare liberamente qualche bacio, sostarono all'ombra d'un vecchio tiglio, Rodolfo chiuse tra le sue braccia la fanciulla e appassionatamente la baciò.
- Oh, Rodolfo, che paura ho nel cuore! Se un giorno mi dovesse venir meno il tuo amore io ne morrei. ti ho sempre sognato, dal dì che a Monteserico ti vidi conobbi l'amore, quante volte mi è parso di vedere il tuo viso tra quelli degli angeli che adornano il trono della nostra Madonna, come sono passate lunghe le giornate senza di te, ho spesso sentito, qui nel cuore, uno sgomento ed una strana voglia di piangere.
- Bambina, che temi? Sai che le nostre famiglie favoriscono il nostro amore, perché desiderano il nostro matrimonio.
- Lo so, ma la mia felicità è troppo grande e temo che possa svanire come un bel sogno e ...
Ma Clotilde, sempre in vedetta, preoccupata di non vedere il fratello, si mise a cercarlo e, quando l'ebbe scorto in compagnia di Elena, ridendo si avvicinò e troncò il più bel canto che due pure anime possano innalzare al fatale dio dell'amore.
Rodolfo non poté completamente celare il suo disappunto per l'inopportuno intervento della sorellastra, ciò inasprì di più l'animo della contessina.
La gelosia fece decidere Clotilde definitivamente a consultare la fattucchiera, quanto male causa la gelosia!
Molto a proposito, il suono della campanella del castello annunziò che il desinare era pronto ed i giovani si affrettarono a raggiungere la sala da pranzo.
A tarda sera, i signori del castello e gli ospiti salirono sull'alta torre per assistere all'incendio dei fuochi pirotecnici, che avveniva sui piani di Montefreddo, al suono di allegre canzonette e di ballabili eseguiti dalle bande musicali e al monotono canto dei «caroselli» umani, (2) consistevano questi, in caratteristici girotondi di giovani contadini disposti in cerchio, portanti sulle spalle, in piedi, un uguale numero di compagni, si tenevano per mano e giravano lentamente intorno, da destra verso sinistra, al ritmo di una melanconica cantilena.
I giovani che stavano sotto, ammonivano i compagni che erano ritti sulle loro spalle, di stare attenti « a non cadè » mentre quelli che erano ritti sulle spalle, avvertivano i compagni che li reggevano «di stare attenti a manténè», indi le parti si invertivano e i «caroselli» si rimettevano a girare, ma in senso inverso, al ritmo della medesima cantilena.
Il pubblico, e specialmente le ragazze, applaudivano quelli che riuscivano, nel più breve tempo, a compiere il doppio turno senza far registrare alcuna caduta.
Dopo qualche tempo Clotilde, crucciata per l'estasi in cui erano caduti i giovani innamorati, infastidita da tutto quel frastuono e dalla noiosa cantilena di cui le sfuggiva il significato, chiese ed ottenne di potersi ritirare.
Al tocco, nel castello, non si avvertiva alcun segno di vita ed in paese la festa era del tutto terminata.
Dalla pitonessa
Cessata la festa, mentre in paese e nel castello si dormiva, due donne, scortate dal capo dei «froci», uscirono dalla casa marchesale e scivolarono lungo le deserte vie dell'abitato, fiocamente illuminate dalle poche lampade che il vento non era riuscito a smorzare.
Il silenzio della notte era rotto solamente dal tintinnio dei bicchieri dell'illuminazione, agitati dal vento, e dall'abbaiare dei cani.
La pitonessa abitava all'estremità del paese, al pian terreno di una modesta palazzina. La casa aveva due ingressi, uno sulla strada principale, l'altro nel vicoletto che correva parallelo alla detta via.
Alla porticina, sporgente nel vicoletto, bussò il «froce» e, dopo pochi secondi, i tre clienti eccezionali penetrarono nella misteriosa casa, sulla porta di comunicazione interna dell'oracolo era inchiodata una civetta, che aumentava il senso di mestizia nel cuore dei visitatori, costretti, dalle non poche avversità della vita, a venir qui per consigli e aiuto e dalla Basilicata e dalle regioni limitrofe, Clotilde ebbe dei brividi di terrore in quel triste luogo.
