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GIUSEPPE PEDOTA POESIA E SAGGISTICA LA CIVILTÀ DELLO SPAZIO INCOMMENSURABILE - Vito Riviello |
Nei dibattiti culturali dell'età contemporanea, fatta eccezione per alcuni cenni sommari, non si affronta mai nei termini di confronto e di resa il problema dell'evoluzione dell'arte visiva nel più ampio orizzonte del progresso della scienza e quindi della cultura.
V'è sempre un "positivismo" retrò alla base dei discorsi tra le due culture, e una parola: "multimediale" sembra esaurire la fenomenologia specifica. Senza voler intaccare l'autonomia generativa di ciascuna disciplina e senza la pretesa di voler addentrarci in problematiche complesse e ardue, ci preme almeno dire che la pittura, l'arte visuale e visiva di questi ultimi anni vieppiù cambia dopo la transeunte "transavanguardia", disseminata di riflessioni, di sperimentalismi privati, di rovesciamenti semantici.
Cambiata nel senso di una nuova "naturalità" ad esempio, una morfologia composita di natura fisica e natura mentale e di nuovi talenti artistici.
Tra questi il lucano Giuseppe Pedota che già a sedici anni, licealista poco convinto, nella sua terra ammira e scopre in Rimbaud e Cocteau: "i miti di una eleganza celeste" come ebbe a scrivermi dalla sua Genzano di Basilicata a Potenza, dove allora sostavo. Pedota ama la musica e Einstein, del quale lo affascina la teoria della "visione curva" (tutto è curvo). Significa che l'artista sin dagli anni cinquanta cerca una pittura "alternativa" che si generi sull'idea di concretizzare forme d'immaginazione e si basi sulla continuità creativa (poesia ininterrotta).
Poiché, egli sostiene, il movimento è una forma, "quando cadono le meteore cadono sotto forma di forme". Il movimento per Pedota è la prova della creazione del mondo, che si crea sempre, un mondo toujours in fieri, mai dato, mai definito, ma di cui possiamo "sentire" la musica del suo vortice, del suo caos. Il caos è l'ordine, è un principio. Visibilmente è un'onda d'aria, una linea curva che non misura, spazia per felicità genetica.
Così i suoi quadri raffigurano la civiltà dello spazio incommensurabile.
Caduta la misurazione empirica, e oltrepassati i canoni pitagorici, le immagini provengono da una sensibilità materica così rarefatta da sfuggire alla visibilità normale, quotidiana delle cose. La luce è dentro le figurazioni che emanano solo radiazioni e riflessi, ma soprattutto la "Luce" del quadro è un'idea che si afferma secondo l'indole e la natura del fruitore. Insomma, v'è una pretesa dell'organismo di "far sentire il suono (siderale) della luce", perciò il flusso cromatico giunge stemperato, piacevole ma umile per permettere alla tensione musicale di crescere e raggiungere l'occhio ricettivo.
Ogni quadro di Pedota ha la sua chiave musicale; mano a mano che il quadro viene osservato, si allargano i campi visivi e come in una sinfonia si diramano i temi e i tempi. La mia osservazione è molto elementare, poiché non conosco la sintassi musicale. Vorrei allora attraverso la immaginazione aiutarmi per richiamare la vostra attenzione estetica sulla produzione pedotiana.
Si procede dunque con "l'ascolto inaudibile" del cosmo, questo accade contemporaneamente alla coscienza delle diverse campiture che cedono gradualmente al passaggio penetrativo dell'occhio fino a raggiungere una "atmosfera" che costituisce l'archetipo maestro del quadro e dove la sinfonia si muta in una serie composita di "big bang" di remote e inaccessibili formazioni creative dell'universo. E a questo punto le valenze della ricerca formale declinano una sorta di "poetica" del Pedota, un'ideologia di vocazione "materica" tra il gioco del Mistero e un misticismo antico.
Ci si accorge inoltre che l'apparente raffinatezza dell'opera non è solo il frutto dell'amore per l'eleganza formale o per un estetismo esasperato e "maudit" ma una "goethiana" costruzione d'arte che permette "sogno e meraviglia" e li protegga da tutte le tentazioni avverse. E in simile operazione c'è l'estremo affettivo collegamento di Pedota col più nobile decadentismo europeo.