Donna Raganella, la fattucchiera, sedeva su di una poltrona dorata che stonava, maledettamente, con gli altri modesti mobili esistenti nella capace stanza, era una donna giovanissima e piacente assai, tanto, che molti signori, sapendola in dissidio col marito dedito alla crapula, stringevano, innanzi alla bella fortezza, un assedio accanito e non sempre infruttuoso, ma l'indovina sapeva fare le cose a modo, per cui si dubitò sempre, delle erotiche relazioni attribuitile.
Godeva, in paese e nei dintorni, una fama leggendaria di maga benefica, la fortuna di questa bruna figlia dei campi, nacque da una circostanza veramente straordinaria, storicamente esatta, verificatasi nei primi anni in cui donna Raganella iniziò la ... professione.
Una giovane sposa del vicino comune di Acerenza, non riceveva, da più anni, notizie del marito partito pel nuovo continente con alcuni cercatori di oro e si disperava per l'abbandono e per l'assoluta mancanza di mezzi finanziari.
Un rivenditore ambulante, forse amico intimo o corrispondente di donna Raganella, le consigliò di consultare, al riguardo, la celebre indovina di Genzano e si offrì di accompagnarla, giacché era diretto proprio in detto paese, la fattucchiera, messa al corrente dell'accaduto, aprì e lesse, sottovoce, diverse pagine del famoso libro scritto in lingua spagnola chiamato « rutilio », consultò alcune luride carte da giuoco e poi sentenziò: « Una donna nera tiene legato il cuore di vostro marito, ora rompo l'incanto e, così dicendo, spezzò un cordoncino di seta nera.
Tornate a casa e tra pochi giorni riceverete notizie dal vostro sposo e, prima della mietitura, lo riabbraccerete, andate, non voglio essere pagata ».
La povera donna baciò, piangendo, le mani della pitonessa e, con l'animo aperto alle più belle speranze, fece ritorno al suo paese.
Qualche mese dopo ebbe, infatti, notizie del marito e il dodici giugno riabbracciò l'arricchito sposo, il caso fece rumore, l'indovina venne coperta di ricchi doni... e la fortuna della ditta Raganella fu assicurata in modo definitivo (3).
Il responso
Appena la contessina mise piede nella misera, ma pulita stanza, donna Raganella in persona si degnò di guidarla presso il tavolo dei consulti, la fanciulla tremava tutta, nonostante i sorrisi e le attenzioni che le venivano fatti.
- Eccellenza, qua la mano e ... coraggio:
«Leggo che è nata sotto una cattiva stella, scorgo sventure e sangue nella linea della vita, l'anima della donna è in preda ad una mostruosa passione che le spezzerà l'esistenza inesorabilmente, la passione... è più forte della volontà e ... trionferà solo per poco. Vedo... l'uomo che si ribella alle peccaminose brame ma... dovrà soggiacere al volere della donna, ad opera mia, ecco, lo lego con questi tre nodi che intreccio sul fatale laccio nero... è fatto, bisogna temere, però, l'ira divina perché non è lecito sfidare le Supreme Leggi, ho detto!».
La contessina, rossa per la vergogna, terrorizzata per aver sentito dalla bocca dell'indovina quanto pensava che potesse accadere, gettò del danaro sul tavolo e scappò via da quella casa infernale come una ladra, strisciando lungo le case delle deserte vie e sorretta dal « froce » e dalla nutrice, raggiunse il castello e si abbatté, svenuta, sul letto.
Dichiarazione d'amore
Il giorno dopo, benché tardi, la contessina non uscì dalla sua stanza e fece sapere che non si sentiva bene e che non sarebbe scesa né per la colazione né per il pranzo.
In preda alle più pazze smanie, Gastone si aggirava per le sale, per i corridoi in cerca di notizie precise sullo stato di salute di Clotilde.
Finalmente, verso mezzogiorno, non potendo oltre sopportare lo stato di nervosismo in cui si trovava, fece domandare alla contessina il permesso di farle visita. Clotilde, con la semplicità che le veniva dalla vita di campagna, accolse affettuosamente il «saggio cuginetto», come soleva con Elena chiamarlo, e lo ringraziò della premurosa attenzione.
- Adempio ad un elementare dovere, contessina, e le assicuro che sono veramente rattristato per lo stato della sua salute.
- Grazie, marchesino; ha un animo nobilissimo ed è il più perfetto gentiluomo ed il più caro giovane che io abbia conosciuto.
- Ella mi adula... Intanto mi permetto di dirle che " io bramerei di essere qualcosa di più del « saggio cuginetto », se il suo cuore è libero, agognerei divenire il suo adoratore... Veda, desidererei di passare il resto della mia vita, amandola, così, in ginocchio ".
- Sorga, Gastone, e mi stia a sentire.
- Perdoni la libertà, perdoni se non ho saputo rispettare il suo stato di salute ma.. non ho potuto più resistere al ...
- Lo so, caro il mio salvatore, lo so, ho letto nel suo timido sguardo, nel suo animo i sentimenti che nutre per me... e mi dispiace di non poter corrispondere degnamente a sì nobili propositi, creda, io ho molta stima del marchesino di Genzano e se un giorno mi deciderò al gran passo, sarà il preferito, lo merita, mi ha salvato la vita e giustificato sarebbe l'offrirla a chi ne è ben degno, ma... come le scrissi...
- Lo so, non mi ama, eppure mi sento capace di far nascere nel. suo cuore il più bello, il più puro degli amori.
- Dio lo voglia! Me lo auguro di tutto cuore. - Allora posso tentare la pruova?
- Per ora la prego di accontentarsi di quello che le ho detto, l'avvenire è sulle ginocchia di Giove, ma... ella piange? Gastone, mi mortifica, la comprendo e sono addolorata di non poterle promettere altro, conosce la mia franchezza e può essere certo che « se un giorno mi dovessi decidere a cercare un cuore fedele, a scegliermi un compagno, oh certamente sarà il preferito! » Più di questo non saprei, non potrei promettere, ma, per amor del cielo, sorga alzi la testa perché non ha nulla da rimproverarsi, anzi, schiettamente le dichiaro, che mi reputo non degna del suo nobilissimo animo, sento aleggiare intorno a lei una poesia al mio cuore ignota, d'altra parte, se pur riuscissi ad accettare il suo amore solo per non dispiacerla ... e per gratitudine, la farei infelice per sempre, il mio spirito è un fuoco vicino a spegnersi, e, quindi l'amor mio potrebbe, pallidamente illuminare la sua vita, ma non riscaldare il suo cuore.
- Questo poi...
- Non ci crede? Eppure è così.
- Mi lasci almeno sperare.
- E .. . sia! Giuro che farò del mio meglio per venirle incontro.
Detto ciò, attirò a sé il giovane e gli stampò, sulla fronte, un sonoro bacio.
Gastone stordito, sorpreso... si alzò e rimase a contemplare la bella cuginetta che, con tanta semplicità, gli aveva parlato e, con fraterno affetto, l'aveva baciato. Intanto vedeva svanire, in una nube d'oro, il sogno d'amore da tanto tempo accarezzato.
Clotilde intese, in tutta la sua potenza, il muto dolore del povero Gastone e maledì, in cuor suo, l'infausta passione che si era impossessata del suo animo e le impediva di accettare il grande, generoso e purissimo amore del marchesino di Genzano, e pianse in silenzio.
A risolvere la situazione, veramente delicata, giunse opportunamente la marchesina Elena e così Gastone ebbe modo di potersi ritirare senza eccessivo imbarazzo, mentre le due fanciulle si abbracciavano e, affettuosamente, si baciavano.
Visite di congedo
Non appena Clotilde fu in grado di uscire, i signori di Monteserico iniziarono i preparativi per la partenza. Vollero prima visitare il paese e cominciarono dalla chiesa della SS. Annunziata, annessa al convento di Santa Chiara nel quale finì i suoi giorni la pia e nobile fondatrice "Aquilina Sancia", loro antenata.
Sulla soglia del tempio, furono ricevuti dal molto reverendo arciprete, don Nicola Ciola, che presentò il sindaco, don Paolo Maria Vignapiano, cancelliere (notaio), e tutte le autorità della terra ivi convenuti, per il rituale omaggio.