Ma l'arte di Pedota, "Pepè" per gli amici, è solo spazialità musicale, fluente espressione esoterica di materialità stellare?
In poche parole è la rappresentazione "fantastica" di un cosmo mitizzato? E' ovviamente anche questo poiché nei suoi quadri prevale una cultura eterodossa tesa a riferire su rapporti complessi e misteriosi tra scienza e magia, rapporti che solo un immaginario fertile e irriverente può ritenere possibili.
Secondo la mia modesta opinione è proprio il "misticismo" sui generis di Pepè che caratterizza la sua arte, che è una ricerca del fondo dell'anima "attraverso la sregolatezza dei sensi", attraverso cioè tutte le possibilità della ricerca, convergenti e divergenti, il metodo dell'introspezione musicale applicato allo spazio, la divaricazione della sensiblerie creativa nei campi opposti del razionale e dell'irrazionale, il senso dell'evocazione e la pratica dell'esorcismo.
A sedici anni Pepè, nei dintorni del nostro liceo-acquario, mi rivelava di veder nelle ore notturne mister Satana sotto forma di giovane dalle dolci fattezze, un David ghignante e perfido. Ma la "figura" non lo terrorizzava, anzi Pepè lo obbligava ad un dialogo sui massimi sistemi. A questo punto non lo ascoltavo più, ritenendolo poco credibile. Ora so che quello che mi raccontava era vero, sia pure in un'accezione di credibilità "paranormale", ma soprattutto nella corretta dimensione di esasperazione estetica, di rifiuto "romantico" di ogni visione (semiseria) della "morte dell'arte" come ideologia e comportamento. Per cui l'intera opera di Pedota costituisce una sorta d'indagine "ulteriore" della conoscenza dell'arte, nei suoi aspetti meno invitanti quali mistero "contemporaneo" anomalo incontro di teorie scientifiche con le idee dell'inconscio, e la torbida commistione di suoni consueti e rumori di sfere celesti, per sublimare ancora una volta la "coscienza" stessa dell'arte in una coscienza cosmica ancora da scoprire.
L'arte delle sfere celesti, della brezza sideralè vince il diavolo, affascinante assenza della pura immaginazione, essendo il diavolo stesso una immaginazione oppositiva, chiusa in se stessa. Si spiega quindi la tautologia di Pedota con l'affermazione della continuità dell'arte, anzi dell'eternità, con una chiara vocazione dialettica nella sua ricerca.
L'immagine deve avere un movimento perché esso la rende immobile. Il diavolo allora viene immaginato affinchè non possa immaginare da solo, ma mister Satana nella pittura della maturità dell'artista è un mito, non appare con sembianza nota. Questa lotta col diavolo ha bisogno per depistarlo, di un campo alto della coscienza, un luogo alto e profondo nel contempo. Perché col diavolo non si può scendere a patti, non si può raffigurarlo in termini realistici, bisogna confonderlo su terreni a lui apparentemente congeniali, ma solo apparentemente, in sostanza nel "futuro magico" degli empirei Mister Satana s'accorge che quelli sono possedimenti che non gli appartengono.
Non potendo attaccare la Divinità, tende agguati agli uomini di cui ambisce la proprietà dell'anima e del potere fantastico. E Pepè lo accoglie nei vasti spazi della pittura, dove la "magia" delle apparizioni, la tensione musicale dei ritmi, la furia mistica del colore, lo costringono al rapporto impossibile con l'autore.
Si aggiunga che a queste forme di evocazione eccelsa Pepè unisce la sua fede "mantrica", la quale offre all'uomo eccezionali sorprese e mondi sconosciuti. In questo modo non s'interrompe la consuetudine con la matrice genetica e le figurazioni nei quadri e nei disegni e gli oggetti delle sculture sono "frammenti" del continuo divenire e come tali incantano l'incauto Mister Satana, irretito dal proprio narcisismo.
Il sereno e saggio confronto tra l'io narcisistico, disperante fonte di bellezza, e la sinuosa e temeraria ricerca produce la pittura "galattica" di Pedota, che definisce così l'arte delle combinazioni celesti e quindi delle combinazioni pittoriche.
Vito Riviello - da Frascati ai Castelli romani, maggio 1991
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