Gli ospiti illustri ammirarono la cappella che era, ed è, un vero gioiello per la semplicità architettonica, l'armonia delle luci e dei colori furono oggetto di speciale attenzione: le artistiche grate, il superbo pergamo di legno dorato a sfondi rossi, con lo stemma dei Sancia, che poi divenne quello di Genzano, « un leone rampante con tre spighe d'oro, accanto ad un castello merlato e finestrato »; due preziose pitture su tavole, rappresentanti santa Chiara e sant'Antonio abate e i due grandi quadri che fiancheggiano l'altare maggiore, anche di autori sconosciuti, ma di notevole pregio, la contessina poggiò la fronte sull'altare sottostante al suggestivo quadro della Annunziazione e pianse amare lagrime al ricordo della tremenda profezia della pitonessa, mentre le pie serve di Dio, intonavano il « Magnificat » in onore dei feudatari di Monteserico e signori della comunità.
Indi si passò nell'avansala della clausura, la porta interna era spalancata e solo una tavola, alta meno di un metro, ne sbarrava l'ingresso e indicava il limite oltre il quale a nessuno era consentito avanzare, la badessa, donna Chiara Maria Falcinelli, venne avanti con le braccia incrociate sul petto e piegò il ginocchio destro, in atto di omaggio e di obbedienza dovuti alla famiglia della fondatrice della clausura.
Presentò, a mano a mano che sfilavano alla medesima guisa,, le ventisei monache, le quattro educande e le sei inservienti interne. Infine il procuratore del monastero, don Pasquale Albani, sacerdote, riferì sull'andamento amministrativo della comunità ed offrì una copia del bilancio dell'annata chiusosi con un avanzo di ducati novantasette, grano trentasei e tre cavalli. La vecchia contessa si congratulò per il regolare andamento della clausura e, nel partire, lasciò una rilevante somma per i poveri dell'università.
Passarono poi a visitare la mater ecclesia, dedicata a Santa Maria della Platea, ove ricevettero l'omaggio del clero servente, formato da sei sacerdoti e da ventidue chierici.
Ammirarono un fastoso quadro di scuola napoletana, un polittico della Madonna, che ha dato il nome al tempio, a cinque scompartimenti, opera pregevole di autore non bene identificato, e l'altare privilegiato del Crocifisso, nella cappella dei signori Dellagli.
Alla notizia delle misere condizioni in cui viveva gran parte del clero, la contessa dispose che, ogni anno, in occasione del pellegrnaggio al santuario di Monteserico, venissero consegnati all'arciprete di Genzano « dieci ducati per i sacerdoti poveri e ducati tre per i chierici bisognosi ».
Si passò successivamente a visitare la chiesa annessa ai convento dei riformati di San Francesco a sinistra dell'altare maggiore, ammirarono il superbo mausoleo di marmo, con statue di stucco, in cui vennero seppelliti: don Stefano Demarinis, marchese di Genzano, sua figlia Costanza ed una piccolissima figlia di costei portante lo stesso nome materno, eretto il ventisei aprile dell'anno milleseicentoquarantuno.
In ultimo si visitò la chiesa di Maria SS. delle Grazie, ampia e ricca di aria e di luce. A sinistra dell'unica porta allora esistente, notarono una graziosa acquasantiera di pietra a due pezzi del milleseicentonovantatre.
In fondo, sulla parete del piatto abside centrale, nel mezzo di un finto mantello araldico sormontato da una corona, in una nicchia sette volte vetrata e sorretta da quattro angeli, ammirarono l'effige di Maria SS. delle Grazie, un bel quadro bizantino in cui la Vergine, a mezzo busto, ed il celeste Infante, sono dipinti sopra una pietra levigata, in modo veramente artistico.
Lessero, su di una pergamena esposta nel tempio, che detta pittura si rinvenne il venticinque marzo dell'anno milleseicentoventuno presso la fontana di Capo d'Acqua, sulla via mulattiera che mena a Banzi. Clotilde salì su di una scala a pioli per osservare da vicino la pittura, il sereno sguardo della Madonnina, dagli occhioni profondi e dolci, le arrecò grande sollievo.
Appoggiò la fronte alla dorata cornice del quadro e pregò per la sua anima sulla via della perdizione.
All'uscita dalla chiesa, gli ospiti si accomiatarono dalle autorità per far ritorno alla casa marchesale, la contessina, turbata dall'assillante ricordo della tetra profezia, si appoggiò al braccio della zia e, frettolosamente, si mise in cammino senza nemmeno notare che i giovani innamorati, incuranti di tutti e di tutto, si erano allontanati da tempo.
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(1) Attualmente nella prima domenica di agosto
(2) Da tempo scomparsi
(3) Rocco Pompa fu Raffaele
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